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Io, Daniel Blake

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Io, Daniel Blake

di ethan
6 stelle

A Newcastle Daniel Blake (Dave Johns), un carpentiere vedovo indigente sulla sessantina, dopo un attacco cardiaco fa richiesta per l'indennità di malattia ma questa gli viene negata: mentre rifà la domanda, al locale ufficio del Centro per l'Impiego deve svolgere tutte le pratiche burocartiche relative alla richiesta di un ipotetico lavoro, lui che è insofferente alle scartoffie ed incapace di usare il computer. Sul posto conosce e solidarizza con Katie (Hayley Squires), ragazza madre di due figli, trasferitasi da Londra in una casa in affitto piuttosto fatiscente. Tra i due disperati nasce un rapporto quasi filiale, con l'uomo che, tra telefonate a numero verdi che non rispondono mai, ritorni all'ufficio alle prese con zelanti impiegati, tenta in tutti i modi di dare una mano alla giovane donna.

'Io, Daniel Blake', a dieci anni esatti da 'Il vento che accarezza l'erba' segna il ritorno alla vittoria del premio più ambito a Cannes - la Palma d'Oro - per il regista britannico Ken Loach, ma il suo cinema di denuncia sociale e grande impegno civile, in una parola sola 'politico', ha perso parte dello smalto e della rabbia dei tempi migliori, situati in due periodi diversi: quello degli esordi, tra la fine dei '60 e il principio dei '70 con opere importanti come 'Kes' e 'Family Life' e poi nella prima metà degli anni '90, con un titolo più bello dell'altro ('Riff Raff', 'Piovono pietre', 'Ladybird Ladybird', 'Terra e libertà'); quest'ultima sua fatica - come del resto la sua filmografia nella quasi totalità - tocca argomenti alti, come lavoro, povertà e soprattutto persone comuni schiacciate nella morsa di leggi che hanno smantellato buona parte del Welfare e cavilli burocratici cervellotici che, di fatto, invece che essere d'aiuto al cittadino medio, non fanno altro che peggiorare la sua situazione già precaria di per sè, portando tante esistenze ad esasperazione e disperazione.

La capacità di narrare non è venuta meno, come quella di condurre gli attori, pressoché sconosciuti, ad una buona resa interpretativa, ma ciò che si è persa per strada è la capacità che Ken 'il rosso' aveva di graffiare nel profondo, mista a sapienti spruzzate di ironia e sarcasmo che non mancavano mai: qui l'autore, si limita a restituire in immagini rigorose, composte da lunghe sequenze molto dialogate, che si chiudono quasi tutte con dissolvenze in nero, un messaggio, un grido disperato che viene dal basso, già ripetuto, in forma e modalità migliori, in molti lavori precedenti (il già citato 'Piovono pietre', ad esempio).

Venendo poi a sviluppo del plot e personaggi, mentre il primo segue canoni a dir poco prevedibili, i due caratteri principali sono un concentrato tale di sfortune - lui, malato, vedovo, all'antica, refrattario all'uso delle tecnologie moderne che di fatto lo escludono dal mondo sociale, lei, come detto madre di due bambini in età scolare, disoccupata, senza casa di proprietà, nemmeno in grado di trovare un lavoro e quindi di nutrire la prole, si dà alla prostituzione - che fanno si che siano quanto di più ricattatorio si sia visto.

Un cinema senza dubbio 'generoso' ma con forti scompensi tra intenti, lodevoli, e resa artistica, controversa, il cui primo premio a Cannes pare più un messaggio 'politico' della Giuria verso i governanti di tutto il mondo che una gratifica verso il lavoro dell'anziano film-maker, visti anche gli altri concorrenti in gara.

Voto: 6,5.

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