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Oggi a Roma, L'industriale: Giuliano Montaldo racconta il suo film sulla crisi economica
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Fuori Concorso al Festival di Roma stasera alle 19:30 all'Auditorium Santa Cecilia si presenta L'industriale di Giuliano Montaldo, il primo film italiano a trattar di crisi economica. Ancora una volta, per ritornare a parlar di temi attuali, occorre un grande maestro. Chi ha avuto la possibilità di vedere il film parla di un'opera coraggiosa messa in scena dal più "giovane" (pensate, a 81 anni) dei registi presenti alla rassegna.

 

 

 

Al film, interpretato da Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini e Francesco Scianna, dedichiamo uno speciale in cui è il regista  a parlarcene.

 

 

TRAMA:

Nicola ha quarant’anni, è proprietario di una fabbrica, ereditata dal padre, sull’orlo del fallimento. Nicola è strangolato dai debiti e dalle banche, nella Torino che vive la grande crisi economica che soffoca tutto il paese. Ma è orgoglioso, tenace. Ha deciso di risolvere i suoi problemi senza farsi scrupoli, esattamente come le finanziarie che lo vorrebbero al tappeto.

Laura, sua moglie, è sempre più distante. La sta perdendo, se ne è accorto, ma non fa nulla per colmare la distanza che ormai li separa.

Assediato dagli operai che lo pressano per conoscere il loro destino, in attesa di concludere una joint venture con una compagnia tedesca, Nicola avverte che qualcosa sta turbando l’unica certezza che gli è rimasta: il matrimonio. Ma invece di aprirsi con Laura comincia a sospettare di lei. E a seguirla di nascosto.

Tutto precipita. I tedeschi rifiutano l’accordo e Laura annuncia che ha intenzione di separarsi. Nicola annaspa e tira fuori il peggio di sé.

Poi la ruota della vita di Nicola gira. Tutto sembra tornare a posto: l’azienda, il matrimonio, il successo sociale.

Ma Nicola ha più di un segreto da nascondere...

 

 

 

 

«Quando ripenso alle settimane di lavoro per realizzare L'industriale le due prime immagini sono: freddo - calore. Il calore, l'amicizia, la passione, la straordinaria professionalità dei miei compagni di avventura; il freddo, la città di Torino nei mesi di gennaio e di febbraio. Nebbiolina, pioggerellina, nevischio...

 

Il danaro non ha patria... Sulle prime pagine dei giornali, a caratteri cubitali, si legge che sono stati bruciati milioni e milioni di euro.  Ma l'orrenda pira dov’è?  Chi è il boia che appicca il fuoco? La crisi è devastazione e lacrime, come nelle guerre. Tutti siamo a conoscenza di imprenditori che travolti dal fallimento si sono suicidati. Molti erano operai che avevano costruito - con l'aiuto dei compagni di lavoro - delle piccole imprese. Il dolore e l'umiliazione per una sconfitta, inaccettabile dopo tanti sacrifici, sono eventi troppo forti.

 

Leggendo queste drammatiche storie con Vera abbiamo deciso di scrivere un soggetto: la storia di Nicola Ranieri, un giovane industriale che ha ereditato l'azienda dal padre, un operaio emigrato a Torino dalla Puglia negli anni del boom economico. Nicola ha una moglie, ricca proprietaria terriera. Basterebbe una sua firma o quelle della superba suocera per ottenere dalla Banca la sopravvivenza dell'azienda in crisi. Ma l'orgoglio, la tenacia, la testardaggine di Nicola... sono di Nicola, che è fatto così.

 

 

 

Andrea Purgatori è un gagliardissimo compagno di lavoro. Una delle prime sequenze scritte nella sceneggiatura è la visione di una fabbrica occupata. Striscioni con dure frasi di protesta stesi lungo la cancellata, bandiere dei sindacati, tende con brande e coperte, operai intorno ai fuochi per proteggersi dal freddo intenso. Ciò che era scritto nella sceneggiatura è stato realizzato con il talento dello scenografo Francesco Frigeri e la scena - con i volti tesi, tra dolore e rabbia, degli operai e con la livida luce creata da Arnaldo Catinari - era così reale che, subito, scattò l'allarme in tutta la zona. Madri con i figli in braccio, passanti, negozianti tutti con l'angoscia che quella finzione potesse essere realtà. Con i tempi che viviamo... Durante i sopralluoghi nella vasta zona industriale della città avevamo visto molte fabbriche abbandonate e altre occupate - da mesi! - dai lavoratori.

 

Le visioni di una sconfitta. Abbiamo immaginato una città paralizzata dalla crisi (molte città industriali, non solo Torino) con pochissimo traffico e un lontano sottofondo di voci di protesta, tanti cori che reclamano lavoro! lavoro! È  facile immaginare le strade e le piazze di una grande città senza traffico e con pochissime auto, moto e camion parcheggiati, e impossibile da realizzare senza la paziente collaborazione degli abitanti di quelle zone. Grazie anche a loro. E grazie alla preziosa collaborazione della Film Commission Torino Piemonte e della Regione Piemonte».

 

Giuliano Montaldo

 


 

  

 

 

Conversazione con Giuliano Montaldo

 

L’industriale racconta una storia di grande attualità in cui si fondono crisi economica e precarietà degli affetti. Giuliano Montaldo per trasferire in immagini la sceneggiatura scritta con Andrea Purgatori ha scelto ancora una volta Torino, la città in cui aveva ambientato sia il suo primo film, “Tiro al piccione” (1960), sia il recente “I misteri di San Pietroburgo” (2008).

 

 

 

Come è nata l’idea di questo film?

È arrivata con le recenti ed orrende notizie dei milioni di euro persi ogni giorno, del disastro economico in piena “ebollizione” fin dall’anno scorso, vicende di cui siamo tutti vittime e spettatori impotenti. Io non ho gli strumenti per capire chi sia il boia che accende il fuoco di questa pira in cui si brucia il denaro di chi lavora. Ma una cosa mi aveva colpito tra le altre: quelle vite spezzate di tanti operai che negli anni del boom economico e dell’ottimismo avevano costruito piccole aziende con l’aiuto, l’affetto, la spinta e l’amicizia dei loro compagni. E poi, quando le hanno viste fallire, travolte dagli eventi diventati più forti di loro, con gli sciacalli alle porte, le banche che neanche li ricevevano più, soffrendo l’umiliazione della sconfitta dopo tanti sacrifici, hanno finito per suicidarsi.

 

 

Quale storia avete scelto di raccontare?

Quella di Nicola Ranieri (Pierfrancesco Favino), un industriale torinese figlio di un immigrato dalla Puglia, che si imbatte in una crisi economica spaventosa - che non è solo della sua città ma rappresenta lo specchio di tante realtà e di tanti problemi - e tenta orgogliosamente di salvare dal fallimento l’azienda con circa settanta dipendenti che ha ereditato dal padre. Una crisi che crea una cappa di angoscia e di incomunicabilità anche nel rapporto con sua moglie Laura (Carolina Crescentini). Lo vediamo affrontare i difficili rapporti con le banche, con gli operai che lo hanno visto crescere con amicizia e affetto accanto a suo padre e aspettano di conoscere il loro destino. Per Nicola la sconfitta è inaccettabile, preferisce chiudersi in un cupo e testardo mutismo quando in banca gli viene detto che sarebbe facile risolvere i suoi problemi con una firma di avallo di sua moglie e di sua suocera (Elisabetta Piccolomini), che ha sempre avuto un atteggiamento altero e sprezzante verso di lui e magari avrebbe desiderato accanto alla propria figlia un uomo ricco di una grande famiglia piemontese solida e tranquilla. Ne conseguiranno un doloroso confronto con sua moglie, che vorrebbe ritrovare il suo uomo spensierato e divertente come lo aveva conosciuto, e continue difficoltà con il suo legale, l’avvocato Ferrero, (Francesco Scianna) che cerca disperatamente di mediare, sconfortato dalla sua rigidità. Nicola dovrà superare un muro invalicabile formato da banche e speculatori che, spietatissimi, vogliono arrivare al denaro e alla sicurezza della sua famiglia e questo lo umilia ancora di più.

 

 

Che clima avete trovato durante la lavorazione a Torino e nei dintorni?

Fin da quando ci hanno accompagnato per i primi sopralluoghi nella periferia di Torino dove si vive di indotto delle grandi aziende, vedevamo capannoni vuoti, fabbriche occupate, desolazione ovunque, abbiamo vissuto momenti angoscianti. Così io e lo sceneggiatore Andrea Purgatori abbiamo inserito una scena ambientata in una fabbrica, scegliendo di effettuare le riprese in un opificio normalmente in attività e che lo scenografo Francesco Frigeri ha adattato perché risultasse nella finzione un’azienda occupata. L’effetto è stato così realistico che in un attimo si è sparsa la voce che ci fosse davvero una fabbrica in lotta, e in poco tempo sono arrivati operai di altre fabbriche pronti a portare la loro solidarietà, è scattato un vero e proprio allarme. E’ arrivata tanta gente impaurita all’idea di una nuova azienda in crisi. La foto di quella “fabbrica occupata” è stata poi pubblicata su La Stampa. I figuranti erano disoccupati o precari, gente vera con la sua tensione e l’esperienza di vita reale dipinta nei volti, unita alla luce vivida creata dal direttore della fotografia Arnaldo Catinari hanno fatto il resto. C’era una verità sconcertante, sembra una sequenza rubata dalla realtà e invece l’abbiamo costruita meticolosamente. Quando penso al nostro lavoro a Torino penso a due emozioni ben distinte legate al caldo e al freddo. Il calore è rappresentato dalla straordinaria vicinanza amichevole e solidale di tutti i compagni di lavoro; il freddo, invece, dal gennaio e dal febbraio piemontesi tra gelo e nevischio. Questo clima si percepisce nettamente sullo schermo e si capisce anche bene che abbiamo scelto di ambientare la nostra storia in un’indefinita città industriale semivuota, con poche persone e poche auto. Tutto questo per una troupe al lavoro è molto difficile da realizzare, si può fare solo quando hai la complicità, l’amicizia e la tolleranza da parte degli abitanti dei luoghi in cui si gira: noi abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di poter contare oltre che sulla grande collaborazione della Film Commission Torino Piemonte anche e soprattutto su quella dei torinesi, che hanno capito cosa stavamo raccontando ed hanno sentito il desiderio di dare una mano avvertendo tutti la sensazione che si  trattasse di un film anche loro.

 

 

Come ha scelto i suoi interpreti?

Conoscevo Carolina Crescentini fin dai tempi in cui frequentava il Centro Sperimentale di Cinematografia e ho avuto una meravigliosa conferma del suo talento dirigendola qualche anno fa ne “I Demoni di San Pietroburgo” e quindi ho pensato a lei fin da quando scrivevo il soggetto con mia moglie Vera Pescarolo. Avevo visto ed apprezzato al cinema Pierfrancesco Favino ma quando l’ho incontrato e conosciuto l’ho stimato con motivi ancora più fondati, sono rimasto folgorato dalla personalità, intelligenza, preparazione di un attore davvero raro che in seguito sul set mi ha dato la sensazione di avere accanto un amico, una persona che collabora, che non pensa solo al suo personaggio ma anche al contesto generale. Accanto ai due protagonisti c’è un cast eccellente, a partire da Francesco Scianna, che è l’avvocato che si barcamena per aiutare Nicola strangolato dai debiti e dalla banche; per proseguire con Roberto Alpi che interpreta un banchiere determinato e lucido nella sua spietatezza; il rumeno Eduard Gabia, un ragazzo simpatico che aveva già lavorato in Italia, e che con noi ha recitato il ruolo di un artista che per campare è costretto a fare il garagista. Con lui Laura scambia qualche parola nel momento in cui non riesce a parlare con Nicola, creando qualche disagio e gelosia perché suo marito non capisce il motivo di quella complicità verso un garagista, per di più rumeno. Andrea Tidona è invece un amico del nostro protagonista, cerca di tirarlo su, gli dà una mano, gli dà qualche euro per tirare avanti, anche lui aveva un’azienda ma poi si è stufato, ha mollato, e ora gli consiglia di fare altrettanto, ma Nicola non vuole. Elena Di Cioccio è un’amica di Laura con cui lei si confida e si sfoga, mentre Mauro Pirovano è il ragioniere della fabbrica, stretto tra le pressioni dei fornitori e la crescente tensione degli operai, mentre Gianni Bissaca è Saverio, l’amico del padre di Nicola che cerca di capire cosa succede e pretende da lui la verità. Ma hanno collaborato con noi anche diversi attori locali e molti torinesi che hanno dato vita ad una sorta di afflato collettivo con cast e troupe, dispiegando intorno al nostro set un cordone ideale di strette di mano. La gente era felice di vedere questo clima di calore e di amicizia che ho condiviso con Vera, mio prezioso collaboratore, con mia figlia, la costumista Elisabetta Montaldo, mio nipote, l’aiuto regista Inti Carboni, l’altra mia nipote, la truccatrice Iana Carboni,  il direttore della fotografia Arnaldo Catinari, lo scenografo Francesco Frigeri e i suoi assistenti. A questi si è aggiunta per il montaggio Consuelo Catucci, una grande professionista. Confesso che è stata una grande emozione lavorare accanto ad Andrea Morricone che ho visto crescere, sviluppare il suo grande talento con impegno e con la grande passione degna del nome che ha ereditato. Ma tra tutti è stato determinante il rapporto di grande lealtà e simpatia con Angelo Barbagallo produttore del film. E con Rai Cinema a cui sono legato da un rapporto consolidato di stima, professionalità e amicizia.

 

 

Che cosa si augura con questo suo nuovo film?

Soprattutto che faccia riflettere gli spettatori. Vorrei che alla fine della proiezione fuori dalla sala si creassero dei capannelli di persone pronte a discutere, se occorre anche a litigare sulla vicenda che abbiamo raccontato. Se questo succede il film ha vinto, vuol dire che se ne parla, che è un film che rimane. Spesso accade e allora viva il cinema.

 

 

 

 

 

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