Regia di Ken Loach vedi scheda film
La risposta britannica alle divertenti e sempre più squinternate cagate di HollyWoody che ormai ha stufato con le sue commedie alto borghesi targate upper west side, lateral Schick, la psicanalisi e la sua... religione. Per questo avrebbero dovuto contestarlo a Venezia! Non per altro! Grande Ken Loach che almeno racconta sempre la vita "vera" 8½
Non sarò ferrato quanto voi in merito, ma non mi viene in mente nessun altro capace di raccontare la gente comune come n'è capace Ken Loach, più volte premiato cineasta britannico, sempre impegnato nel raccontare gli ultimi, quei soggetti che il cinema commerciale, pur blasonato, difficilmente ritrae.
E se lo fa, non è comunque capace di farlo con la perizia e quel piglio distaccato quanto basta, da rendere così credibili , così peculiari, le sue opere.
Ecco perché l'ho sempre visto in contrapposizione al cinema di Woody Allen, sempre, ma proprio sempre, spesosi nel raccontare una società borghese altolocata quale, i personaggi del cinema di Loach nemmeno si sognano, sanno solo che esiste.
Per altro, anche a livello di immagine, Allen si è sempre avvalso d'interpreti affermatissimi, famosissimi; egli stesso ha contribuito al loro successo, talora ne ha forgiati e poi sfornati egli stesso un discreto numero di "icone" ormai ricorrenti nelle sue opere.
Il cinema di Loach invece, anche in questo, si differenzia, quasi si schiera potrei dirvi, ribadendo la sua posizione politico/ideologica, avvalendosi quasi esclusivamente di interpreti sconosciuti ai più; non dico veri e propri dilettanti allo sbaraglio - no, anzi, lo stile di Loach è molto sobrio e compito, molto ligio, pertinente alla più veritiera realtà possibile - ma certamente provenienti da un giro più modesto, limitato ad un preciso ambito, probabilmente di derivazione teatrale, o comunque a quel tipo di cinema che potremmo chiamare minimalista, tipicamente inglese,
A d'ogni modo, sono rarissimi i casi in cui il britannico si è avvalso della collaborazione di attori di un certo spessore mediatico.
Tenuto in gran considerazione nel cinema britannico, l'affermato cineasta vanta più di un seguace.
Uno di questi è Peter Mullan, che da attore per Loach, è passato dietro lo sa cinepresa in più di un occasione, e, se pur con stile diverso, si è occupato di tematiche sociali in maniera altrettanto impegnata - "Magdalens"; "my name Is Joe", forse i suoi titoli più conosciuti, di certo, più riusciti.
Ma non è l'unico.
A tal proposito parlando di questo tipo di cinema, porto sempre l'esempio di una certa commedia britannica quale attinge a piene mani nel cinema di Loach, e il cui sfondo sociale, il suo background, è sempre ben descritto e ha una forza, una rilevanza preponderante ai fini della storia che va a raccontare. Due fulgidi esempi riuscitissimi restano "Billy Elliot" e "Grazie signora Tatcher".
Dal canto suo Loach, come sempre impegnato con il suo cinema "sociale", anche in questo ci racconta qui le vicissitudini di quest'uomo, Daniel Blake, quale, per una condizione di salute che si scoprirà esser precaria, perderà il proprio lavoro, a cui per altro era molto attaccato e che assolveva con profonda passione e dedizione, per ritrovarsi proiettato nel mondo del precariato e del disoccupato.
Si ritroverà così a dover prima chiedere, poi mendicare, il lavoro inizialmente, la minima sussistenza in seguito, riuscendo nel frattempo, anche a farsi carico, non a livello legale, no di certo, ma solo affettivo, delle desolanti, talvolta drammatiche vicissitudini di una ragazza madre e i due figlioletti, afflitta dallo un po' per senso umano, e umana carità, un po' per solitudine, per bisogno di quel calore sempre umano... ma anche per sentirsi a suo modo e malgrado, ancora utile!
A qualcuno e, prima ancora, a se stesso.
Inizierà per lui un estenuante iter burocratico senza fine, burocrazia mirata per altro, proprio ad esasperare il malcapitato affinché si arrenda rinunciando così ai propri diritti... ma che lo porterà anche a importanti implicazioni affettive nei riguardi di questa trio madre-figli, afflitto dallo stesso male, ovvero la precarietà... che pure si affezioneranno, profondamente... al brav'uomo.
Loach, fedele al suo stile asciutto e pacato,, mantiene sempre una certa distanza tra il suo protagonista e lo spettatore, non solo a livello di scrittura, ma anche propriamente di inquadratura. E paradossalmente, questo porta lo stesso spettatore, a riconoscersi più facilmente, a identificarsi a volte, nel personaggio che osserva sullo schermo.
Anche il montaggio risulta molto sfaccettato, tagliato; le scene spesso sono tronche e mai fluidamente collegate, quasi mai connesse da nessuna sorte di guida.
I dialoghi pure sono molto asciutti, esigui, le parole spese, quasi centellinate, vanno risparmiate per quegli esaustivi incontri con i servizi sociali. Le agenzie interinali...
Insomma, io so di che parla il film...
So di che parla Ken Loach.
Io so che lingua parla questo grande artista, ora come ora, quanto mai necessario.
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