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The Snitch Cartel

Regia di Carlos Moreno vedi scheda film

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La recensione su The Snitch Cartel

di OGM
8 stelle

Limpio y luminoso. Pulito e splendente. Martin Gonzalez vorrebbe essere così, agli occhi della sua Sofia, il cui nome, di origine greca, significa sapienza. Però Martin è un narcos.  è sempre stato, fin da bambino, insieme al suo inseparabile amico Pepe Cadena. E quindi è abituato a vivere in fuga, inseguito dalla polizia, dai suoi nemici, poi dai suoi amici e infine persino dalla sua donna. Martin, fino ad un certo punto, si esaltava al pensiero di essere ricco e potente. Credeva di poter comprare con i soldi anche la felicità di Sofia. Una sanguinosa guerra opponeva il suo cartello a quello di Medellin, ma intanto lui si godeva la bella vita. Fino a che, con la morte di Pablo Escobar, la situazione, anziché pacificarsi, si è complicata. In quel momento il traffico di droga è diventato per lui una pericolosa ossessione: un’avventura potenzialmente mortale vissuta sul filo del rasoio, sotto la pressione del guadagno da realizzare, dei conti da saldare, di una vita costantemente minacciata dai colpi sparati a tradimento. Il dinamismo dell’action movie segue il ritmo incalzante della disperazione: le alleanze si  ridisegnano, i confini territoriali si spostano, nulla è più certo, e Martin si trova proprio nel centro della spaccatura, impegnato a sopravvivere sotto una pioggia di tiri  incrociati. Una volta la sua frenesia era dettata dal desiderio di ottenere di più: adesso quel desiderio si è trasformato in una necessità. Ci sono errori da rimediare, debiti da onorare, e inoltre bisogna continuamente guardarsi le spalle per poter sopravvivere. La sua esistenza si stringe attorno a quel filo intricato fatto di rischi e progetti, di viaggi segreti, di accordi estemporanei e labili, e così, in un attimo, Martin diviene un uomo solo. Un uomo che può contare unicamente sulle proprie forze e sull’occasionale sostegno di complici inaffidabili ed oscuri faccendieri. Sofia si sente abbandonata e, a sua volta, scopre l’angoscia dell’isolamento, nel quale il benessere non fornisce alcun conforto. Il sentimento svanisce, dentro un universo prosciugato dalle logiche del possesso: non è una considerazione di stampo morale, bensì la constatazione di un processo meccanico, nel quale il principio dell’avere, dovendo adattarsi alla limitatezza della condizione umana, impone opzioni molto precise e nette. Il tutto, tirando la coperta dalla propria parte, lascia dietro di sé un nulla fatto di cose passate in secondo piano. L’escalation criminale di Martin va di pari passo con la radicalizzazione della sua scelta di servire il sistema che coltiva, produce, trasporta e smercia la cocaina. La filiera inizia nel fitto della foresta, con le foglie raccolte e messe a macerare dentro catini di plastica, e finisce per le strade di Miami, tra raffiche di mitragliatori  e auto della polizia che saltano in aria. In mezzo c’è un cammino difficile e sbagliato. Fra le due estremità si estende una sofferenza silenziosa che, nelle retrovie, fa da eco sommessa alla rumorosa lotta di chi combatte a mano armata. Succede in tutte le guerre del mondo.  Anche in questa, forse meno nobile di altre per gli scopi che persegue, ma ugualmente rispettabile per la quantità di dolore che semina intorno a sé.

 

El cartel de los sapos ha rappresentato la Colombia agli Academy Awards 2013. 

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