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La donna elettrica

Regia di Benedikt Erlingsson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La donna elettrica

di yume
8 stelle

Colpire al cuore, tralicci e coscienze, per riconquistare il cuore.

locandina

La donna elettrica (2018): locandina

 

Kona fer í stríð si traduce Una donna va in guerra, ma intitolare La donna elettrica regala quel pizzico di stravaganza che ogni figura retorica, se ben usata, porta nel linguaggio.

Halla (Halldóra Geirharðsdóttir) single cinquantenne, fisico asciutto e viso con giuste rughe, in effetti alla guerra non va nè va a morire come l’Agnese della Viganò/Montaldo di partigiana memoria.

Lontani i tempi in cui si moriva per le belle idee, oggi si rischia grosso perché una multinazionale (in questo caso di marca cinese) vuol invadere il territorio e non al grido di Heil Hitler ma distribuendo tralicci dell’alta tensione nelle lande incontaminate della cosiddetta “terra del ghiaccio e del fuoco”.

Cosa poi vogliano produrre è cosa marginale e non interessa lo spettatore, il regista infatti glissa come schifato su questo, siderurgia o qualsivoglia altro, la distruzione dell’ambiente non è una legge di natura.

Muschi e licheni, un manto erboso morbidamente avvolgente, assenza di vegetazione arborea ma tanti corsi d’acqua dove guizzano i salmoni che risalgono la corrente per depositare le uova, e pecore, tante, e tutto all’ombra del Vatnajokull, il più vasto ghiacciao europeo.

La lezioncina di geografia serve a far porre una domanda: cosa ci fanno i tralicci dell’alta tensione in un posto del genere?

Facile immaginarlo e deprecare, ma Halla non si limita come tutti noi a questo, lei imbraccia arco e frecce e va, supera fossati, valli e alture, attraversa fiumi gelati e, quando le tocca scappare a gambe levate scappa, si nasconde in anfratti erbosi o si copre con una pelle di pecora trovata per caso se il drone la insegue o l’elicottero della polizia non le dà tregua.

Halldóra Geirharðsdóttir

La donna elettrica (2018): Halldóra Geirharðsdóttir

E intanto lancia la sua freccia magica con mira infallibile.

Il filo, altissimo, scoppietta e il black-out ferma ogni attività.

Quindi la nostra Robin Hood in gonnella (si fa per dire) smonta l’arco, lo ripone nello zainetto e se ne torna bel bello a casa dove l’aspettano le prove del coro.

Sì, perché tra un attentato e l’altro ai tralicci (pensare al nostro Gian Giacomo Feltrinelli forse a questo punto è d’obbligo) Halla guida un piccolo coro a cappella di cui abbiamo brevi assaggi di indubbia qualità.

La musica è quello che si potrebbe definire un basso continuo nella vita di Halla, Benedikt Erlingsson la colloca nei passaggi fondamentali, ora è un trio di piano, trombone e violino, a volte sposta il piano e aggiunge i timpani, altre volte posiziona frontalmente un trio di cantanti in costume ucraino che intonano canzoni tradizionali.

scena

La donna elettrica (2018): scena

Halla passa col suo zainetto e loro suonano e cantano sullo sfondo di paesaggi da favola.

Nei momenti critici arriva il genio della lampada nei panni di una specie di cuginone allevatore di pecore che sa farci con i posti di blocco e la salva, coperta di pecore, nel retro del furgone.

Non manca una sorella gemella dedita a pratiche yoga e meditazione, prossima al viaggio in India e piena di belle tuniche colorate che fanno un bel vedere vicino ai severi pantaloni e maglioni di Halla.

Il quadro dei buoni sentimenti è completato dalla pratica di adozione di una bimbetta ucraina che è andata a buon fine, e ora ad Halla non resta che partire e andare a prenderla.

Tutto funzionerebbe se Halla non si fosse ingaggiata in un attentato più grosso degli altri, far crollare definitivamente i graticci con un bel po’ di plastico.

A questo punto la favola ha una brusca svolta, la platea resta con il fiato sospeso e il racconto deve fermarsi perché non si rivelano mai i finali.

 

Una favola moderna, ironica, gentile e insolita, vera eppure capace di evasione dallo scontato realismo di film a tematica ambientalista, quel mondo di silenzi e spazi infiniti esiste e ci fa sognare, ma esiste anche chi lo aggredisce e ne segna la morte.

Due belle foto di Ghandi e Nelson Mandela alla parete, un televisore che manda immagini di disastri dovuti al riscaldamento globale e una parola magica, in finale, “Namastè”, salutare l’altro inchinandosi davanti a lui comunicando amore e pace, questo è il mondo di una donna senza fronzoli, serena e decisa.

 

Esistono donne elettriche? Crediamo di sì, i giornali non ne parlano, ma si rassegnino i potenti barbari invasori del pianeta, da Artemide alle Amazzoni le donne hanno imparato molto e lo mettono in pratica, ogni giorno, nel loro piccolo.

Colpire al cuore, tralicci e coscienze, per riconquistare il cuore.

Vedere il finale per capirlo.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

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