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Per Amelio
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In un Paese che sembra avvitarsi sempre più su se stesso fino a strozzarsi, ci si dimentica che esistono nicchie di eccellenza spesso dimenticate. In un Paese ammalato di inesorabile declino culturale, economico-sociale e morale, sopravvivono gemme di talento artistico, di capacità imprenditoriale, di vivacità intellettuale, di resistenza popolare che rallentano il nostro procedere verso l'abisso. Una di queste gemme è Gianni Amelio, cui non saremo mai abbastanza riconoscenti per lo straordinario impegno, il talento cristallino e per ricordare al mondo che qualcosa di assoluto valore c'è anche qui da noi. Il recentissimo premio della critica internazionale al Festival di Toronto è un doveroso omaggio a un regista mai del tutto riconosciuto dal nostro Paese come autentico maestro. E' un regista che lavora poco, ma quel poco è di grande valore. Finezza, rigore stilistico e, soprattutto, a mio avviso, una straordinaria capacità di scavare nell'animo umano e coglierne le sfumature più intime, le venature sentimentali recondite, il piccolo e grande universo delle nostre pulsioni, delle nostre angosce, delle nostre miserie.

Prendiamo PORTE APERTE (1990), capolavoro assoluto, dove un immenso GianMaria Volontè nobilita la figura del giudice a latere responsabile e indipendente in un'armonia, amio avviso perfetta, con quella disegnata da Leonardo Sciascia.

 Prendiamo LE CHIAVI DI CASA (2004), storia struggente e intimista, capace di profondità interiori strabilianti.

Oppure, prendiamo LA STELLA CHE NON C'E' (2006), un viaggio fisico ma soprattutto "morale" del protagonista, Sergio castellitto, all'interno della Cina e in particolare di se stesso. Una storia che combina in modo magistrale la scoperta di una realtà a noi sconosciuta e lontana (in tutti i sensi) come il pianeta Cina e una graduale coscienza della propria incapacità,o almeno difficoltà, a mettersi in gioco, a "capire" non solo la realtà che lo circonda ma anche se stesso. E veniamo a questa sua ultima fatica LE PREMIER HOMME, tratto dal romanzo incompiuto di Albert Camus. Non l'ho ancora visto, per cui non ne parlerò, ma niente e nessuno mi toglie il dubbio che ci sia qualcosa di più che una semplice impossibilità, per banali questioni di tempistica, di mandare a Venezia il film. Ma non serve a niente fare polemiche. Volevo solo rimarcare la figura artistica di un  regista che non sembra godere fino in fondo della stima di critica e pubblico. Forse per una sua sua virata pare definitiva verso i temi intimisti e sicuramente per la sua coerenza stilistica, lontana anni luce da certo cinema nazional-popolare. Quel che certo è che Amelio non dirigeva film da 5 anni e che sono stati i francesi a chiamarlo per dirigere la sua ultima fatica. E a fargli vincere un premio internazionale.

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