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Impiegati

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Impiegati

di maurizio73
6 stelle

La sensibilità con cui Avati percepisce i mutamenti di un mondo del lavoro legati al rampantismo ed allo yuppismo di un'epoca in cui si inauguravano open spaces e working team, sembra il contesto propizio per una visione beffarda e amara in cui si rivolgono le relazioni sociali e umane tipiche dei suoi film.

Assunto dalla filiale bolognese della BNL dove aveva lavorato il padre, il neolaureato Luigi si trova catapultato in un mondo giovane e stimolante ma che, sotto la superficie di rapporti umani accattivanti, cova l'egoismo ed il cinismo di una competizione che si fa beffe del suo carattere mite e arrendevole. La sua convivenza con il giovane coinquilino Dario, studente perdigiorno e apatico, sembra peggiorare di molto le cose.

 

 

Scritto insieme all'inseparabile fratello Antonio e tratto da un loro soggetto originale, è il terzo film di Avati degli anni '80 che principiava filone più prolifico della sua carriera dopo la parentesi di genere degli horror padani negli anni precedenti e si inserisce a pieno titolo in quella riflessione autoriale in cui le tematiche sociali e culturali del tempo venivano rielaborate da un'esperienza personale e latamente nostalgica che ne ha fatto un inconfondibile marchio di fabbrica. Se la sensibilità con cui Avati percepisce i mutamenti di un mondo del lavoro legati al rampantismo ed allo yuppismo di un'epoca in cui si inauguravano open spaces e working team sembra il contesto propizio per una visione beffarda e amara in cui si rivolgevano le relazioni sociali e umane, quello che più interessa all'autore sembra la mediocre avidità dei suoi protagonisti, giovani pronti ad agguantare il testimone generazionale rottamando le ridicole macchiette di dirigenti senza spina dorsale ed inscenando lo psicodramma di una pantomima di sotterfugi e manipolazioni da cui ricavarne successo negli affari e nei rapporti privati. Le dinamiche di una segregazione di gruppo e di classe (chi ambisce alla mondanità e chi invece possiede la tessera del golf club!) sono quindi solo gli strumenti che facilitano la cooptazione dei più deboli e indifesi, come pure la volubilità di relazioni sentimentali utilizzate ora come paravento sociale, ma più spesso come proditori meccanismi di manipolazione psicologica in un mondo governato dall'individualismo e dall'edonismo senza speranza. La disillusione del registro però viene sempre confinata nel garbato sarcasmo di una commedia amara, dove si sconta forse una certa approssimazione dei caratteri ma che sa anche avere uno sguardo di compassionevole disincanto verso la galleria di vinti che lo popolano: dall'alter ego accidioso e fragile dello studente del DAMS del biondo Dario Parisini al ciarliero usciere di un istrionico e commovente Nik Novecento, dal capufficio fallito e patetico di Gianni Musy all'indolente mediocrità dell'utile idiota di Claudio Botosso che si accontenta di osservare dalla finestra chi ha il coraggio di vivere la propria vita senza guardare in faccia nessuno. Sono tutti perdenti certo sembra dire Avati, ma è più perdente chi non vuole ammettere di esserlo. Musiche del fidato Riz Ortolani. Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al 38º Festival di Cannes e Golden Globes per l'Italia quale Migliore Attrice Rivelazione alla bellissima e giovanissima Elena Sofia Ricci.

 

 

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