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Rupert Everett, lo sconosciuto dall'inconfondibile postura.
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Con l'occasione dell'uscita nelle sale del film “The Happy prince”, il Lucca Film Festival ha pensato bene di ospitare nella cittadina toscana il regista e attore del film Rupert Everett e conferirgli un premio alla carriera.

Chi è stata ragazzina negli anni '80 come me, potrà ben capirmi: Rupert Everett è stato una vera e propria icona in quel decennio, un attore ombroso, dal fascino tutto britannico, con quel sorriso che arrivava improvvisamente a rischiarare un viso altrimenti cupo.

Dylan Dog con "Dellamorte Dellamore”-1993 di Michele Soavi (certo), ma per me più che altro è David, il figlio di puttana in “Ballando con uno sconosciuto”-1985, di Mike Newell o Davide ne “Gli Occhiali d'oro”-1987 di Giuliano Montaldo; due film questi che mi colpirono umoltissimo all'epoca e che rivedendoli oggi li trovo poco invecchiati grazie soprattutto alla presenza di Everett che gli ha donato quel fascino necessario per diventare dei cult.

Ma oggi? Negli ultimi venti anni ha lavorato in maniera continuativa, ma senza coprire più un ruolo veramente di spicco. Per questo suo primo film come regista ha faticato non poco per trovare i soldi necessari per cominciarlo e terminarlo (ben 10 anni a suo dire), e il periodo ha combaciato con un momento personale di forte fragilità.

Everett ha voluto fortemente questo film, ha visto nel personaggio di Oscar Wilde un eroe che lui paragona addirittura ad un moderno Cristo per quanto riguarda le sofferenze e le umiliazioni ricevute nell'ultima parte della sua vita (e il film racconta proprio il momento successivo alla scarcerazione di Wilde e al suo esilio in Francia), ma umano nelle debolezze e nei vizi che lo hanno portato alla distruzione psicologica, fisica e alla perdita del suo estro artistico.

Devo confessare che a stento riconoscevo nel signore distinto con la barba e i capelli rasati, il dannato David di “Ballando con uno sconosciuto”, mi pareva davvero molto sconosciuto il simpatico inglese che sul palco correggeva l'interprete che non traduceva correttamente alcune sue parole (Everett parla molto bene l'italiano, e lo capisce benissimo).

 

Prima della premiazione mi ero nascosta dietro ad un pilastro del cinema Astra (vicino al bagno) per scorgerne l'arrivo e poterlo fotografare da vicino. Avendo paura di non saperlo riconoscere, cercavo in tutte le maniere di cogliere le avvisaglie dovute all'agitazione di uno staff del luogo purtroppo poco adatto a certi eventi, che non ha saputo organizzare al meglio l'accoglienza per un divo della portata di Everett, obbligandolo a nascondersi (perché poi?) in uno stanzino accanto al bagno in attesa della premiazione sul palco. In quei pochi momenti concitati, in cui ho rubato pochi scatti sfuocati, ho riconosciuto immediatamente il mio David-Dylan-Davide-Rupert, non certo per il suo viso che è davvero cambiato molto in questi anni, ma per l'inconfondibile postura e per quegli occhi dolcissimi che sembrano sempre sorpresi per qualcosa che ancora gli deve capitare.

La voglia di rivedere con Everett un pezzo della mia adolescenza, mi ha dato l'occasione di guardare il suo film, che sulla carta mi ispirava pochissimo, e che invece ho trovato molto buono, complice anche la visione in lingua originale che è un motivo in più per apprezzare a pieno il film e la capacità attoriale di Everett.

Per me è stato come ritrovare un vecchio compagno del liceo...invecchiato bene e che ha ancora tante cose da raccontare.

 

 

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