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Après le sud

Regia di Jean-Jacques Jauffret vedi scheda film

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La recensione su Après le sud

di OGM
8 stelle

Umiliati e offesi. Si può fare cinema anche girando intorno a un’idea. Come quella di sentirsi diversi, inadeguati, malvisti. Di vedere la propria dignità minata dall’incapacità di essere uguali agli altri, sicuri di sé e ben inseriti nella società. Una giovane cassiera teme di essere incinta, in conseguenza di un amore forse sbagliato. Un ragazzo, che lavora alle dipendenze del padre, combina un grosso guaio. Una donna obesa soffre di crisi di panico, a cui rimedia ingozzandosi di dolci. Un sindacalista in pensione, nella sua solitudine, si sente minacciato dagli attacchi di un mondo che gli sembra ostile e violento. Le loro vicende sono storie sfilacciate che hanno poco da dire; e che, per loro natura, non possono dare origine ad un grande film, ma soltanto ad un piccolo poema incompiuto, in cui le immagini, più che spiegare il motivo di un dolore, contengono il sordo rimbombo di un’angoscia indefinita. Gli istanti ritratti da Jean-Jacques Jauffret sono frammenti di esistenza prelevati con le pinze ed isolati dal contesto, immersi in una soluzione acquosa che li circonda di un silenzio surreale. I personaggi irradiano l’atmosfera  del loro allarmato stupore, trasformando il mondo circostante in un vuoto rigido e attonito, appena rinfrescato da un tenue refolo di speranza. Per Amélie, il sogno è mollare tutto e partire con Luigi. Per Luigi, lasciare il padre e ricongiungersi con la madre. Per la madre di Amélie, farsi impiantare un pallone gastrico e tornare in forma. Per Georges, invece, ci sono solo illusioni da quattro soldi e misere consolazioni, come quella di rubare un CD di Mozart in un centro commerciale. Tutti loro inseguono la salvezza in un sotterfugio, lungo una strada che ognuno inventa per sé, e che vorrebbe mantenere gelosamente segreta. È gente comune, che cerca l’avventura come può, scavando cunicoli attraverso la normalità, ma conservando intatta la propria paura nei confronti della vita. I loro passi sono maldestri e stentati, come di chi cerchi una via d’uscita senza prima nemmeno provare a capire la  ragione del proprio profondo disagio. Attaccarsi alla prima cosa che viene in mente è la scappatoia di chi non ha la forza di riflettere. L’assenza di pensiero non è soltanto un aspetto della primitività: è anche una condizione che può essere indotta a posteriori, come conseguenza del trauma di scoprirsi in dissonanza con l’ambiente, con le sue logiche tanto perentorie quanto estranee, che ci chiedono, con insistenza, ciò che non siamo in grado di dare. I protagonisti di questo racconto sono anime in pena, che vanno raminghe col solo intento di mettersi tra parentesi, di sottrarsi alle regole, alla routine che mortifica la loro voglia di evasione. Il richiamo, al quale prontamente rispondono, è il desiderio di abbandonarsi alla propria unicità, di trasformare i propri complessi nello spunto di un gioco, dal quale la realtà deve restare fuori tutto il tempo necessario a capire se si è vinto o si è perso. La sfida è decidere autonomamente, prescindendo dal giudizio degli altri. Ed agire subito, sulla scia dell’istinto, prima che il destino possa intervenire a sconvolgere i piani. L’impulso è l’origine del caso, che determina gli incontri fatali,  quelli che modificano il corso degli eventi, ed anche quelli insignificanti, che lasciano esattamente il tempo che trovano. È facile dire che tutto è vano. Il fatto è che il senso siamo noi a darlo, anche quando ci chiudiamo in noi stessi,   o imbocchiamo vie secondarie, o ci diamo alla clandestinità. Allora la nostra invisibilità è frutto di una scelta precisa e consapevole, anche se non  meditata. Après le sudè, in fondo, una rassegna di piccole fantasie personali, che sono le cure casalinghe e improvvisate contro il male di vivere: semplici iniziative che servono, non ultimo,  per sondare i propri limiti, e stabilire la misura in cui si è buoni o cattivi, capaci o inetti, liberi o schiavi.

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