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Oh Boy - Un caffè a Berlino

Regia di Jan Ole Gerster vedi scheda film

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La recensione su Oh Boy - Un caffè a Berlino

di maghella
6 stelle

Senza caffé per una intera giornata a Berlino.
Questo incipit mi aveva ben disposta verso questo primo film di Jan Ole Gerster, che ha deciso di raccontare una Berlino moderna, di oggi, attraverso la giornata sconclusionata di Nikko. Nikko è un ragazzo che da due anni ha smesso di studiare legge all'università, e che da due anni vive da parassita con i soldi che il padre gli continua a mandare tutti i mesi e che ovviamente sospende di dare una volta che viene a scoprire che il figlio non sta concludendo nulla.

Nikko non ha una vera e propria relazione, non ha ancora un vero e proprio appartamento, che non si decide ad arredare, non ha un lavoro, non ha la macchina perché gli hanno sospeso la patente per guida in stato di ubriachezza, Nikko ha però a disposizione tutta una città che al giorno d'oggi è il simbolo della crescita, della modernità, del «tutto è possibile».

La giornata di Nikko è maldestra, sottolineata da incontri improbabili, con un psicologo aggressivo, con vicini di casa frustrati e depressi, con vecchie compagne di scuola ex ciccione e ora attrici di teatro all'avanguardia, con il padre che gli rinfaccia le capacità dei suoi giovani collaboratori già laureati e pronti per la carriera, con un amico attore che lo scorrazza tra set cinematografici che propongono film in cui il nazista di turno ha in fondo un cuore d'oro ed è costretto a fuggire dopo aver salvato l'ebrea di cui si era innamorato. Tutti incontri inutili, che lasciano Nikko sempre più deluso e apatico, incontri che non gli lasciano nulla se non la consapevolezza di non sapere quale sia il suo vero ruolo in tutto questo nuovo e sorprendente modo di vivere.
Fino a quando a notte fonda cerca ancora disperatamente un caffè in un ultimo bar, che ovviamente non trova. Un vecchio gli si avvicina e comincia a raccontargli di una Berlino che non c'è più, che ha cercato di cambiare, dal quale è fuggito per poi tornare per morirci.

Questo ultimo incontro forse per Nikko è quello decisivo, un confronto con un passato ancora ingombrante per una Berlino che come una fenice è risorta dalle ceneri. Un passato che è morto, senza apparenti parenti, di cui è difficile anche saperne il nome.

Nikko all'inizio del nuovo giorno finalmente avrà il suo caffè caldo, che sorseggia con calma.

Della trama e del suo significato tutto mi convince, e mi piacciono molto le buone intenzioni del film, che purtroppo per i miei gusti non decolla fino in fondo. Buona l'impronta da commedia che il regista dà al film, ma fastidiosa la colonna sonora jazz che leva personalità al film per scimmiottare (non citare e tanto meno omaggiare) i migliori film di Woody Allen, come se il regista avesse poco coraggio ad affrontare fino in fondo i buoni propositi che la storia e tutto il film si proponeva. Anche i dialoghi diventano pesanti e prolissi, soprattutto sulla fine.

Bella la fotografia e anche la scelta del bianco e nero, che a mio parere più che ricordare un modo di fare cinema americano, ricorda più un legame con un passato tedesco che sia cinematograficamente sia storicamente pesa ancora tantissimo.

Avrei apprezzato quindi più coraggio per questa prima opera, ho trovato un po' ruffiane e furbine certe scelte registiche che tendono più ad ammiccare ad un certo pubblico cinefilo, piuttosto che a portare avanti il discorso narrativo.

Nel complesso un film divertente, che però mi ha lasciato poco... tranne la consapevolezza (come se ce ne fosse stata la necessità) che io senza caffè non duro nemmeno mezz'ora,

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