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Braveheart

Regia di Mel Gibson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Braveheart

di port cros
6 stelle

Mel Gibson distorce la storia a suo piacimento e enfatizza la figura di William Wallace per trasfigurarlo in una figura leggendaria che fomenti l'esaltazione del pubblico. Nonostante la retorica e la durata monstre, riesce comunque ad intrattenere ed avvincere, soprattutto nelle scene di battaglia.

 

Uno dei filmoni epici più celebrati (fin troppo) degli anni 90, fece incetta di Oscar (cinque, persino quello per la miglior regia per Mel Gibson, oltre a miglior film) nell'edizione del 1996.

Un trionfo commerciale e personale per Gibson alla seconda regia, che nella sua biografia romanzata dell'eroe del nazionalismo scozzese William Wallace ci mette un sovrappiù di retorica e di fondamentalismo per fomentare l'esaltazione del grande pubblico verso una figura storica trasfigurata in un eroe mitizzato, dal cuore puro ed impavido, in lotta contro il male assoluto rappresentato dagli inglesi, il cui dominio oppressivo è esasperato in maniera fin caricaturale per giustificare la crociata indipendentista di Wallace con profonde ragioni personali dovute agli orrendi soprusi subiti.

 

Il regista non si fa scrupolo a distorcere molti eventi storici a fini di drammatizzazione: ad esempio, nella realtà storica, gli irlandesi non erano affatto schierati a fianco degli scozzesi e lo ius primae noctis è una leggenda priva di fondamento. La più campata in aria tra le invenzioni è la storia d'amore con la principessa del Galles di origine francese Isabella (Sophie Marceau), che rimane addirittura incita di lui, a mo' di sberleffo agli inglesi. Ma in realtà la principessa era ancora una bambina e viveva in Francia nel 1305 quando William Wallace morì; la sua venuta in Inghilterra, ancora giovanissima, per il matrimonio con Edoardo II avvenne solo nel 1308.

 

Nonostante esagerazioni e manipolazioni, bisogna ammettere che il film riesce ad intrattenere nonostante la durata monstre di circa tre ore, in cui mette in scena non solo scontro con gli inglesi ma anche dissidi, rivalità e tradimenti interni al campo scozzese, con il pretendente al trono Robert the Bruce ed il padre lebbroso, nonché i capi dei vari clan, alcuni corrotti dal Re d'Inghilterra. Il film realizza al massimo il suo potenziale nelle cruente e spettacolari scene belliche delle battaglie di Stirling e di Falkirk, dove centinaia o migliaia di comparse si coordinano con effetto scenografico e la pellicola colpisce direttamente allo stomaco con l'adrenalina ed il sangue dello scontro armato.

Nel finale, con la tortura e supplizio dell'incorruttibile Wallace fino all'eroico urlo finale “libertà!”, prevale il gusto di Gibson per l'orrido, che prefigura il bagno di sangue della Passione di Cristo.

 

Tra le interpretazioni non mi ha colpito particolarmente quella di Gibson, troppo enfatica, nè quella troppo algida di Sophie Marceau; molto meglio allora Patrick McGoohan nel ruolo del luciferino Re Edoardo I d'Inghilterra.

 

 

 

 

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