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Cinque telecamere rotte

Regia di Emad Burnat, Guy Davidi vedi scheda film

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La recensione su Cinque telecamere rotte

di OGM
8 stelle

“Guarire è una sfida nella vita. È l’unico dovere di una vittima. Guarendo, si resiste all’oppressione. Ma quando vengo ripetutamente ferito, mi dimentico le ferite che governano la mia vita. Le ferite dimenticate non guariscono. Io filmo per guarire. So che da un momento all’altro potrebbero bussare alla mia porta. Ma io continuo a filmare. Mi aiuta ad affrontare la vita, e a sopravvivere.” A parlare è Emad Burnat, un palestinese che abita in Cisgiordania a Bil’in, un villaggio rurale ormai circondato da insediamenti israeliani. Per cinque anni, dal 2005 al 2010, i suoi video documentano l’avanzata dei casermoni di cemento che rubano ai contadini il terreno coltivabile, gli spazi aperti in cui crescono gli ulivi. Intanto una barriera di metallo li separa dal resto del mondo. E, mentre lui ed i suoi compaesani manifestano contro la progressiva invasione, i soldati di Tel-Aviv arrivano con le loro armi, per sparare candelotti di gas o proiettili che uccidono. Dall’altra parte, i ragazzi rispondono lanciando pietre. Nel corso di quelle battaglie, che si svolgono con cadenza quasi quotidiana, Emad perde cinque videocamere. Le ha conservate tutte, spezzate, sfondate, oltraggiate e riparate più volte. Sono le sue memorie di guerra. Le testimonianze di una lotta impari che vuole, anzitutto, eliminare la libertà di vedere, ricordare, pensare. Ma Emad non può permettere cha la verità svanisca nella nebbia dei lacrimogeni, disperdendosi nel vento insieme alla folla in fuga. Emad ha quattro figli, il più piccolo dei quali, Gibreel, è nato proprio all’inizio di questa storia di soprusi e violenze. Di fronte a lui, in particolare, sente il dovere di guardare in faccia la realtà, fissandola in immagini che restituiscano, nel tempo, la traccia tangibile degli sforzi che sono stati umiliati, e delle cose che sono andate distrutte. Gente, terra, strade e combattimento: la prospettiva di questo documentario – finalista agli Academy Awards 2013 – è quella di un uomo il cui universo si estende per pochi metri intorno alla sua casa, la sua famiglia, i suoi amici, i suoi campi. Quel poco, per lui, rappresenta tutto, ed è entro gli stretti confini di un’esistenza ridotta all’essenziale che ha luogo la sua battaglia. I mezzi sono poveri, ma il coraggio è tanto. Emad si piazza con il suo obiettivo proprio in mezzo ai tiri incrociati dei nemici, vicino al sangue che scorre, centrando il cuore di un conflitto ingiusto e doloroso. La miseria rende forti, però impotenti. La resistenza è il paziente rinvio di una resa che sembra inevitabile. Eppure si prosegue l’azione, reiterando le proteste, e continuando a contrastare gli insistenti attacchi di un avversario destinato comunque a vincere, con i suoi muri, i suoi steccati, i suoi prefabbricati posizionati come avamposti del suo espansionismo. Ciononostante, Emad va avanti nella sua missione: fermare gli istanti del tempo che scorre senza spostare di una virgola i limiti della speranza, mentre invece si porta via, lembo a lembo, quella ricchezza umana che è la sostanza dell’amore. Gli alberi bruciano e i cuori si spezzano. La carne viene straziata per piegare le anime. Ma la pellicola di Emad non smette mai di girare: occorre impedire che, insieme alla materia vulnerabile di cui siamo fatti, sparisca anche la voglia di dar sfogo alla rabbia, per rassegnarsi alla finta pace di una sconfitta senza onore.

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