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Regia di Richard Ayoade vedi scheda film

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La recensione su Il Sosia

di arkin
7 stelle

Tratto dal racconto “The double”di Dostoevskij, il film di Richard Ayoade è la squisita e ambigua parabola di un uomo sull’orlo di un baratro. Inconsistente e invisibile, Simon si sente come Pinocchio: come se a manovrare la sua vita non fosse lui, ma fili invisibili dei quali non riesca ad avere il controllo. La società, la famiglia, i suoi complessi e problemi, un distacco emotivo o la paura? Questo poco importa. Forse tutte queste cose contemporaneamente. Ma il suo senso di solitudine, spaesamento e la sua vita di “non-persona”, sagomati nel film non solo attraverso il personaggio ma attraverso tutto ciò che lo circonda (foto, ambienti, colori, musica) deragliano improvvisamente contro l’immagine di un doppio che è tutto ciò che Simon non è, e che ad un tratto fa emerge ciò che odia in se stesso: l’insicurezza, la timidezza, la sottostima, la percezione di non esistere davvero e non essere mai se stesso o messo a fuoco. E in questo, James- il suo doppelganger- è una figura tanto ambigua quanto impossibile da identificare in termini “realistici”: l’odissea personale del protagonista si svolge in un territorio onirico, dove le possibili spiegazioni sono molteplici, e tutte valide (ma impossibili da anticipare senza fare spoiler): sogno di morte, sogno allucinatorio, viaggio mentale, surreale realtà alternativa... Il focus del film è nel rapporto di un personaggio che si sente scivolare nell’inesistenza e nell’inutilità di una vita non propria, nel gorgo di una depressione rabbiosa che si trascina dietro l’ombra del suicidio (annunciato o…?), e che trasforma l’intera opera di Ayoade in una caduta a perdifiato nelle ombre della mente, e nella rivolta che improvvisamente la mente compie per impedire che questa caduta l’abbia vinta. Il “viaggio” di Simon, che si avvolge a spirale attorno al personaggio come un racconto di Kafka(a cui forse Dostoevskij stava pensando), e che unisce istanti razionali a spiazzanti momenti surreali in cui ogni dettaglio sembra emerge dall’inconscio(compresa la musica cinese che ogni tanto fa da sottofondo ad azioni in cui pare non avere alcun “posto”) si conclude con un finale ispirato e coerente, ma non meno ambiguo del resto, e che da un punto di vista prettamente logico si apre verso almeno cinque o sei soluzioni e possibili spiegazioni, ma una sola rilevazione mentale e psicologica.

Spettacolare lavoro di sceneggiatura, ottima fotografia, bravissimi gli attori, soprattutto Jesse Eisenberg, che si sdoppia con la leggerezza di un attore ormai arrivato alla sua piena maturità: spettacolari, i dialoghi che svolge con se stesso risultando “due credibilissime persone diverse”.

Surreale, psicologico, serrato.

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