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Un'altra vita

Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un'altra vita

di Bojack
8 stelle

Sono colpito. Davvero.

Da anni cerco strenuamente la capacità dell’arte cinematografica di comunicare attraverso un’idea, un’invenzione registica che sappia giustificare la scelta di un essere umano che decide di passare 100 minuti della propria vita davanti ad uno schermo. 100 minuti investiti nell’attesa che gli venga raccontato qualcosa di unico, forse di irripetibile, che lo faccia piangere, ridere, ma soprattutto pensare. E non con un banale movimento della macchina da presa che segue le azioni come una triste fiction televisiva.

Malgorzata Szumowska sceglie di “sbagliare” le riprese del suo film. Per il 90% di questo splendido film le inquadrature tengono a fuoco solo una parte dello schermo. Ai lati di questa piccola porzione (che si sposta) tutto è sfocato, un finto, disperato bokeh che spinge chi guarda a cercare in continuazione di guardare oltre quella porzione, alla disperata ricerca di chiarezza, di ordine, tormentandosi per quella strana miopia che gli ostruisce la realtà.

Miopi come tutti gli appartenenti alla comunità nella quale vive Jacek, un affascinante giovane operaio, appassionato di heavy metal, i capelli lunghi e svolazzanti a donargli il fascino dell’uomo duro ma dal cuore tenero. Jacek ha una vita bella, non perfetta, ma piena di sorrisi. Ha una fidanzata, Dagmara, attraente e sensuale che pende dalle sue labbra e che sta per sposare. Intorno a lui tanti amici che lo rispettano e una famiglia che lo ama.
Quando precipita dall’impalcatura sulla quale sta lavorando alla costruzione della più alta statua di Cristo del mondo tutti gli equilibri si spezzano: ne esce vivo per miracolo, ma gravemente deturpato in volto.

Dietro quella nuova faccia c’è lo stesso essere umano di prima, ma dopo un’iniziale attenzione morbosa, Jacek viene allontanato da tutti, dagli amici che provano pietà verso di lui, dai bambini che lo insultano per strada fino alla madre che lo sottopone ad un esorcismo, nel tentativo di scacciare quell’essere che non riconosce più. Ma il dolore maggiore si concentra su Dagmara che si rifiuta di incontrarlo e che velocemente lo sostituisce con un nuovo amante. Anche la chiesa svolge un ruolo fondamentale nella vicenda ed il parroco cittadino perde via via la sua aura di santità, mostrandosi nella sua misera debolezza.

Il protagonista si ritrova letteralmente imprigionato in un volto che gli altri si rifiutano di riconoscere. La grottesca reazione di chiunque faccia parte della vita di Jacek è un severo ammonimento alla nostra tendenza a fermarci alle apparenze, pessima inclinazione della società contemporanea. Feroce si mostra la critica alla comunità provinciale polacca, probabilmente narrativamente esasperata per raggiungere lo scopo di far sorgere in noi un senso di disagio e di frustrazione per l’incolpevole dramma che il protagonista è costretto a vivere.

La Szumowska ci regala un racconto di grande efficacia visiva, doloroso e spietato, uno di quei film ai quali ci si ferma a pensare anche tre giorni dopo averlo visto. Il mio personale plauso va in particolare alla tecnica narrativa, stimolante e molto efficace nella critica sociale.
E quando la scena finale ci mostra il gigantesco Cristo di pietra ultimato, ma con il volto girato altrove, come a voler volgere il suo sguardo lontano da un’umanità talmente misera, comprendiamo che queste sono le opere fanno grande l’arte cinematografica, che oltre Top Gun Maverick e gli Avengers c’è molto, ma molto di più… un cinema dell’est che continua a stupire per originalità e contenuti.

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