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Ferie d'agosto

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Ferie d'agosto

di lamettrie
8 stelle

Un bel film, molto più complesso di quanto si direbbe di primo acchito, sull’Italia post guerra fredda: si era nel ‘96, ma l’aria, 27 anni dopo, non è cambiata chissà quanto. Il tema politico si sovrappone a quello morale. Senza moralismi, si vede che, gratta gratta, è molto facile che lo squallore umano colpisca tutti o quasi, o che sia promosso da tutti o quasi.

Virzì, che scrisse il soggetto in solitudine e per la sceneggiatura si fece aiutare dal fido Francesco Bruni, ha diretto un film (il suo secondo) che ha pensato appieno, a 32 anni. Un’opera giovanile, per dire, ma già assai matura, con quel tocco che non gli si può negare: ha sempre parlato, in modo profondo e mai banale, dell’esistenza di tutti, delle persone più colte come di quelle meno colte. Lo ha fatto in un modo veritiero, onesto, urtante e provocatorio, senza mai eccedere. Pennellando, i tempi che descrive, con puntualità ritrattistica lodevole. Che sono sempre i tempi del presente. E senza mai scadere nei facilismi, come quelli del conterraneo Pieraccioni o di altri che nei medesimi tempi hanno puntato alla cassetta senz’altre ambizioni, e con cui le opere di Virzì potrebbero confondersi, agli occhi dello spettatore disattento.

Il film parte dalle divisioni sociali e politiche: la sinistra che si sente superiore e migliore, ed oggettivamente lo è. Lo è quanto meno per l’aspirazione all’uguaglianza delle possibilità, e non alla loro disuguaglianza, che è il nascosto, ma storico, cavallo di battaglia della destra. Ciò è rispetto ai (dis)valori di una destra che pesca nell’elettorato ignorante, gretto e individualista. Ma, come detto, la dimensione politica non basta a suggellare una propria superiorità: che moralmente non c’è, come il film mostra. O meglio: non è la superiorità culturale, e delle scelte politiche (almeno in apparenza) a bastare per dare la patente di superiorità morale, e dunque umana in senso lato.

La coralità del film è gestita mirabilmente: quasi una ventina di personaggi si avvicendano, e tutti mostrano ferite e difetti memorabili, per come Virzì li mette in luce. L’intellettuale tronfio e sfigato di un grande Silvio Orlando; la ragazzetta che fa l’alternativa ma con quattro idee in testa e generiche, e che usa la cultura come mezzo per distinguerai dalla banalità che sa di incarnare senza volerlo ammettere, illudendosi di appartenere a una genia superiore (la stessa cosa la fa il seduttore naturista, come il suo amico cantante spiantato…). Qui la cultura italiana sedicente elevata, nutritasi al liceo classico, mostra realisticamente certi suoi difetti.

Le insoddisfazioni del sofferto intellettuale sono però comuni anche all’elettorato di destra: qui, pur nell’orribile deserto culturale del berlusconismo, emergono comunque le frustrazioni, e le nequizie più bieche (il venditore di armi che si bea di ciò, e che ha sposato una donna solo per poter starne vicino alla sorella…)

Due compagnie scalcagnate, dove si vedono i segni di una società che cambia (la coppia di lesbiche, la figlia di quattro anni che va in vacanza con papà e mamma che si detestano e con i rispettivi fidanzati, con cui hanno per di più rapporti ben difficili...), ma anche con una loro certa dose di umana simpatia.

Il cast è poi ottimo: nelle parti volgari rilucono tanto Ferilli quanto Fantastichini; in quelle più sofisticate la Morante e la Ponziani. Ma la recitazione collettiva giova a un film che è un invito all’autocritica di una società che ha bisogno di conformismi: e che, drammaticamente e miseramente, non vuole vedere i difetti della propria impostazione.  Un’Italia che è ancora ferma a riti collettivi quasi tribali (la televisione; l’agosto al mare, altrimenti si prova la vergogna degli sfigati…); e che di buono, però, non misconosce l’importanza della relazione. L’atmosfera vacanziera tricolore, così ricca di stereotipi e povertà mentale, oltre che di piacevolezze varie (la spaghettata, la scappatella….), è ben immortalata, dentro un ritmo sempre vivo.

Il sottofondo è amaro, nel segno della migliore commedia all’italiana. E di una riflessione che la vita impone, a tutti nessuno escluso, al fine di essere più felici, come si dovrebbe fare e come forse si meriterebbe.       

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