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RazzaBastarda

Regia di Alessandro Gassman vedi scheda film

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La recensione su RazzaBastarda

di OGM
8 stelle

Alessandro Gassman nel ruolo che fu di Robert De Niro. Allora era il 1986, ed il dramma Cuba and His Teddy Bear debuttava a Broadway. Il suo giovane autore, lo scrittore Reinaldo Povod, di madre portoricana e padre russo, aveva ventisei anni, e solo otto ancora da vivere. Nel frattempo, dalle nostre parti, Cuba è diventato Roman, un immigrato romeno, anziché un profugo cubano. E il suo figlio orsacchiotto è stato ribattezzato Cucciolo. La scena si è spostata dal Lower East Side di New York alla periferia romana. Ma l’amarezza è rimasta la stessa. Cupa, rozza, esangue, tanto da meritare di essere ritratta in un gelido bianco e nero. Non quello assorto e sgomento che fu del neorealismo, bensì quello tagliente ed escoriato della mancanza di calore, di speranza, di significato. È la tonalità incolore degli sradicati, che esprimono la loro rabbia in una lingua diversa dalla loro, confondendo l’accento del dolore con quello della difficoltà a trovare le parole giuste. Lo spacciatore Roman è la caricatura di questa tragica goffaggine. È lo straniero che è arrivato in Italia per fuggire dall’orrore di una dittatura, e che da allora non ha mai smesso di lottare per sopravvivere. Il suo campo di battaglia si chiama emarginazione, e la sua arma è il malaffare. La sua guerra quotidiana coincide con la sfida di mantenere pulito il suo cuore di padre, mentre si sporca continuamente l’anima e le mani vendendo la roba. Intanto, intorno a lui, un mondo rottamato e spento si accende solo per gridare al cielo la voglia di farla finita, di uccidere per vendetta o di uccidersi per disperazione. Il crimine è un sudicio e tortuoso labirinto da cui si può evadere solo puntando al mondo di lassù, dove vivono le idee di un futuro migliore e gli invisibili sono immortali. Roman è il missionario martire di quel culto senza dei che è la religione del riscatto. Il Talebano, l’artista e filosofo amico di Cucciolo, di quella fede è invece il predicatore militante, che indica la strada verso l’inferno come la via che porta a diventare veri uomini, forti ed insensibili ai colpi del destino. Bisogna averle provate tutte, fino a toccare il fondo, per liberarsi da quella vertigine esistenziale che è la paura di aver voglia di buttarsi di sotto quando si cammina sull’orlo del precipizio. Occorre lasciarsi corrompere di buon grado, e godere dei frutti di quella caduta, per non soccombere al senso di colpa, al senso del fallimento, al senso di vuoto. Cucciolo ci crede, e segue quel santone nelle sue imprese “eroiche” di piccolo delinquente, disinibito ma sbandato, animato dalla fantasia ma roso dal marciume. Talvolta la rovina è un’opera di ingegno; è il prodotto di un piano preciso, di un disegno creativo che plasma la maledizione dandole le forme umane del complotto, dell’avidità, della ribellione. In questa storia l’intreccio del giallo è una strategia di origine diabolica, che scava le sue piste nella giungla della disgrazia, dove il terreno è fertile grazie ai cascami della perdizione: le lacrime, i rifiuti, il sangue, la sporcizia della povertà e dell’ignoranza. La razza è bastarda perché prolifica di distruzione, instancabilmente impegnata in un’avventura che, cercando l’amore, lo massacra lentamente, senza alcuna pietà.

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