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Annientamento. A ripetizione.
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C'è Annientamento che mi aspetta da dieci giorni sul mio Netflix. E su quello di diverse centinaia di migliaia di utenti sparpagliati nel mondo. L'ultimo film diretto da Alex Garland (Ex Machina) ci è arrivato a valle di una breve, ma intensa, querelle che ha riguardato la scelta della Paramount di distribuire il film in sala solo in Usa, Canada e Cina e nel resto del mondo solo su Netflix. Se ne è già parlato anche su questo sito ma ciò che non è stato detto molto in giro è che la decisione è arrivata da parte della Paramount come soluzione al diniego dell'autore di intervenire in maniera sostanziale sulla caratterizzazione di Lena (Natalie Portman), il personaggio principale della pellicola, e sul finale. Paramount ha mandato giù la decisione del regista (e di un produttore esecutivo) ma a quel punto ha optato per una distribuzione in sala solo sui mercati che garantivano sufficiente dimensioni e quindi diffusione, cedendo così a Netflix l'esclusiva del film in tutti gli altri territori.

Guardando il trailer italiano - prima di quello originale - avevo sentito nella voce di Natalie Portman una durezza, una spigolosità, che mi sono apparse immediatamente distoniche rispetto alle espressioni che le passavano sul volto ma ho pensato che la mia radicata abitudine alla lingua originale mi stesse giocando il solito scherzo e comunque un trailer non è abbastanza, ovviamente, per trarre qualsiasi conclusione. Quindi mi dirigo sul mio account di Netflix dove scopro che ho la possibilità di vedere il film in Inglese, Italiano, Spagnolo, Francese e Tedesco e decido subito di guardare i primi cinque minuti in tutte le lingue per confrontare le versioni tra loro e per verificare la solidità della sensazione.

Apro il pannello di controllo e decido di iniziare questa indagine (de noartri) con l'inglese. Il film si apre con un interrogatorio. Natalie Portman (Lena) è seduta su una sedia, ha evidenti ferite sul volto, la postura mi induce a pensare che sia fisicamente a terra, quasi annichilita, appunto, ma che ci sia un filo che la lega ancora alla realtà circostante, anche se piuttosto esile. Nella stanza insieme a lei ci sono tre uomini, che indossano tute bianche e caschi anticontaminazione. Fuori dalla stanza c'è una marea di gente, tutti al riparo, dietro a tute e caschi. "What did you eat?" La voce dell'ufficiale che la interroga è salda, ma in qualche modo empatica, sembra partecipe, sinceramente interessata, consapevole dell'esilità di quel filo che ancora tiene Lena in vita(?). Una partecipazione che si espande e si allarga anche alla protagonista, che risponde in maniera distesa, per quanto incerta, calante, dubbiosa ma non per la pressione dell'interrogatorio, quanto per l'esperienza che deve aver vissuto, per le implicazioni che quegli eventi devono aver avuto sulla sua esistenza.

Passo all'italiano. Riprendo dall'inizio. E appena l'uomo che conduce l'interrogatorio apre bocca resto di stucco. "Che cosa hai mangiato? Avevi razioni per due settimane, sei stata nell'area per circa quattro mesi", chiede. E già mi sembra che la domanda abbia una dose di aggressività non indifferente, ho sentito quell'intonazione anche quella volta che sono stato sorpreso da mia madre mentre bevevo una boccetta di inchiostro blu della Pelikan, rubata da un cassetto della sua scrivania. Non proprio amichevole, insomma. Proseguo. "Non ricordo di aver mangiato" dice Lena, ma l'intonazione rispetto all'inglese è completamente differente, è già sulla difensiva, la voce risulta lievemente stentorea, un po' di gola, sicuramente non di pancia. "Quanto tempo credi di esserci stata?" Ancora, l'intonazione è da vero interrogorio, non c'è alcuna traccia di simpatia, proprio zero. "Giorni, forse settimane" dice lei. In inglese l'intonazione è calante, rassegnata, c'è dell'ombra, dell'oscurità che si fa sentire, ma viene da dentro, da un posto lì dentro che avrebbe preferito dimenticare. In italiano sale, si strozza un poco, risponde a tono, risponde all'interrogatorio, non a una consapevolezza che fa male, che brucia da qualche parte.

L'equivoco prosegue, l'interrogatorio che apre il film in inglese è un mezzo per sentire la sofferenza della protagonista che deve tornare a fare i conti con qualcosa di oscuro, l'interrogante è un mezzo non un antagonista, c'è umanità da vendere, non ci sono solo fatti, eventi, responsabilità da identificare. I chiaroscuri in italiano se ne vanno, Natalie Portman ha una barriera, un che di militare stereotipato addosso, quando risponde che non ricorda, che non sa. E quando tace all'ultima domanda tragica, shakespeariana, "Cosa sai allora?"

Già, cosa sappiamo noi? Cosa sappiamo, ad esempio, di quale sia stato il messaggio dato da Netflix ai responsabili dei doppiaggi internazionali? Forse qualche residuo di incertezza della Paramount sulla eccessiva complessità del personaggio intepretato da Natalie Portman si è fatta sentire? Forse hanno ritenuto possibile semplificarlo cambiando qualche tono qua e là, qualche accenno troppo interiore, troppo da trip acido? Possibile che abbiamo pensato di introdurre qualche standardizzazione, qualche stereotipizzazione, fin dalle prime battute? Passo all'ascolto dello spagnolo, del francese, e persino del tedesco. Ascolto, più che guardare, la stessa scena dell'interrogatorio in tutte le lingue, più volte. E niente, il primo dialogo del film è completamente sfalsato, nessuno dei doppiaggi pare restituire il senso dell'originale in inglese, il corretto gioco dei ruoli, la profondità di campo, la dimensione interiore. Stasera vedrò il film, in lingua originale, perché a questo punto ho bisogno di verificare se le sensazioni che ho ricavato dai primi cinque minuti, se quella dimensione interna, dolente, annichilente permane anche sul passo lungo dell'intero film.
Qui sotto ci sono i due trailer italiano e inglese, la scena che ho raccontato è presente in forma di sintesi ed è assolutamente sufficiente per rilevare le differenze. Se qualcuno desidera sapere invece perché ho deciso di bere tutta la boccetta di inchiostro Pelikan, me lo può chiedere. Con partecipazione ed empatia, per cortesia, che è stata una brutta esperienza...

Annientamento (2018): Trailer ufficiale italiano



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