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The Fighters - Addestramento di vita

Regia di Thomas Cailley vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Fighters - Addestramento di vita

di logos
7 stelle

Arnaud e Madeleine, un ragazzo e una ragazza, con vissuti diversi e carattere agli antipodi. Ad Arnaud è appena mancato il padre, aiuta il fratello a portare avanti l’attività di costruzione di fabbricati in legno, ma si sente un po’ spaesato rispetto alle sue potenzialità; anzi, a dirla tutta, non sa che fare di sé e del suo futuro, trascorre le giornate e le serate con i suoi amici, ma senza una direzione precisa; al contrario Madeline ha già compiuto un corso sui modelli economici, ma non sa che farsene, perché il suo vero scopo è quello di apprendere l’arte della sopravvivenza, dal momento che è convinta che il mondo possa finire da un momento all’altro per variabili economiche, demografiche ed ecologiche. Si incontrano per caso sul lungomare, dove i ragazzi vengono ammaestrati per gioco nell’autodifesa, in occasione di una campagna promozionale di iscrizione nell’esercito; si ritrovano così a combattere l’uno contro l’altra; soltanto che lei in un batter d’occhio lo stende mentre lui si divincola con un morso al polso che nessuno nota. Il tutto condito con sottile ironia. Sembra di aver a che fare con un film che parla alla leggera dei giovani, delle loro contraddizioni, delle loro spacconate, disorientamenti… Ma c’è qualcosa che segnala altre aperture di genere, soprattutto l’inqueta musica di fondo, con il suo ritmo ipnotico, un po’ sospeso e al tempo stesso veloce elettrico.

I due giovani sono destinati a rincontrarsi, perché il caso vuole che il fratello e Arnaud costruiscano un gazebo proprio presso la piscina della famiglia di Madeleine. Dapprincipio Madeleine ci appare molto più determinata di Arnaud, sa cosa fare del suo futuro per la fine del mondo: iscriversi a un corso duro di preparazione per entrare nei paracadutisti; Arnaud la guarda quasi inebetito e cotto, forse anche con il senso di inferiorità per averle morso il polso. E in effetti Madeleine glielo fa pagare quel gesto, con qualche acida battuta, ma piano piano i due sembrano avere un rapporto quasi amichevole, al punto che lui l’accompagna all’iscrizione al corso, lei viene invitata dalla famiglia di Arnaud a cena, e in più i due escono insieme una sera con gli amici. Ma Madeleine non si diverte, le sembra tutto inutile; che cosa le serve ballare in discoteca, andare a farsi un bagno al mare, se tanto tutto dovrà finire…? No, meglio prepararsi al peggio, continuare ad allenarsi alla sopravvivenza, iniziare il corso a cui si è iscritta. Arnaud, catturato da quel suo spirito combattivo, lascia baracca e burattini, e si decide di fare il corso insieme a lei.

 

Dal genere ironico stile balneare si passa a quello militare, cameratesco, dove il regista pone l’attenzione sugli sforzi collettivi, sul senso di solidarietà che ci deve essere in un gruppo pronto a combattere. Ufficiali e sottoufficiali appaiono nella loro bella figura, pazienti e autorevoli, verso dei ragazzi altrettanto affabili e coraggiosi, nella corsa, nei salti, nella simulazione di combattimenti con fucili a aria compressa che sparano bombe di colore. Qui il film muta nel genere, diventa una vera e propria panoramica del teen action movie, se non per la presenza dissonante della stessa Madeleine, che divampa in tutte le sue contraddizioni: da una parte vuole essere più degli altri, ma dall’altra non è in grado di farcela da sola; vuole saperla lunga circa le strategie di attacco ma poi il suo sapere naufraga nella sopravvivenza a tutti costi piuttosto che nello spirito di gruppo: non accetta di perdere nelle simulazioni, e quando il gruppo si incammina nella foresta e smarrisce il cammino se la prende proprio con Arnaud che è a capo della spedizione. Se Arnaud cerca di proteggerla, di alleggerirle le difficoltà, Madeleine al contrario diventa sempre più irrequieta, persino invidiosa delle capacità di Arnaud, che lentamente diventano sempre più evidenti. Alla fine le dinamiche vanno un po’ sopra le righe, Madeleine chiede scusa ad Arnaud per il suo comportamento, Aranud cerca di baciarla ma lei rifiuta, allora lui se ne va via dalla foresta, con l’intento di rifarsi una vita normale. Ma a questo punto Madeleine lo insegue, e si ritrovano entrambi lontani dal gruppo, finalmente soli, e decidono di intraprendere quella sopravvivenza nella foresta che Madeline aveva sempre desiderato.

 

Di colpo, il genere si fa romantico e catastrofico. Romantico perché nella foreste i due giovani si abbandonano alla natura, ne comprendono i tempi, le attese e il riposo, e capiscono che sopravvivere significa anche non far niente e recuperare le forze, significa lasciar passare il tempo senza pensare, ma in quest’arte imparano a scoprirsi fisicamente nel fare l’amore. Catastrofico perché sul più bello, Madeline sta male, inizia a vomitare, sembra quasi morire per soffocamento, e tutto si fa buio, quasi come se fosse la fine del mondo, e vengono trovati svenuti in un sobborgo, nel bel mezzo di un incendio scoppiato nella stessa foresta, tratti in salvo da un fantomatico pronto soccorso in ambulanza. Tutto finisce bene, i due si ritrovano sani in ospedale, con il coraggio di dialogare da adulti e con occhi ironici, sul punto di proseguire un amore o concludere un’avventura. Ma nel frattempo qualcosa è cambiato: hanno perso molte cose, miti e sovrastrutture; sono più reali, più leggeri, meno rigidi, più pronti alla vita, perché in loro qualcosa è sopravvissuto: l’anima, che ciascuno dei due, a suo modo, nascondeva e si vergognava di avercela addosso.

 

Come opera prima di Thomas Cailley, il film è davvero notevole; forse per l’esuberanza che veicola c’è un po’ di tutto: commistione di generi, dalla commedia all’apocalittico, dal romantico più universale al cronachismo documentaristico provinciale, con riprese in cui il caotico è sempre sottotraccia, per rendere meglio l’idea del traballante mondo, soprattutto nell'età di formazione, dove tutto è sfumato, e le cose sembrano troppo vicine per poterle inquadrare e colpire andando oltre di esse. E’ un film che sottolinea come la sopravvivenza non sia soltanto uno sforzo smisurato contro chissà quali ostacoli, ma anche un saper lasciarsi andare alla vita, con tutto quel che di buono e di brutto la vita ci offre. Perché sopravvivere significa accordarsi con la vita, e non remare contro di essa. Possiamo dire che è un film sulla crescita in un mondo che ha smesso di crescere, o un film che dice come il mondo, anche se sta per finire, non ci esime dal crescere comunque, perché alla fin fine il mondo è innanzitutto in noi, e va giocato nell’esistenza, nel mostrarsi all’altro, con le proprie debolezze e richieste di asilo… Ma per quanto cerchi di analizzarlo, questo film mi sfugge, ha in sé qualcosa di magico e di debordante. Perché con la metafora della catastrofe sembra che il film alluda al fatto che in ogni amore, in ogni crescita, in ogni presa di coscienza, ne va del proprio essere, si ha a che fare con una perdita, che bisogna saper accettare fino in fondo se si vuole continuare a vivere nel significato profondo che si ha di sé. E non è facile veicolare un messaggio così forte con uno stile mescolato e forse sfacciatamente post-moderno… E che non è facile lo si vede anche nello stile, che per ora va meglio raffinato, perchè, ogni tanto, appunto deborda, vuole dire tutto di colpo, come se quell'adolescenza sia ancora troppo vicina da poterla mettere davvero a fuoco. Eppure al netto di ciò, il film, per quel che mi sembra, è davvero un bel gioiellino, che si presta a molte letture, anche contrastanti sul versante etico e anche politico...

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