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Lazzaro felice

Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film

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La recensione su Lazzaro felice

di barabbovich
6 stelle

Prima e dopo la caduta. Ci sono due film nel terzo lungometraggio di Alice Rohrwacher, regista che si conferma del tutto non convenzionale, audace e liberissima. Il primo, ambientato nell'alto Lazio in un'epoca imprecisata, racconta la vita di una comunità di mezzadri sfruttati da una nobildonna il cui figlio capriccioso, Tancredi, simula un rapimento. Tanto la donna sfrutta questi umilissimi contadini e allevatori, tanto questi ultimi si approfittano del giovane Lazzaro (Tardiolo), l'incarnazione stessa della bontà, una sorta di Emilio rousseauiano incapace di dire di no a chiunque. Il secondo film, dopo la caduta (la resurrezione, come da parabola evangelica), sposta l'azione in un'altra epoca e dall'estate si passa all'inverno. I bambini e i ragazzi dell'epoca sono diventati adulti, hanno abbandonato la terra dove vivevano e si sono spostati in un'area metropolitana degradata, dove Lazzaro - ancora identico a sé stesso - continua a cercare Tancredi (che stavolta ha le fattezze di Tommaso Ragno), l'amico di un tempo. Se la prima parte, di ambientazione bucolica e giocata sul tema della lotta di classe, sembra una parabola sul capitalismo che è quasi un esplicito omaggio al cinema di Olmi e di Zavattini, un racconto corale ai limiti del fiabesco, carico di poesia, la seconda perde smalto, arranca nello svolgimento narrativo, sembra il complemento sbiadito della prima. Certo è che l'opera, a dispetto dello scarto tra le due parti, ci rivela ancora una volta una regista capace di un cinema tutto suo, perennemente sospeso tra realismo magico (Corpo celeste) e fiaba alleagorica (Le meraviglie), con scelte stilistiche inusitate nelle riprese ma anche nell'uso della lingua. Qui, tutti sembrano parlare come Martufello.

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