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La terra dell'abbastanza

Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film

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La recensione su La terra dell'abbastanza

di Furetto60
8 stelle

Ottimo esordio dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo. Bravi i giovanissimi attori

Mirko e Manolo, sono amici fraterni, da sempre. Vivono nel quartiere romano di Ponte di Nona, isolato dalla città e  costituito da agglomerati di casette di colori sgargianti, ma sbiaditi. Hanno un animo semplice, aspirano a poco. Frequentano l’alberghiero, che sperano finisca presto. In una sera come tante, ridono, scherzano, mangiano i loro panini, avidamente, tra una battuta e l’altra, l’atmosfera è distesa, fino al momento in cui, la vita, nella sua casualità, li mette di fronte alla morte, un banale “incidente di percorso” investono qualcuno, ma non si fermano a soccorrerlo, scelgono di sfuggire alle loro responsabilità e da un terribile errore che, li segnerà per sempre. Vanno dal padre di Manolo, un balordo, ex-carcerato, il quale, dopo averli rimbrottati, ma nemmeno più di tanto, cerca immediatamente di coprirli, e di trovare una qualche scappatoia, fino a scoprire con gioia, che il passante ucciso per caso, non era uno qualunque, ma un pentito del clan di quartiere,un “infame”, su cui pesava una condanna a morte da parte dell’organizzazione , cosi il padre di Mirko, Danilo alias max Tortora, un uomo frustrato che non ha alcun peso, spacciando l’incidente per un’esecuzione volontaria, spinge il figlio nelle braccia del gruppo criminale del posto, cosi possono “svoltare” spacciandosi per dei giustizieri,che hanno fatto pulizia e a buon diritto reclamano un posto all’interno del clan. Un biglietto d’ingresso per l’inferno che scambiano per un passaporto per una vita migliore, una sorta di opportunità, che implica però diventare criminali. Perché presa questa strada, il dado è tratto e non si può tornare più indietro “Non hanno consapevolezza” dice uno degli uomini del boss, alias Luca Zingaretti, per il quale si sono messi a “lavorare” e questo fa di loro dei killer provetti, non hanno coscienza delle loro azioni. Maneggiano pistole, svolgono bene i compiti criminali, che gli vengono affidati, uccidono, ma sembrano non capire quanto tutto ciò li stia lacerando nel profondo. L’ingresso nella gang malavitosa, li ha quasi liberati dal senso di colpa, legittimando i loro comportamenti delinquenziali. Cosi i due, che fino ad allora facevano una vita normale, tra scuola, fidanzata e amici, saranno travolti da un’ondata di violenza e dissolutezza, che intorno a loro sembra stringerli in una morsa, spingendoli a trasformarsi in, papponi, spacciatori e perfino sicari, perdendo la loro purezza, in pochissimo tempo. Damiano e Fabio D’Innocenzo, registi e sceneggiatori gemelli, di appena 29 anni, al loro primo lungometraggio, sono abilissimi. Si immergono nella periferia romana, che conoscono bene, e ne mostrano il suo reale degrado, senza aggiungere nulla che possa distogliere l’attenzione dalla tragedia interiore vissuta da Mirko e Manolo. I due protagonisti, si intuisce subito sono persi, non possono essere salvati, non certamente da Danilo, che evidentemente vissuto sempre nell’ombra di una malavita organizzata, che non lo ha mai preso sul serio, è convinto che questo evento, gli darà l’agognato credito, incapace di vedere il baratro che li inghiottirà, ma nemmeno da Alessia, madre di Mirko, sofferente perché consapevole del dramma vissuto dal figlio, ma incapace, di impedirlo. Non possono salvarsi nemmeno aiutandosi tra loro, nel momento stesso in cui decidono di usare il loro senso di colpa come passe-partout, per il loro ingresso nella criminalità, firmano la loro inevitabile fine. Film sobrio e asciutto, la violenza non è mai ostentata. Con questo stile, sostenuto da una fotografia di Paolo Carnera e un montaggio a cura di Marco Spoletini che lavora per sottrazione per ricavare solo l’essenziale, a dispetto della loro tenerissima età i due registi, dimostrano una grande maturità artistica e il risultato è veramente notevole, come la prova degli attori

 

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