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Footnote

Regia di Joseph Cedar vedi scheda film

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La recensione su Footnote

di OGM
8 stelle

Il film israeliano entrato nella shortlist dei premi Oscar 2012 è una storia accademica. In cui si discute molto, si argomenta fino allo sfinimento, però di questioni che non riguardano il sapere. Si discetta del bene e del male, ma non è una questione etica, giuridica o religiosa. Si tratta, invece, di un dilemma del cuore, incentrato sull’amore ed il rispetto che un figlio professore si sente in dovere di dimostrare a suo padre, che è anche il suo maestro di vita. La battaglia che Uriel Shkolnik combatte a favore dell’anziano Eliezer scaturisce da un debito d’affetto, però investe, più in generale, la necessità di difendere il valore sociale dell’insegnamento, facendolo prevalere sul culto narcisistico della scienza  come strumento di affermazione personale. La ricerca finalizzata alla realizzazione di articoli e libri, al conseguimento del successo e della fama in seno alla comunità scientifica, o della popolarità presso il grande pubblico, è soltanto un gioco, che non sfiora, nemmeno alla lontana, la fondamentale funzione che il  docente è chiamato a svolgere, ossia la trasmissione di un patrimonio culturale, accresciuto di quel poco che egli è riuscito ad aggiungervi con lo studio e la riflessione. Eliezer ha trascorso sui libri trent’anni della sua esistenza, per ricostruire, attraverso un’analisi filologica delle fonti documentali, l’intricato percorso delle varie versioni del Talmud attraverso l’Europa.  Qualcuno, però, l’ha battuto sul tempo, ed ha pubblicato prima di lui una scoperta che ha completamente vanificato il suo lavoro, privandolo di ogni considerazione da parte dei colleghi. Nessuno, da allora, ha più pensato di premiare il suo impegno. Nel frattempo il figlio, che ha intrapreso la sua stessa professione, l’ha sopravanzato, facendo carriera, collezionando riconoscimenti e diventando, nel suo campo, una personalità di riferimento. Uriel si è rivelato estremamente abile nel fiutare le tendenze del momento e sfruttarle a suo vantaggio. Seguendo la moda, si è conquistato un posto di prestigio, mettendo totalmente in ombra il contributo di Eliezer, la cui figura si è presto coperta della mortifera patina dell’obsolescenza. Il presente rivaleggia col passato, e lo supera, però, al tempo stesso, sente l’obbligo morale di onorarlo. L’altro, invece, si sente umiliato e cerca di screditarlo. Nel rapporto tra Eliezer e Uriel il contrasto fra tradizione e progresso, tra memoria ed oblio si fonde con il conflitto generazionale, e si carica, da parte del primo, di gelosia e di rancore per quello che viene avvertito come un tradimento. Secondo quanto Eliezer erroneamente crede, Uriel si è imposto all’attenzione del mondo rinnegando i principi ai quali lo aveva educato. Avrebbe cancellato il suo esempio, perché corrispondente al profilo di un perdente, e avrebbe scelto di rendersi autonomo, prescindendo da tutto ciò che lui gli aveva insegnato. In questo film, la parola e il metodo sono i termini in cui si esprime un confronto alimentato da astio ed incomprensioni, sotterfugi ed equivoci. La pratica della scrittura e l’approfondimento dei suoi significati – le attività linguistiche su cui è incentrata l’esegesi dei testi sacri – non aiuta padre e figlio ad intendersi. Il fatto di condividere gli stessi interessi letterari e le stesse competenze non basta ad avvicinarli.  L’abitudine al rigore non serve a fare chiarezza. È come se lo studio della storia consentisse di acquisire conoscenze che la vita rende inutili. Le esperienze si accumulano, sotto forma di montagne di libri e carte che ingombrano le stanze di Eliezer ed Uriel. Il primo le conserva con ordine maniacale, il secondo le dispone alla rinfusa, ed è questa differenza caratteriale a prevalere sui tratti comuni, sulle verità che entrambi sanno e che sono impresse in quelle migliaia di pagine. Il trascorrere degli anni crea barriere apparentemente insormontabili (e Uriel lo sperimenta, a sua volta, col proprio figlio), ostacolando una comunicazione che è di per sé imperfetta, ambigua quando vorrebbe essere univoca, rivelatrice quando vorrebbe essere fuorviante. Questo straniamento è anch’esso un prodotto del tempo, che, insieme ai costumi ed ai canoni estetici, cambia anche i registri verbali. Cercare di adeguarsi significa spesso essere come un attore datato che vada in scena con uno spettacolo non suo. Così sarà, alla fine del film, per il vecchio Eliezer, alle prese con un’epoca che gli è irrimediabilmente estranea, e che non riesce a farsi capire nemmeno quando, con un sorriso, gli porge la tanto attesa felicità.  Footnote è un film che sposta i grandi discorsi esistenziali su quelle trascurabili note a margine che sono i piccoli rompicapi della nostra vita. Lo fa con garbo e acume, e con l’onestà che si addice ad un saggio didattico che cerchi di spiegare la realtà: volendo proporre la soluzione a un problema, non può tacere tutti gli umani limiti che ne impediscono la corretta applicazione.  

 

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