Espandi menu
cerca
MEMORIES OF MURDER E PARASITE -- PARLIAMO UN PO’ DEI DUE CAPOLAVORI DI BONG JOON-HO
di ilcausticocinefilo
post
creato il

L'autore

ilcausticocinefilo

ilcausticocinefilo

Iscritto dall'11 giugno 2019 Vai al suo profilo
  • Seguaci 62
  • Post 32
  • Recensioni 189
  • Playlist 34
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

 

In occasione dell’uscita (bramata, attesa, a lungo agognata, infine concessa) nelle sale dell’ultima, clamorosa, opera di Bong, quel Parasite che (come tutti sanno) ha fatto e continua a fare, giustamente e fortunatamente, sfracelli un po’ in tutto il mondo (e non solo al box-office), m’è molto banalmente balenata alla mente l’idea di dedicare un post ai due “estremi” della carriera del grande regista sudcoreano, ovvero a quei due film che, a rigore, ad ora si possono considerare i suoi capolavori: il riferimento, ovviamente, è a Memories of Murder e al sopraccitato Parasite.

Del resto, qual miglior momento di questo per parlarne? Appunto.

 

 

      

A scanso di equivoci dirò fin d’ora che sì, è più che giusto ritenere anche tutti gli altri film del regista degni di nota, quali più, quali meno, ma che, a mio modestissimo, parzialissimo, opinabilissimo giudizio i due che soli possono ambire alla medaglia d’oro, ai più alti onori e ai più svergognatissimi encomi, altri non sono che i due oggetto del presente post.

 

Comunque sia, per iniziare, meglio partire dalle origini (ma non mi dire…).

Bong Joon-ho, regista ora tra i più conosciuti del panorama asiatico, nasce a Daegu (o Taegu che dir si voglia) nel settembre 1969, da una famiglia per così dire già “fortemente integrata” nel mondo delle arti (il padre, difatti, è graphic designer, mentre il nonno materno un famoso scrittore, Park Taewon).

Al termine del liceo, seguendo il consiglio dei genitori, piuttosto che dedicarsi subito al cinema, consegue prima una laurea in sociologia (e solo questo dovrebbe contribuire a spiegare molte cose circa i temi che sceglierà poi di trattare lungo la sua filmografia…).

In seguito, ecco che, dopo aver completato un corso biennale presso la Korean Academy of Film Arts, per alcuni anni Bong svolge diverse mansioni nelle produzioni più disparate, finché non arriva a conquistarsi le prime menzioni alla sceneggiatura in film come Motel Cactus (1997, di Park Ki-yong) e Phantom the Submarine (1999, Min Byung-cheon), entrambi comunque inediti in Italia.

 

 

Dopo un breve periodo, ecco arrivare l’esordio alla regia con quel Barking Dogs Never Bite che, tra i “fanatici” è ora divenuto un oggetto quasi di culto (tra l’altro ha come protagonista femminile quella Bae Doo-na che poi diventerà una delle attrici coreane più famose del Nuovo Millennio), ma che all’epoca ha riscosso poco se non quasi nullo successo. Ma si tratta di un film che già rivela, in sottotraccia fin che si vuole, ma le rivela tutte le qualità del Bong regista-sceneggiatore (tanto che lascerà lievemente spiazzati sia la critica che il pubblico, caratteristica peculiare anche di tutto il suo cinema successivo…).

 

 

Bene.

Tutto questo per dare, a chi si trovasse a sentirlo nominare solo ora, di fronte all’uscita in sala di Parasite, un rapido quadro della vita del regista che lo ha portato (ecco che arriviamo al punto) infine a dirigere il suo primo capolavoro appena alla seconda “incursione” dietro la macchina da presa.

Memories of Murder.

Quel Memories of Murder che lo ha rivelato per la prima volta al pubblico nel suo paese (dove ha registrato un ottimo successo) per il grande regista che è.

Non intendo addentrarmi nei dettagli della trama (anche per non rovinare la sorpresa) se non per dire che trae spunto da una serie di stupri e delitti realmente avvenuti tra il 1986 e il 1991 nell’area della città di Hwaseong (non a caso noti come “gli omicidi seriali di Hwaseong”); delitti rimasti senza soluzione fino al settembre di questo anno quando, a 13 anni dallo scadere della prescrizione, la polizia ha annunciato di aver trovato corrispondenze nel DNA che farebbero risalire gli omicidi a tal Lee Choon-jae, per altro già in carcere per lo stupro e l’omicidio della cognata. Inizialmente Lee si è limitato a negare, ma il 2 ottobre ha infine confessato l’omicidio di 14 persone (nonché lo stupro o il tentato stupro di più di 30), inclusi quelli oggetto di tutti e nove i casi irrisolti, oltre ad altri cinque prima non attributi al medesimo serial killer.

Quel che oggi, per il sollievo dei parenti superstiti delle vittime, ha infine raggiunto una qualche forma di chiusura, ciononostante in tutti gli anni precedenti post-dittatura, ha finito per imprimersi a forza nella memoria collettiva dei coreani che ancora lo ricordano come uno dei crimini più efferati della loro storia; rievocato, in un modo o nell’altro, dalle opere tra le più disparate (oltre al film di Bong il modesto filmetto d’intrattenimento Confession of Murder [2012] , nonché tutta una serie di serie televisive coreane, altrimenti note come “k-dramas [korean dramas]” come Gap-dong [2014], Signal [2016, con relativo remake giapponese nel 2018], Tunnel [2017], ecc.).

 

 

Dunque, una vicenda, in patria, ben nota che comunque fornisce “meramente” lo sfondo al grande affresco che decide di comporre il regista. Il quale costruisce un thriller appassionante che, come gli si confà, finisce per mescolare in sé i generi più disparati (drammatico, azione, ovviamente poliziesco, persino commedia) in un tutt’uno che ha qualcosa di semplicemente grandioso.

Recitato benissimo (specialmente dal “solito” Song Kang-ho, nientemeno che uno dei migliori, e più celebri, attori coreani in circolazione), sceneggiato con puntiglio quasi millimetrico (al pari del successivo Parasite), diretto e fotografato ottimamente (indimenticabile la sequenza all’imbocco del tunnel, nonché il finale da pelle d’oca), Memories of Muder è un film che non potrà che rimanere ben saldo nella memoria di qualunque spettatore, un film che non può assolutamente lasciare indifferenti.

 

Una tragica constatazione delle miserie di un regime per altro in rapido disfacimento (letteralmente agli sgoccioli all’alba del 1986), ma anche e soprattutto della connessa arbitrarietà (e spesso violenza) dell’azione poliziesca, nonché dell’illusorietà (forse) di qualunque forma di giustizia, che fatica ad arrivare e anche quando arriva arriva sempre troppo tardi e spesso non senza rendere adeguato servizio alle vittime.

Una visione tragica, tetra, livida e senza vie di scampo, che anche nel finale (come detto, indimenticabile) ribadisce l’impossibilità di giungere alla verità.

Davvero un grandissimo film, meglio: un capolavoro che, come tutti i capolavori, presenta le più disparate chiavi di lettura.

Un capolavoro che si è conquistato, come detto, un ottimo successo di pubblico e critica in patria, dove infatti ha finito per vendere oltre cinque milioni di biglietti e ha ricevuto una lunga stringa di entusiastici riconoscimenti nei più svariati festival del paese, compresi i premi a miglior film, regista, attore (Song) e fotografia ai Grand Bell Awards (ovvero, i più prestigiosi e antichi premi cinematografici della Corea del Sud, un po’ banalmente definiti “gli Oscar coreani”). Ignominiosamente scartato da Cannes e Venezia, ha comunque ricevuto la sua anteprima internazionale al festival di San Sebastian e si è guadagnato un ottimo riscontro critico in paesi come la Francia e gli Stati Uniti.

 

 

Negli anni successivi a tale grande successo (il suo vero e proprio primo “colpo grosso”), Bong sin dedica dunque alla regia di una serie di interessantissimi film (il geniale The Host, il potente Mother, l’allegorico Snowpiercer, il satirico e sottovalutato Okja), fino ad arrivare, infine, al secondo capolavoro con il recente Parasite. Senza ombra di dubbio uno dei migliori film della stagione.

Un altro affresco, dai connotati fortemente politici nonché fortemente satirici, che ci può far tranquillamente dire che il regista ha ormai raggiunto la piena maturità.

Perché Parasite è un film come se ne vedono sempre meno, di questi tempi. Un’opera geniale e immancabile, un thriller angosciante dalla tensione montante e irresistibile che culmina nel più inaspettato grand-guignol. Ma non solo: una satira corrosiva di una società sempre più atomizzata, una commedia perfino sfacciata nei suoi risvolti surreali ed esilaranti (vedi tutta la questione della “parte schizofrenica del dipinto” che viene data in pasto alla beata ignoranza della “dolce signora”…), un film spiazzante, dal grande portato, pieno di risvolti e sfaccettature, complesso e stratificato. Una spietata radiografia della realtà di oggi che non può lasciare indifferenti.

Un film che descrive una realtà crudele e impietosa, dove le diseguaglianze si fanno sempre più marcate e rilevanti e la società sempre più inflessibile o indifferente: una realtà ostile all’interno della quale la simpatica famigliola al centro della vicenda tenta di arrabattarsi come riesce.

 

 

Una realtà complessa dove non esistono distinzioni nette, “buoni e cattivi”, e dove persino i meno abbienti, tragicamente, finiscono, volenti o nolenti, per farsi la guerra tra loro, non sempre agiscono per il meglio e, in definitiva, tentano, come detto, semplicemente di sopravvivere.

Mentre nel finale MINI-SPOILER: non vince nessuno. Perché la realtà non è così semplice come in certi filmetti: è tendente al grigio. La realtà non fa sconti (e la possibilità di un lieto fine, o anche solo di una pacata riconciliazione, appare una futile chimera).

Una scena, su tutte, sintetizza mirabil­mente la gran parte delle tematiche del film: quella della tempesta. I protagonisti, fuggiti dall’immensa villa, s’affret­tano in una sorta di “discesa agli inferi” fino ai recessi più bui e ai “sotterranei” più invisibili della loro grande città, solo per vedere quel poco di vita che avevano fi­nire completamente stravolta. Le piogge deva­stanti sconvolgono radicalmente la loro vita e quella di tanti altri (forse solo per poco, tuttavia ciò non cambia i fatti), ma il giorno dopo i ricchi proprietari della casa non si preoccupano d’altro d’organizza­re una sciocca festa a sorpresa per i loro “figliol prodigo”, ignorando del tutto i segni del disastro intor­no a loro ed anzi rallegrandosi che il tremendo acquazzone abbia portato un po’ di salubre “aria fresca” (dimostrando, una volta in più, di vivere in una sorta di “bolla”, del tutto separati dal mondo esterno, che non sia quello degli altri facoltosi come loro, ma dopotutto lo si era già capito con la storia del pe­culiarissimo odore che resterebbe addosso a quelli che viaggiano in metropolitana quanto fossero del tutto persi nel loro mondo incantato). FINE MINI-SPOILER

 

 

 

Insomma, le classi, le diseguaglianze non sono mai scompare, e con esse (anche tragicamente) il contrasto, l’animosità, la lotta.

Parasite è film di sottilissima ironia (e satira), di grande compartecipa­zione e commozione (col proseguire della visio­ne) e di grande spessore, per altro diretto magistralmen­te.

Il controllo sulla forma del regista, difatti, è totale: la cura nella costruzione delle inquadrature impeccabi­le e i cambi di tono tipici della sua filmografia sono gestiti alla perfezione (d’un tratto, difatti, ci si rende conto di star trattenendo il respiro “a causa” d’una tensione quasi intollera­bile quando solo fino a poco prima si sta­va sorridendo).

Ma il quasi ineccepibile risultato finale è molto dovuto anche alla fotografia e alle ottime interpretazioni de­gli attori (soprattutto [e te pareva…] d’un sempre eccel­lente Song), qualità innegabili della mes­sinscenache, insieme a tutto il resto, fanno di Parasite un film memorabile, sicuramente come già detto uno dei migliori film della stagione e altrettan­to sicuramente uno dei film che più si meritano tutti gli encomi di cui è stato ricoperto.

Dunque, si capisce, meritatis­sima la Palma d’Oro a Cannes (prima volta in assoluto per un film coreano). E meritatissimo anche il successo di pubblico, in patria come all’estero (ad oggi ha incassato oltre 110 milioni di dollari ai botteghini: il miglior risultato per Bong nonché, sempre ad oggi, 3° miglior incasso di sempre del cinema coreano).

 

Tutto ciò fa ben sperare. Che un simile film riesca ad ottenere un tale successo fa ben sperare.

Ribadiamo: Parasite è un capolavoro, davvero un film eccellente, che viene in questi giorni finalmente distribuito anche nelle sale italiane.

In sintesi, non perdetevi l’occasione e andate a vederlo.

Non ve ne pentirete.

 

Parasite (2019): Trailer ufficiale italiano

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati