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Bel Ami. Storia di un seduttore

Regia di Declan Donnellan, Nick Ormerod vedi scheda film

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La recensione su Bel Ami. Storia di un seduttore

di M Valdemar
4 stelle

E' sufficiente una misera manciata di secondi al grande Philip Glenister (il mitico ispettore Gene Hunt delle serie tv Life on Mars e Ashes to Ashes) per divorarsi allegramente in un sol boccone l’ectoplasmatico Robert Pattinson.
Il che risponde rapidamente - la scena in questione è posta in apertura - al principale (unico?) motivo d’interesse ed interrogativo riguardo questa trasposizione (tutt‘altro che irrinunciabile) del celeberrimo romanzo di Guy de Maupassant, ossia: riuscirà l’iperidolatrato vampirello luccicoso della saga di Twilight a mostrare un qualche segno di capacità recitativa? La risposta, facile facile come non avere un bell’aspetto dopo essersi tuffati con tutto il corpo nella fanghiglia e divertiti nella nobile arte rotatoria coi maiali, è: manco per un nanosecondo.
La cosa, poi, si ripeterà puntualmente, inesorabilmente ogni qualvolta il bellimbusto divide la scena con gli altri attori (bambina compresa), in particolare nei duetti amorosi con una seducente Christina Ricci (Clotilde de Marelle) e in quelli con l’immenso Colm Meaney (il viscido Rousset). Entrambi sprecatissimi, e probabilmente sorpresi dall’aver a che fare con cotanta inconsistenza.
Pure la non molto convinta e apparentemente svogliata Uma Thurman, e l’esagerata Kristin Scott Thomas, che si ritaglia un paio di isteriche scene madri, giocano sul sicuro.
Inutile dire che un Pattinson qualunque sia completamente inadatto a rivestire il ruolo di Georges Duroy, incallito e infallibile seduttore (sul set stanno ridendo ancora adesso che non c’è più nessuno), amorale, lascivo, malignamente ambizioso, insaziabile, arrabbiato. Niente di tutto ciò è minimamente riscontrabile nell’espressione perennemente assente e carciofesca dell’eroe di Twilight. D'altronde le prove della sua “recitazione” sono esclusivamente desumibili da elementi “esterni”: il contesto della storia, il contrappunto musicale, le reazioni degli altri personaggi, ma anche le luci e naturalmente costumi e trucco (mutuando la celebre battuta di Leone su Eastwood si potrebbe affermare che ha solo due espressioni: con le occhiaie e senza).
Ed ancora: e i baffi, dove sono? Non gli crescono, gli crescono male, o gli crescono da un’altra parte? Mah. Non sapremo mai la risposta, ammesso che a qualcuno possa interessare.
Esaurito l’argomento R.P. (troppe le parole sprecate, chiedo scusa), ed in attesa di vederlo in azione nel Cosmopolis del genio David Cronenberg, che dire di questo film? Posto che se si sbaglia completamente la scelta del protagonista è già un mezzo fallimento (e figurarsi in una storia come Bel Ami in cui tutto gli gravita intorno), il resto non è molto meglio (stai col Pattinson e impari a pattinsonare).
La messa in scena è piatta come l’elettroencefalogramma di un trapassato da secoli, e la regia (affidata agli esordienti Decaln Donnellan e Nick Ormerod, provenienti ambedue dal teatro) sprofonda presto in un anonimato irreversibile. Sarebbe servito maggior respiro all’opera (e probabilmente anche più minuti), anche per poter rendere meglio le atmosfere del tempo e del romanzo e per poter mettere in campo in maniera più esauriente e comprensibile il complesso della narrazione e dei sottotesti ricavabili dalle parole di Maupassant.
Infatti lo script risulta svolto sbrigativamente, non molto preciso e per nulla convincente; non è riuscito sostanzialmente a cogliere e imprimere su pellicola lo spirito del libro. E’ più che altro un compitino alla buona destinato a una fiction (certo non delle migliori). Alcuni passaggi non sono ben raccordati e poco approfonditi, il che rende oscuri - soprattutto per chi non conoscesse l’opera che sta alla base - diversi risvolti riguardanti la società dell’epoca e il modo certo non benevolo con cui il grande romanziere ne trattava. Ad esempio appaiono frettolose e meramente ornamentali tutte le tematiche del diabolico intreccio tra i mondi di politica, giornalismo e finanza. Sono semplicemente buttati lì, a casaccio, senza che possano suscitare né interesse né entusiasmo, perché si “deve” vedere solo cosa combina il protagonista, quale donna alla fine sceglierà.
Il finale, ambiguo, si salva solo grazie alla presenza di Christina Ricci.
Tra gli aspetti positivi invece sono da segnalare una discreta fotografia, dalle sfumature torbide, tese, e la colonna sonora, efficace pur se non originalissima ed a tratti un po’ pomposa, di Lakshman Joseph De Saram e della sempre brava Rachel Portman. I costumi sono buoni.
Naturalmente non basta.
Bel Ami è un film di cui non si sentiva il bisogno e che finirà, presto e meritatamente, nell’oblio.

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