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Tartarughe ninja alla riscossa

Regia di Steve Barron vedi scheda film

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La recensione su Tartarughe ninja alla riscossa

di AuroraZwart
6 stelle

In occasione dell'uscita nelle sale del secondo reboot targato, ahimè, Michael Bay, il dovere morale di una figlia dei tardi '80 è rendere l'onore delle armi ad un prodotto troppo spesso frainteso ed inquadrato superficialmente.
Per legittimare una recensione del genere (parliamoci chiaro, resta ormai un franchise per ragazzi imberbi) bisogna scavare nei meandri dell'underground fumettistico. Era il 1984 quando due giovanotti che rispondono al nome di Eastman&Laird fondano i Mirage Studios per autoprodurre un'intuizione che finirà per coprirli d'oro. Teenage Mutant Ninja Turtles nasce come un progetto a metà tra il nonsense più goliardico e l'iperviolenza che iniziava in quegli anni a contaminare l'universo dei comics statunitensi (il Batman nolaniano, pur sempre edulcorato, affonda le radici in quest'epoca).
TMNT, il fumetto primigenio, ha ben poco da spartire con la serie animata, le action figures, i continui reboot televisivi e non, tantomeno con le immagini sui portapenne e gli zainetti di mezzo mondo. TMNT nasce come prodotto per adulti o aspiranti tali: un tripudio di humour nero, teste e arti mozzati, vermi resuscitatori e mistica orientaleggiante, conditi talvolta da un ottimo livello artistico - per i più scettici: recuperare la saga "Souls Winter" - .

 

Dall'inevitabile compromesso tra quella dimensione e le esigenze di box office nasce il primo live action: avanti anni luce nel make up e nell'animazione, riesce a mantenere la dignità del film indipendente pur piegandosi alle leggi di mercato. Incredibilmente cupo e riflessivo, stempera con battute dozzinali e qualche strizzata d'occhio alla cultura pop del periodo. Siamo all'apice del Siglo de Oro del punk e si vede: se oggi Bay da in pasto ai giovani smartphones e subcultura commerciale, qui si respirano ancora skateboards, sale giochi e sigarette (!!!), iconica la battuta "Normali o al mentolo?"..impensabile ai giorni nostri. Judith Hoag resta l'unica April O' Neil possibile, il villain Shredder è perfetto, il resto fa la sua parte. La violenza urbana è quasi sempre implicita ma risulta più credibile della sua controparte moderna, ormai intenta a scimmiottare il terrorismo con la scusa dell'attualità.

Eccellente la colonna sonora metropolitaneggiante, in particolare il lavoro di John DuPrez nell'inossidabile Shredder's Suite.

Dal punto di vista della fedeltà resta il miglior adattamento di una serie illustrata, e non è una boutade. Porcherie come lo Spider-Man di Raimi hanno fissato uno standard cattivo, fasullo e plasticoso. Se i ragazzi del 1990 potevano reggere un'orecchio di topo reciso da una katana, possono farlo anche i nostri. A meno che, per dirla alla Clint Eastwood ma con accezione iperinclusiva, siamo davvero alla "Pussy Generation".

 

Trivia: per il principio contrario all'attore che da solo rovina un film o quasi (per quello vedi, a caso, Katie Holmes in Batman Begins), la Hoag passò alla cronaca per  le sue bizze sul set, ma soprattutto per il rifiuto categorico di indossare la ridicola tuta gialla che caratterizza il suo personaggio nella versione a cartoni. Un dettaglio apparentemente di poco conto che cambia totalmente il registro per un prodotto di questo tipo e inavvertitamente anticipa di vent'anni la comparsa del realismo mondano e del casual nei cinecomic. Scusate se è poco.

 

Un frammento prezioso d'infanzia, recensito con il senno di poi, ma la prima impressione non cambia. 

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