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Omar

Regia di Hany Abu-Assad vedi scheda film

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La recensione su Omar

di OGM
8 stelle

Quest’anno, anche la Palestina ottiene la nomination all’Oscar. Con una storia che rattrista non per i morti e la violenza che la popolano, ma per la meschinità che essa ci rivela, sotto la nobile facciata della lotta per la libertà. Dietro gli ideali ci sono sempre gli uomini, che li sostengono e li coltivano, rischiando la propria vita. E che, alla prima occasione, li vendono invece a poco prezzo, per soddisfare un istinto qualunque, o per realizzare una misera rivalsa personale. Omar e Amjad sono due ventenni uniti dall’amicizia e dal comune impegno nella causa palestinese. Sono due terroristi, rispettivamente il complice e l’esecutore materiale dell’assassinio di un soldato israeliano. Tuttavia non è il crimine a renderli due personaggi negativi. Il drammatico contesto mediorientale, efficacemente ribadito nell’antefatto, non ci pone in condizione di formulare, sul loro operato, un giudizio morale. A stendere su di loro la lunga ombra del sospetto provvederanno le ordinarie faccende umane, i problemi sentimentali, le rivalità in amore, mischiate ad una discreta dose di  banalissima paura. Per rompere la coerenza  basterà un sogno di nome Nadia; la coscienza si sporcherà del fango incautamente raccolto attraversando le vie del cuore. Il romanticismo è una debolezza che ha già in tasca la soluzione a buon mercato dei dilemmi che scatena. Contiene l’innesco della bomba del tradimento, ed il fuoco per accendere la miccia. Questo film porta alla luce il tumulto interiore trasformandolo in una tiepida aura di inquietante ambiguità. La guerra, nel frattempo, cambia obiettivi e campo di battaglia, spostando il fronte all’interno del gruppo dei combattenti, e individuando in certi sconosciuti, temibili segreti, i nuovi pericoli da cui guardarsi le spalle.  Ai progetti di attentato si sostituiranno così i complotti e le trappole per scovare le spie, ed i sotterfugi per avere salva la pelle; se si prenderà in mano la pistola, sarà sulla scia di un momento di rabbia.  La metamorfosi suona grottesca, se espressa a parole, ma il racconto la presenta nella sua naturale veste di percorso passionale, che, per i due giovani protagonisti, coincide con il difficile viaggio, irto di ostacoli,  ma pieno di slanci ed emozioni, lungo il quale si incamminano verso il futuro. Il film di Hany Abu-Assad lo descrive attraverso il filtro della loro incertezza, di individui coraggiosi che però, guardano al mondo dalla prospettiva ristretta dei prigionieri, senza riuscire a vederlo bene, senza poterne parlare apertamente, e, soprattutto, senza avere nessuno che, saggio e fidato, glielo sappia spiegare per quello che è.

 

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