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Anthony Mann, James Stewart e il West
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«I'm not a genius. I'm a worker»

Rispondeva così Anthony Mann alle acclamazioni della giovane critica francese degli anni Cinquanta, ai Cahiers du Cinema che lo esaltavano come uno dei più grandi autori del cinema contemporaneo. Non si definiva un genio, quanto piuttosto un semplice mestierante. E invece Mann è stato davvero un cineasta straordinario, dotato di un incredibile talento visivo per la costruzione dell'immagine. La sua collaborazione artistica con James Stewart diede vita, tra il 1950 e il 1955, a cinque capolavori immortali del western, opere da considerarsi però fondamentali non soltanto all'interno di questo genere. I titoli sono: Winchester '73(1950), Là dove scende il fiume (1952), Lo sperone nudo (1953), Terra lontana(1954) e L'uomo di Laramie (1955).

Prima di incontrarsi lungo i sentieri del West, sulle montagne rocciose del Colorado o sui monti del Wyoming, Anthony Mann e James Stewart si erano incrociati per la prima volta negli anni Trenta, sui palcoscenici di Broadway. Durante gli anni, Mann si era affermato come giovane autore di piccoli noir di culto per la RKO (Morirai a mezzanotte, 1947; T-Men contro i fuorilegge, 1947; Schiavo della furia, 1948; Egli camminava nella notte, 1948 non accreditato). James Stewart era invece già una star internazionale, volto tra i più popolari nell'America degli anni Quaranta oltre che valoroso eroe di guerra (era stato decorato come generale di brigata delle forze armate per i suoi meriti in battaglia). Stewart, però, era in cerca di ruoli diversi, che gli permettessero di scrollarsi di dosso la sua immagine di eterno bravo ragazzo.

L'occasione giusta arriva nel 1950. Anthony Mann, che nello stesso anno aveva già diretto due western per niente trascurabili (Il passo del diavolo, tra le prime opere filo-indiane, e Le furie, ambizioso melodramma shakespeariano ambientato nel selvaggio West), viene ingaggiato dalla Universal, su suggerimento proprio di James Stewart, per la regia di Winchester '73. Il progetto sulla carta è rischioso. Il pubblico americano non è abituato a vedere il suo "Jimmy" in ruoli ambigui, e soprattutto il fisico alto e sgraziato dell'attore mal si presta ad un genere fisico come quello per eccellenza del cinema americano. E invece il successo è incredibile: Winchester '73 sbanca ai botteghini, grazie alla grande presa sul pubblico di una storia corale orchestrata magnificamente, e che vede per la prima volta l'attore beneamino del pubblico nel ruolo di un cupo vendicatore.

A proposito, ai due nomi già citati ne andrebbe aggiunto un terzo. E' quello di Borden Chase, lo sceneggiatore di Winchester '73 e di altri due film di questa ideale "pentalogia", che innesta nel genere imponenti tematiche morali: il desiderio di riscatto, il senso di responsabilità, la ricerca di pace e di stabilità, la valorizzazione di una idea collettiva di benessere comunitario e di solidarietà, i rimandi religiosi e alla tragedia greca classica. Seguono così Là dove scende il fiumeLo sperone nudo (prodotto dalla Mgm), Terra lontana e L'uomo di Laramie (Columbia). Il riscontro commerciale è in tutti i casi ottimo, ma la critica statunitense non si accorge della grandezza del cinema di Mann, cosa che verrà fatta invece dai redattori dei Cahiers francesi.

Nel riguardare oggi ognuno di questi cinque film, non smettono di stupire la grandezza visiva e la purezza di un cinema che esprime attraverso le immagini una propria impostazione morale. L'uso del CinemaScope è finalizzato ad ottenere una profondità di campo e spazi di grande respiro, che suggeriscono la tensione emotiva provocata da un paesaggio sterminato e sconosciuto. I piani ravvicinati, invece, restituiscono tutta l'instabilità emotiva e l'inquietudine di personaggi tormentati. Le panoramiche, le carrellate e i brevi piano-sequenza sembrano "vivere di vita propria" (Pollone) e incollano nervosamente la macchina da presa sui corpi degli attori.

Già, gli attori. Protagonista assoluto è lui, un James Stewart sublime, capace di delineare in modi inaspettati questi cinque antieroi senza patria e in continuo viaggio. Tutti uomini tormentati dalla ricerca di una vendetta, nella maggior parte dei casi, o di una via salvifica per riscattare un passato vergognoso. Eroi vulnerabili, spesso feriti o sottomessi a torture fisiche degradanti e umilianti, prede di contraddizioni alle quali non sanno o non vogliono dare risposta. Insomma, eroi incredibilmente umani. Basta guardare i film in lingua originale per rendersi conto dell'incredibile lavoro dell'attore: per rendere le ambiguità di personaggi non proprio positivi, modifica anche il timbro di voce rendendola roca e poco rassicurante.

 

 

Durante gli anni Cinquanta, Anthony Mann e James Stewart torneranno a lavorare insieme in altre tre occasioni. Lo stesso Jimmy diventerà un habituè del genere western, e Mann continuerà la sua carriera tra alti e bassi. Ma i loro cinque western restano indelebili, capolavori da recuperare necessariamente per chiunque intenda farsi un'idea di un cinema classico e incredibilmente puro. Un cinema, come è stato definito da André Bazin, "di una franchezza commovente".

 

WINCHESTER '73

Il filo conduttore è un fucile, lo splendido, inestimabile Winchester modello 1873, definito "uno su mille" per la sua incredibile precisione. A contenderselo sono in molti. Tra di loro ci sono i due fratellastri Lin McAdam (Stewart) e Dakota Brown (Stephen McNally): Lin è sulle tracce di Dakota, deciso a vendicare l'uccisione del patrigno per mano proprio del fratellastro. I rimandi religiosi ad Abele e Caino sono evidenti, in una contrapposizione fratricida destinata a concludersi necessariamente in modo tragico. La regia di Mann è già da scuola di cinema: le sequenze notturne, la profondità di campo ed i primi piani nervosi sui visi dei personaggi trasmettono il senso di tragedia incombente. Spettacolare la fotografia in bianco e nero di William Daniels, e gran cast di caratteristi (Dan Duryea, Shelley Winters) ad affiancare gli interpreti principali.

 

LA' DOVE SCENDE IL FIUME


"Quando una mela è marcia, bisogna gettarla se no fa marcire tutto il mucchio". "C'è differenza tra le mele e gli uomini..."

Alla guida di una carovana di pionieri verso l'Oregon c'è il misterioso e taciturno Glyn McLyntock (Stewart), che ha un passato vergognoso da cancellare. Ex rapinatore scampato all'impiccagione (della quale porta i segni sul collo nascosto da un fazzoletto), Glyn è alla ricerca di un riscatto morale che porti pace nel suo animo tormentato. Il primo western in Technicolor di Mann contiene i temi tipici del suo cinema e dello sceneggiatore Borden Chase: il rimorso, la mancanza di fiducia, la responsabilità e la colpa, l'espiazione. Western morale dalla incredibile forza visiva, un tantino inferiore agli altri per qualche ingenuità di scrittura ma comunque imperdibile. 

 

LO SPERONE NUDO

Howard Kemp (Stewart), reduce della Guerra Civile, è sulle tracce del fuorilegge Ben Vandergroat (Robert Ryan) e della sua donna Janet Leigh), e lo trova grazie all'aiuto di un soldato e di un vecchio cercatore d'oro, incontrati per caso durante la caccia all'uomo. La strada per riportarlo a casa e intascare la taglia è lunga, soprattutto se il bandito comincia a mettere i tre uomini uno contro l'altro. "Dividere in due sarebbe meglio che dividere in tre!", suggerisce Ben. Realizzato per la MGM e sceneggiato da Sam Rolfe e Harold Jack Bloom, è un gioco al massacro tra cinque personaggi (solo cinque), dominati tutti, chi per un motivo chi per l'altro, dall'avidità e dalla sete di denaro. Anzi, sembra quasi che i ruoli si capovolgano, per quanto i "buoni" siano in realtà molto più spietati del "cattivo". Attori strepitosi, con un James Stewart come al solito bravissimo anche perchè qui il suo personaggio assume connotazioni ancora più negative che negli altri western di Mann. Non gli sono però da meno i comprimari, con uno straordinario Robert Ryan nel ruolo del perfido "oggetto del desiderio" e il vecchio Millard Mitchell, cui spetta una delle battute più belle: "Ho cercato l'oro per tutta la vita... Tutta la vita è tanto, specialmente se poi non lo si trova!"

 

TERRA LONTANA

https://hotdogcinema.files.wordpress.com/2012/01/far-country.jpg

Jeff Webster, trasportatore di mandrie in continuo movimento, è cinico, solitario, indifferente verso tutto e tutti, perchè, come i muli, preferisce stare solo, badare soltanto a sè stesso, non fidarsi di nessuno ed evitare di soffrire. Remissivo ed interessato solo ai suoi affari, evita di opporsi al crudele tiranno Gannon (John McIntire) che spadroneggia a Gateway. Ma, quando questi decide di colonizzare anche un tranquillo villaggio di minatori dell'Alaska e uccide il suo compare (Walter Brennan), allora decide di agire. Il tema centrale è quello della responsabilità individuale nei confronti della comunità ma, sottesa, vi è una continua, instancabile ricerca di un senso di pace e stabilità. Pur allegerita da situazioni e personaggi ironici, la tensione è costante e percettibile, fino ad esplodere insostenibilmente in un finale notturno magistrale, con il suono di un campanellino ad annunciare l'arrivo della resa dei conti. Tensione che nasce dai tormenti dell'animo, dall'impotenza, dal viso e dal corpo di Stewart pronti ad esplodere ma repressi da un rifiuto ad agire. Tra i cinque western della coppia Mann-Stewart è quello che forse resiste meglio alla prova del tempo. E' un film che acquista valore maggiore ad ogni sua revisione. Non per niente, da molti è considerato il vero capolavoro del regista. Voto

 

L'UOMO DI LARAMIE

"Vengo da Laramie" "Ah, è di Laramie?" "No, no. Francamente io non mi sento di un posto piuttosto che di un altro". "Eppure hanno tutti un paese al quale sentono di appartenere". "Non io. A me pare sempre di essere nato dove sono".

Il sergente Will Lockhart giunge in una cittadina del Nuovo Messico per vendicare il fratello ucciso dagli indiani. Deve scoprire chi vende loro le armi, e finisce per essere coinvolto in una faida familiare. Generalmente poco apprezzato, L'uomo di Laramie è secondo me il capolavoro assoluto della coppia Mann-Stewart perchè è l'opera definitiva, riassuntiva di tutti i temi cari al regista: l'ossessione della vendetta, il destino fatale e già scritto, i rimandi edipici ad un rapporto padre-figlio basato sulla incomunicabilità e la mancanza. Tutti e quattro i personaggi principali maschili sono legati da questo rapporto: il vecchio patriarca Alec (Donald Crisp) che tenta di mettere sulla retta via il figlio incapace al comando, il capo-mandriano Vic (Arthur Kennedy) legato da affetto filiale nei confronti di Alec ("Il tuo vero figlio ero io, ma tu mi ignoravi, non ti accorgevi neanche di me. Nessun figlio ha mai voluto così bene a suo padre!"), il cinico Will che sembra in realtà il figlio che il vecchio avrebbe sempre voluto avere. La sceneggiatura stavolta è di Philip Yordan, che si ispira ad una impostazione da tragedia greca. Per comprendere lo straordinario talento di Anthony Mann, basterebbe la carrellata in primo piano sul corpo di Stewart mentre aggredisce Dave: la macchina da presa stringe sempre di più su di lui ed il suo passo diventa incombente e aggressivo fino ad avventarsi sul suo oppositore. C'è anche una delle più dolci dichiarazioni fatte ad una donna: "Ci sono molti modi per essere belle e lei lo è. Di una bellezza calma". Chiusura del cerchio, opera immortale.

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