Espandi menu
cerca
Big Bad Wolf

Regia di Lance W. Dreesen vedi scheda film

Recensioni

L'autore

scapigliato

scapigliato

Iscritto dall'8 dicembre 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 137
  • Post 124
  • Recensioni 1361
  • Playlist 67
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Big Bad Wolf

di scapigliato
10 stelle

Per entrare nella fratellanza esclusiva del college, malsana tradizione americana, un giovane nerd invita i capi supremi e le loro bambole gonfiabili alla capanna rustica del di lui patrigno per ingraziarseli. Ovviamente all’insaputa dei genitori. Qui, dopo la giusta dose di alcol e sesso, arriva il big bad wolf delle favole. Il lupo cattivo tanto caro alle narrazioni fiabesche è qui un werewolf insolitamente parlante che aggredisce le sue vittime in un chiarissimo trasporto sadico e libidinoso. Dopotutto, il big bad wolf di cappuccetto rosso, seppur in termini diversi, rappresenta la stessa minaccia sessuale o addirittura il viatico sessuale per l’emancipazione.

Tutta la prima parte del film è straordinaria. Non solo la regia e i dialoghi sono professionali e nulla lasciano al pressapochismo del prodotto di cassetta, ma anche i giovani attori fanno davvero bene la loro parte: quella della carne da macello. Su tutti va davvero menzionato il protagonista, Trevor Duke. Nulla di eccezionale, certo, ma funzionalissimo alla sua parte e con una presenza scenica efebica che porta con sé non solo la sua connaturata bellezza femminea, ma anche tutta una serie di sottotesti sessuali. Perfetto nel ruolo del gentile pivello inesperto in tutto, insicuro di sé in ogni campo, da quello relazionale a quello sessuale, da quello decisionista a quello emancipatore, Trevor Duke ingentilisce l’aspetto bestiale del mondo che lo circonda e si oppone in questo al patrigno, fin da subito avvertito come il lascivo uomo lupo. La dissolutezza del lupo mannaro si scontra così con la virtuosità del protagonista, la cui purezza è contraltare della libidine della bestia liberata.

Ma il film non parla di un mostro castratore che arriva là dove dei giovani agiscono immoralmente per punirli, bensì arriva all’interno di una concupiscenza e la deflagra esasperandola. Il lupo mannaro infatti, arriva là dove dei ragazzi trasgrediscono per trasgredire esso stesso, però ad un livello superiore di insostenibilità borghese. Una figura quindi che rappresenta sì la bestialità liberata, ma in accezione positiva. A sbagliare sono i giovani che si accoppiano tra loro basandosi su regole moralistiche da infrangere o, al contrario, da temere. Il big bad wolf invece non trasgredisce a nessuna morale, e nessuna morale teme: perché a nessuna moralità risponde. Libera solo la sua bestialità castrata già dall’universo giovanile contemporaneo.

Ecco quindi che è il ruolo di Trevor Duke a diventare il ruolo castratore. É lui, con la sua ragazza, a voler uccidere il mostro responsabile della morte degli amici o presunti tali. E qui si apre un’altra riflessione, credo però un po’ più azzardata. Le vittime della carneficina mannara non sono amici del protagonista, ma ragazzi che il protagonista vuole accattivarsi per poter entrare nella fratellanza. Si sa che l’entrata in ambienti settari corrisponde ad una serie di privilegi massonici su cui si fondano non poche comunità dette “democratiche”. Sovrapporre questo desiderio di appartenenza ad una setta politico-religiosa, che tali poi sono le fratellanze, all’impeto castratore ai danni di una bestialità superiore ed incontrollata, fanno del protagonista l’emblema dell’America puritana e WASP, ben più pericolosa di un laido e affamato lupo mannaro.

Grazie a questa lettura il film non è solo un grande divertimento narrativo ben costruito e ben oliato nei suoi snodi, ma è anche un tentativo di raccontare il mito dell’uomo lupo apparentandosi con posizioni neo-con dove la bestia è sì l’elemento disturbante da eliminare, ma i cui persecutori non sono da meno. Questa lettura, forse forzata, emerge inconsciamente e indirettamente dal sostrato culturale americano.

Un film quindi che sa trattare il tema della bestialità mannara con un attenzione particolare ai vari livelli di lettura e di azione, considerando fondamentale il dualismo intrinseco del mito. Infatti noi spettatori siamo lì a tifare sia per il giovane imberbe, ma anche per l’uomo lupo che vogliamo vedere alle prese con i suoi istinti sessuali. E in questo la regia ci soddisfa non poco. Fin dall’inizio la pornografia dell’horror compie il suo dovere mostrandoci l’immostrabile. Ecco che il big bad wolf dapprima divora due ragazzi che se ne stavano all’aperto a trastullarsi, poi entra nella capanna a disturbare il bello e figo di turno a cui non basta un rapporto orale ma vuole pateticamente sempre e solo penetrare il sesso femminile come unico trofeo della propria virilità. Il werewolf arriva, gli scopa la ragazza e poi gli strappa l’uccello con le sue stesse zampe, prendendolo pure in giro per le dimensioni. Infine, laido e insinuante, il lupone prende il figliastro per la gola e gli fa notare di essersela fatta sotto. Anche questo rientra nella sfera dei segni sessuali e libidinosi che compongono questo film per nulla moderato in quanto a linguaggio e allusioni. In più, per avere la prova che il patrigno del protagonista sia davvero un uomo lupo serve della materia corporea, come i capelli, ma quando il reperimento di questi fallisce ecco che la nostra eroina si umilia sacrificale in una suzione al sospettato. Lo sperma conservato in bocca le permetterà di avviare le analisi del caso e arrivare così alla conferma dei loro sospetti. Questo fattaccio causerà incomprensione e tensione nei due innamorati mettendoli a loro volta a rischio di contagio licantropico per la loro auto-isolazione.

Il film finisce là dov’era iniziato, alla capanna. Altri grandi spargimenti di sangue, smembramenti a vista, sbudellamenti feroci: tutti rappresentati con naturalezza, tanto come l’elemento sessuale, a parallelizzare ulteriormente il sesso con la morte, la carne con il sangue, il corpo con lo smembramento. Dopotutto il mito dell’uomo lupo è il racconto di una mutazione fisica più che spirituale. La carne è il fulcro tematico del racconto licantropico. Senza la carnalità non esisterebbe il mito della bestialità mannara.

Ma anche senza il topos della maledizione la leggendarietà del licantropo perderebbe consistenza e chiavi di lettura importanti. Nel film di Lance W. Dreesen c’è anche questo: il patrigno infatti cerca di bloccare sul nascere le sue trasformazioni, per poi cedervi quando nulla è più possibile. Ma in Big Bad Wolf più che di una maledizione si parla di una sessualizzazione dell’azione epica. L’epos attraverso l’atto sessuale. Fellatio varie, pruriti adolescenziali, tradimenti coniugali, perversioni bestiali, penetrazioni animalesche, laide espressioni da orco scandiscono i moduli narrativi, per altro atipici, della narrazione. Lasciando così ad intendere come sia centrale nella narrazione lupesca la presenza del discorso sessuale, di natura castrante come libertina. In sua assenza il racconto perderebbe la sua essenzialità mitica. La sessualità, la carnalità, la mutazione e la maledizione della carne sono la mitopoiesi del mito del lupo mannaro.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati