Regia di Elio Petri vedi scheda film
Nella propria ultima zampata, giocando la consueta carta dell’invettiva feroce e sarcastica, Petri non risparmia stoccate al moloch già allora imperante e tiranno della tivù. In “Buone notizie (o La personalità della vittima)”, lancinante apologo etico-politico, il medium televisivo viene visto all’origine della perdita d’identità nella società contemporanea, tale ne è divenuto il peso da traslarsi in presenza irrinunciabile per l’individuo medio, quest’ultimo reso insensibile dal costante contatto quotidiano con immagini choc. A questa categoria appartiene il protagonista Giancarlo Giannini, per l’appunto un grigio e freddo funzionario della RAI, travet privo di nominativo tanto nulla è resa la sua identità, indifferente di fronte all’incessante sequela di orrori catodici, il quale non dà peso alle richieste di aiuto dell’amico Paolo Bonacelli che teme di essere ucciso. La tensione drammatica che si respira è quella di un paese calato in un allarmismo insostenibile, e conferisce alla vicenda un risvolto thriller tanto scombinato da essere volutamente posticcio, inverosimile come gli allegorici elementi che arredano il film, le montagne di spazzatura ovunque che testimoniano d’un disordine apocalittico. Facile preda della paranoia incombente, sia nella finzione che nella realtà, il cittadino medio è obbligato a guardarsi intorno, ma la sua anima è tanto imbevuta d’indifferenza e nichilismo da smarrire la chiave dell’enigma. Una volta che l’amico viene effettivamente trovato morto, in circostanze al contempo assurde e paradossali, il funzionario scopre i tanti (troppi) scheletri nascosti nell’armadio a sua insaputa, ma troppo tardi, senza più la possibilità di trovare una risposta e un significato, essendo diventato lui stesso il piccolissimo tassello di un rebus indecifrabile.
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