Regia di Pere Portabella vedi scheda film
DIE STILLE VOR BACH
Alcmeone sostiene che noi udiamo a causa del vuoto che è dentro l’orecchio: è questo infatti che risuona quando vi entra l’aria, perché ogni cavità risuona. (Aezio. IV, 16, 2. dai Frammenti dei presocratici)
Die Stille vor Bach è un film difficile da raccontare. Non ha una trama, non è un documentario, né una fiction.
Il vecchio regista d’avanguardia Pere Portabella, classe 1929, mantiene inalterate le coordinate maledettamente scomparse delle libere associazioni di ascendenza surrealista. Qualcuno ha definito questo straordinario art movie come ‘documentario musicale’, lavandosi le mani dal tentativo di iscriverlo in un ben determinato codice. Ma la presenza di attori in veste di musicisti e di musicisti nelle vesti di attori, il nesso casuale tra una scena e la successiva che spezza il racconto della vita di Bach, ricordano più che il bellissimo e contiguo Cronaca di Anna Magdalena Bach di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, La via latteadi Luís Buñuel. Infatti, in entrambi i film dei due registi spagnoli è palpabile l’aura della scrittura automatica. Allo spettatore il regista chiede di dare unità interna a un racconto solo apparentemente sfilacciato. E, a visione ultimata, la poesia dei vasi comunicanti di André Breton riesce a far trasparire dal falso disordine l’ordinata cronologia logica cui il sovversivo regista anti-franchista si è sempre opposto.
Nondimeno, il film potrebbe ambire (ed è avvenuto) a un’installazione in cui, elisi gli elementi filmici, l’opera rappresenterebbe un omaggio al genio della musica tedesca.
Silenzio cageano.
La steadycam perlustra un ambiente dalla pareti bianche. Nudo di qualsiasi oggetto (la conchiglia dell’orecchio, il silenzio della musica?)
Dal fondo avanza all’improvviso una pianola meccanica. Sembra che ci sia qualcuno a spingerla in avanti, imprimendole movimenti che assecondano la musica che si diffonde nel vuoto acustico. Riconosciamo il sublime nella definizione che ne ha dato Hanslink nel Bello musicale.
L’aria Mit verschiedenen Veränderungen. Goldberg Variationen (BWV 988), rompe il silenzio della musica prima di Bach.
L’accordatore di pianoforte.
L’arrivo di un uomo nell’ambiente è anticipato da un movimento della steadycam che connota lo spazio come l’‘officina’ di un accordatore di pianoforte.
L’uomo, un signore anziano dai capelli bianchi è Lucian Decoster, un vero accordatore.
Tutti gli interpreti del film (tranne rare eccezioni) sono addetti al lavoro della musica.
Il camionista melomane.
Anche il camionista Alex Brendemuhl ama la musica di Bach. Durante una sosta per fare colazione, chiede a uno uomo se può dargli un passaggio, purché questi abbia voglia di sentirsi raccontare una storia nel corso del viaggio, finché non gli venga sonno.
Sono diretti al confine tedesco.
Il camionista parla delle difficoltà del suo mestiere, dello stress cui è sottoposto.
- Immagina di guidare per ore, attraversare diversi paesi… Devi avere una mente molto forte.
- E come ci riesci?
- A fare cosa?
- Ad avere una mente forte... Devi trovare qualcosa per sfogarti...
- Beh, come fanno tutti... Cerco di far qualcosa che mi permette di respirare. E non mi riferisco ad internet. A casa mia, abbiamo sempre suonato. Con i miei fratelli suoniamo musica da camera. Mozart, Schubert...
- Che bello! La Germania?
- La Germania è' un paese dove ci sono molti tifosi di calcio. Quando non si suona e non si canta, si grida e si grida molto. Quando non... si suona e si canta. A volte ho la necessità di parlare con una parte di me che non incontro in questa maledetta cabina.
L’accompagnatore del camionista.
In una pausa del dialogo, l’accompagnatore, l’attore Antonio Serrano (era in Carne tremula), rompe il silenzio ed esegue con l’armonica a bocca Variatio 2 a 1 Clav. Goldberg Variationen (BWV 988).
BACH A LIPSIA
Entriamo ora nel vivo della storia. Dal locale bianco, dall’autostrada per la Germania, entriamo a Lipsia per incontrare Johann Sebastian Bach. Ci accoglie, nelle vesti di Bach (in parrucca e abiti d’epoca, come nella nota ritrattistica, un grande strumentista, Christian Brembeck che sta eseguendo il Präludium und Fuge a-moll (BWV 543).
Bach è il nuovo cantore di San Thomas. Un uomo credente e musicista: Ha composto le Variazioni Goldberg:
Una composizione musicale, spiega, dovrebbe essere di natura piacevole. Deve appagare l'orecchio, e soddisfare la ragione. Spero che ritroviate tutte queste qualità nelle note che vi ho consegnato.
Lasciatemi suonare una di queste variazioni. Ho usato la nuova tecnica napoletana, la tecnica delle mani incrociate. Sono sicuro che vi farà scoprire molte cose nuove. L'andamento incerto del tema è compensato da una profonda struttura armonica. Quindi esegue l’incipt delle Goldberg Variationen (BWV 988).
BREVE NOTA BIOGRAFICA SU BACH
Johann Sebastian Bach (Eisenach, 21 marzo 1685), ha una carriera musicale alle spalle. Dal 1978, organista di corte e maestro di concerto presso la corte di Weimar, per ragioni di incompatibilità con il duca Wilhelm Ernst si è trasferito alla corte del principe Leopoldo di Anhalt-Köthen, suo grande estimatore e musicista lui stesso. In questo periodo ha composto i Concerti brandeburghesi, delle sonate, partite per violino solo, e delle suites per orchestra. calvinista del principe per la musica liturgica eccessivamente elaborata.
Nel 1723 Bach è nominato cantore e direttore musicale della chiesa di San Thomas a Lipsia: qui comporrà molte opere di somma importanza e di straordinaria complessità come il Magnificat, la Passione secondo Matteo. di Lipsia, dal 1729 al 1741, coltiva anche musica a carattere più mondano, sia vocale
A Lipsia resterà fino alla morte, avvenuta nel 1750, forse per setticemia. Dei venti figli avuti dalle due mogli (la cugina Maria Barbara Bach, sposata nel 1707 e morta nel 1720, e il soprano
Anna Magdalena Wilcke, di 17 anni più giovane), molti seguiranno le sue orme, diventando musicisti e tramandando il patrimonio delle oltre mille composizioni paterne.
Le variazioni Goldberg. Nessuno ha mai ascoltato nulla di così Affascinante, profondo e nello stesso tempo così' pieno di leggerezza e limpida e chiara esposizione.
LA GUIDA DELLA CHIESA DI SAN THOMAS
Lasciamo parlare la guida. Il signor Schuchart, indossata la parrucca e la divisa bachiana, - una vestizione pacchiana come i centurioni al Colosseo -, ci dice qualcosa sugli anni di Bach a Lipsia.
La scena è mutata, siamo davanti alla chiesa si San Thomas dove è sepolto Bach, una lapide commemorativa viene lustrata da un’addetta alla lucidatura.
Il signor Schuchart si immedesima nella parte e, con voce impostata, parla alla folla dei turisti nello stile kitsch-baedecker:
Benvenuti! Gente laboriosa e onesta della distanza e della vicinanza. Non credo che abbia bisogno che mi presenti. Sono di nuovo tornato a Lipsia per mostrarvi tutti i luoghi di Bach e i più importanti di questa città: Il convento e la scuola di San Thomas vennero fondati nel 1212. Pertanto i membri del coro fanno parte di una tradizione che ha quasi ottocento anni.
Inizialmente, San Tommaso era una piccola chiesa romanica. Più tardi, il suo coro architettonico
fu ampliato in stile gotico. Nella torre della chiesa sono presenti tutti gli stili architettonici. La navata della chiesa in stile tardo gotico è datata intorno al 1500.
La cosa più importante è che all'interno vi è la tomba di Johann Sebastian Bach. Qui ha trovato il suo ultimo riposo. Qui si recano in pellegrinaggio i suoi ammiratori provenienti da tutto il mondo.
La guida, per eccesso di devozione, prende a parlare in prima persona, nemmeno avesse evocato il genio in una seduta spiritica, ma, come ci ha insegnato McLuhan, il medium (in questo caso, da prendere nel senso più ‘volgare’) è il messaggio.
Arrivai a Lipsia nel 1723 e lavorai qui fino al 1750 per 27 anni. Sono stato il cantore di San Tommaso, e il direttore musicale della città. Come tale, divenni il responsabile della musica sacra delle quattro chiese, dei musicisti locali, e dell'insegnamento della musica, e del latino agli studenti di San Thomas.
Non ero un dipendente di una parrocchia, ma del municipio di Lipsia. Il mio periodo a Lipsia è stato il più' produttivo. Durante questo periodo creai circa 500 composizioni, tra queste il Magnificat, la Messa in Si minore, le Passioni, gli Oratori, l'Arte della Fuga, il Clavicembalo ben temperato" parte seconda, Le Variazioni Goldberg, L' Offerta Musicale e circa 300 cantate religiose e profane e numerosi mottetti.
I FIUMI, DRESDA CENTRO D’EUROPA, LE VARIAZIONI GOLDBERG
Signori passeggeri vi diamo il benvenuto a bordo della Bad Schandau. Vi auguriamo di trascorrere
un buon viaggio fino Pillnitz. Come Ulisse nel suo viaggio verso Itaca ora sentirete il rumore dell'acqua. Riconosceremo alcune delle più deliziose melodie che hanno accompagnato il proprietario del castello che vedete sulla sinistra. Il conte Hermann Carl von Keyserlingk, ambasciatore russo presso la corte di Dresda. Il conte fu una persona malata che ha subito il peggiore dei mali: l'insonnia. Per questo, aveva chiesto al suo personale clavicembalista, Johann G. Goldberg, di incaricare Johann S. Bach, il compositore toccato dalla mano Dio, per una serie di variazioni di carattere soave e allegro, che farebbero riposare il conte Keyserlingk tra le braccia di Morfeo e animarne lo spirito.
Dresda, Praga, Budapest e Parigi sono grandi città attraverso le quali scorre un grande fiume. Grazie a questi fiumi, si è formata un' idea europea. Artisti come Schiller, Goethe, Mozart, Weber e Wagner sono stati ispirati dal fiume. Dresda è situata nel cuore d'Europa. Se potessimo innalzarci al di sopra di questa pianura centrale europea potremmo scorgere gli Urali. L' Elba è una delle principali vie di comunicazione del vecchio continente, una rotta per il commercio e per le loro idee, ma anche per le loro cicatrici. Per non parlare di quello che ha detto Gerhard Hauptmann su questa città nel 1945: “Chi non sa più piangere, imparerà di nuovo di fronte al crollo di Dresda"
NEL VAGONE DELLA METROPOLITANA UN ENSEMBLE DI VIOLONCELLISTI ESEGUE IL
Präludium Suite für Violoncello solo Nr. 1 in G-dur (BWV 1007). Coordinatore violoncellisti: Lito Iglesias
http://www.youtube.com/watch?v=pOlmW3Ltvj0
JOHANN SEBASTIAN BACH IN FAMIGLIA
Christoph-Friedrich Bach suona il Präludium C-dur/C-major – Das Wohltemperierte Klavier 1 Teil (BWV 846) Interprete: Ferran Ruiz, Clavicembalo.
Poi, esortato da suo padre, il ragazzo esegue Das Wohltemperierte Klavier Fuga 24 (BWV 869)
Interprete: Christian Brembeck, Clavicembalo
MERCATO DI LIPSIA, 1829. MENDELSSOHN RISCOPRE BACH NELLA CARTA DEL MACELLAIO (LEGGENDA O REALTÀ?)
Lieder ohne Worte op. 19 Nr. 1 E-dur . Autore: Felix Mendelssohn. Interprete: Daniel Ligorio, Pianoforte
Sulla musica di Auf Flügeln des Gesanges heine Op 34, Nr. 2 diFelix Mendelssohn, Xavier Albertí, sceneggiatore amico di Pere Portabella scrive un testo cantato dalla mezzo-soprano Claudia Schneider:
Nessuna delle composizioni di Johann Sebastian Bach venne stampata e distribuita prima di 50 anni dopo la sua morte. È stato così fino all'anno 1829. Al tempo di Mendelssohn, fu suonata di nuovo La Passione secondo San Matteo sotto la sua direzione. Intorno a questa scoperta sono nate numerose leggende, come quella del macellaio, il macellaio di Mendelssohn. Come un racconto fiabesco, si dice che il macellaio di Mendelssohn per avvolgere la carne ha usato le partiture della Passione secondo San Matteo. Per avvolgere la carne ha usato le partiture della Passione secondo San Matteo.
Jesu, meine Fraude – Die Motetten (BWV 227). Interpreti: Thomanechor Leipzig. Direttore: Georg C. Biller.
IL VENDITORE DI PIANOFORTI E LA BELLISSIMA MOGLIE VIOLONCELLISTA IN PARTENZA PER LA TOURNÉE
Sarabande für Violoncello solo Nr. 5 in C-moll (BWV 1011). Interprete: Georgina Cardona
- Quanto tempo rimarrai a Lipsia?
- Un paio di settimane.
- Che programma presenterai?
- Locatelli, Frescobaldi, Telemann e i due figli di Bach.
- Carl Philipp Emanuel e... e Johann Christian Bach.
- Il più giovane....va bene. Divertiti, e chiamami ogni tanto.
IL CAMIONISTA NEL MOTEL SUONA IL FAGOTTO
Aria Schlummert ein, ihr Matten Augen. Cantata Nr. 82 Ich Habe Genug (BWV 82). Interprete: Àlex Brendemühl, Fagotto
IL LIBRAIO DI ANTIQUITIES E IL COLLEZIONISTA
(UN CONCERTO NEI LAGER)
- Hai trovato quello che ti ho chiesto?
- Le lettere di Rossini no, però ho trovato il libro di Lars Gustafsson.
- Fai vedere. Il Silenzio del Mondo prima di Bach.
- Deve esserci stato un mondo prima della Trio sonata in Re maggiore, un mondo prima della Partita in La minore,
- Ma che genere di mondo?
- Un' Europa dei grandi spazi vuoti, senza risonanza, piena di strumenti ignari dove l'Offerta Musicale e Il Clavicembalo ben-temperato non erano mai passati su una tastiera.
- Senza Bach Dio sarebbe sminuito. Senza Bach Dio sarebbe un personaggio di terz'ordine. Bach è l'unica cosa che ci ricorda che l'universo non è un fallimento.
- “E dopo Bach? Listz? Listz è insopportabile”. Emil Cioran.
- A proposito, ho trovato anche un libro che potrebbe interessarti. Musica da un altro mondo, Simon Laks? Era uno ebreo polacco. Compositore e direttore d'orchestra. Si guadagnava da vivere suonando il piano nei cinema e nei ristoranti. Lo internarono in Baune, Drancy, Auschwitz e Dachau. Lo liberarono nel 1945 e scrisse questo libro su Parigi per evocare la memoria e la sofferenza di coloro che erano stati annientati e soprattutto per analizzare la musica scritta e utilizzata durante lo sterminio.
- Mi ricordo perfettamente la descrizione di Levi... di come la musica li faceva balzare in piedi...
- Simon Laks dirigeva quei musicisti.
- Non immaginavo che ti interessasse così tanto l'olocausto.
- Non sei tu che dici sempre che la musica ti salva? Vero...
- Vigilia di Natale 1943. Il comandante Schwarzhuber ordina a Simon Laks e al gruppo di musicisti di interpretare canti natalizi tedeschi e polacchi per le donne internate nell' ospedale del campo. Le polacche iniziarono a piangere, fino a provocare uno spasmo più' forte della musica. Le internate gridavano: Basta! Lasciateci morire in pace.
- La musica fa male.
ANTOLOGIA CRITICA
Presentato alla 64 Mostra del Cinema di Venezia (2007) alla “Sezione Orizzonti” Die Stille vor Bach ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria; proiettato in America nell’autunno del 2007 al MoMA di New York in una retrospettiva dedicata al cinema di Pere Portabella; il Museum of Modern ne ha acquisito una copia. Alla fine del 2007, il cineasta è stato insignito del dottorato Honoris Causa dall’Universitat Autònoma de Barcelona.
“Die Stille vor Bach “è cinema spogliato di tutti gli aneddoti. Non si svela nessuna intimità, non si sfrutta nessuno scandalo, non si racconta nulla che non si sappia già. Di fatto, persino lo stesso Bach appare in poche scene: è esattamente l'opposto di un biopic. Ed è anche il contrario di un film-tv gonfiato a 35mm: nei film commerciali di oggi i personaggi parlano senza sosta perché l'industria cinematografica non crede più all'immagine né al cinema. Nel film si parla appena: è il film che parla, fondamentalmente del lavoro e della Storia. Attraverso il lavoro, questo film sceglie di parlare dell'arte. Bach non è un genio che crea ex nihilo per pura ispirazione divina. È piuttosto un lavoratore inesauribile che vende la sua dedizione e il prodotto della sua intelligenza in cambio di (poco) denaro. Deve lottare per conservare il posto di lavoro ed è un compositore consapevole delle condizioni materiali che rendono possibile la propria musica. Tutto il film è girato in presa diretta, sottolineando come la musica provenga sempre dalla tecnica e dalla fisicità dei diversi strumenti, oltre che dallo sforzo e dal virtuosismo della sua esecuzione. Tutti i personaggi di questo film, non solo Bach, lavorano: ci sono camionisti che interpretano la musica, macellai che impacchettano la carne con partiture di Bach e accordatori di piano ciechi. Si potrebbe dire che anche il film lavora, perché rifiuta di limitarsi allo sfruttamento di sentimenti immediati o delle aspettative di evasione dello spettatore, al quale a sua volta si chiede di partecipare al lavoro del film. Infatti in Die Stille vor Bach non c'è una storia lineare: […] , il film procede attraverso sequenze senza altra relazione causale che non sia quella attribuita dallo spettatore, il destinatario ultimo. Per contro nel film c'è parecchia Storia, anche se ci troviamo di fronte all'opposto di una superproduzione storica. Si tratta di un film europeo. Europea è la sua nazionalità perché l'Europa rappresenta il campo affettivo, simbolico, storico e politico su cui si fonda: è il palcoscenico in cui ha luogo.” [Scheda del Festival di Venezia]
“Die Stille vor Bach è un approccio alla musica, e alle discipline e mestieri che la circondano, attraverso l’opera di Johann Sebastian Bach. Uno sguardo sulle profonde relazioni tra immagine e musica, dove quest’ultima non è semplice sottolineatura dell’immagine, ma soggetto paritetico all’interno del racconto. Il film parte da una struttura musicale preesistente. La colonna sonora si nutre delle opere di Bach, di due sonate di Mendelssohn e di uno studio di Ligeti, che creano una volta architettonica che avvolge il film: una passeggiata attraverso il diciottesimo, il diciannovesimo e il ventunesimo secolo per mano di J. S. Bach. Johann Sebastian Bach arriva con la sua famiglia a Lipsia come cantore nella Scuola di San Thomas. Bach è ben lontano dall’essere un privilegiato, ma la sua fama di compositore e interprete cresce nel corso della sua vita, oltrepassa la sua morte e arriva a essere tanto un riferimento della cultura alta quanto un’icona popolare. Non ci sono altri temi in questo film. Come l’intera opera di Portabella, Die Stille vor Bach è cinema spogliato di tutti gli aneddoti. Non si svela nessuna intimità, non si sfrutta nessuno scandalo, non si racconta nulla che non si sappia già. Di fatto, persino lo stesso Bach appare in poche scene: è esattamente l’opposto di un biopic. Ed è anche il contrario di un film-tv gonfiato a 35mm: nei film commerciali di oggi i personaggi parlano senza sosta perché l’industria cinematografica non crede più all’immagine né al cinema. Nel film si parla appena: è il film che parla, fondamentalmente del lavoro e della Storia. Attraverso il lavoro, questo film sceglie di parlare dell’arte. Bach non è un genio che crea ex nihilo per pura ispirazione divina. È piuttosto un lavoratore inesauribile che vende la sua dedizione e il prodotto della sua intelligenza in cambio di (poco) denaro. Deve lottare per conservare il posto di lavoro ed è un compositore consapevole delle condizioni materiali che rendono possibile la propria musica. Tutto il film è girato in presa diretta, sottolineando come la musica provenga sempre dalla tecnica e dalla fisicità dei diversi strumenti, oltre che dallo sforzo e dal virtuosismo della sua esecuzione. Tutti i personaggi di questo film, non solo Bach, lavorano: ci sono camionisti che interpretano la musica, macellai che impacchettano la carne con partiture di Bach e accordatori di piano ciechi. Si potrebbe dire che anche il film lavora, perché rifiuta di limitarsi allo sfruttamento di sentimenti immediati o delle aspettative di evasione dello spettatore, al quale a sua volta si chiede di partecipare al lavoro del film. Infatti in Die Stille vor Bach non c’è una storia lineare: come sempre accade nel cinema di Portabella, il film procede attraverso sequenze senza altra relazione causale che non sia quella attribuita dallo spettatore, il destinatario ultimo. Per contro nel film c’è parecchia Storia, anche se ci troviamo di fronte all’opposto di una superproduzione storica. Si tratta di un film europeo. Europea è la sua nazionalità perché l’Europa rappresenta il campo affettivo, simbolico, storico e politico su cui si fonda: è il palcoscenico in cui ha luogo. Il film sostiene che l’Europa non potrà andare avanti senza riconoscere che nel suo passato (trasformato oggi in uno sfondo turistico attraversato da giovani zaino in spalla) e dietro il suo incerto presente (dominato da tecnocrazia e amnesia) giace una Storia tesa, conflittuale, drammatica (il cuore del film è ambientato a Dresda). Lo splendore della sua cultura è inseparabile dalla sofferenza e dallo sfruttamento inflitti per secoli. Ai suoi piedi pullula una moltitudine come quella del mercato di Lipsia. Il suo presente non è meno tumultuoso e ambivalente del suo passato.” [Testo di Marcelo Expósito]
ELENCO DELLE MUSICHE ESEGUITE IN PRESA DIRETTA DURANTE LE RIPRESE
Aria mit verschiedenen Veranderungen. Goldberg Variationen (BWV 988)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Variatio 1 a 1 Clav.- Goldberg Variationen (BWV 988)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Variatio 2 a 1 Clav. Goldberg Variationen (BWV 988)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Antonio Serrano, Armonica a bocca
Präludium und Fuge a-moll (BWV 543)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Christian Brembeck, Organo
Variatio 23 a 2 Clav. Goldberg Variationen (BWV 988)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Christian Brembeck, Clavicembalo
Präludium Suite für Violoncello solo Nr. 1 in G-dur (BWV 1007)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Coordinatore violoncellisti: Lito Iglesias
Präludium C-dur/C-major – Das Wohltemperiete Klavier 1 Teil (BWV 846)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Ferran Ruiz, Clavicembalo
Das Wohltemperiete Klavier Fuga 24 (BWV 869 )
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Christian Brembeck, Clavicembalo
Lieder ohne Worte op. 19 Nr. 1 E-dur
Autore: FELIX MENDELSSOHN
Interprete: Daniel Ligorio, Pianoforte
Auf flügeln des Gesanges heine Op 34, Nr. 2
Autore: FELIX MENDELSSOHN
Testo: Xavier Albertí
Interprete: Claudia Schneider, voce
Jesu, meine Fraude – Die Motetten (BWV 227)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interpreti: Thomanechor Leipzig
Direttore: Georg C. Biller
Sarabande für Violoncello solo Nr. 5 in C-moll (BWV 1011)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Georgina Cardona
Variatio 7 a 1 ô vero 2 Clav. Goldberg Variationen (BWV 988)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interpreti: Àlex Brendemühl, gli studenti del Conservatorio di Torrent
Coordinatore pianisti: Inma García Soria.
Aria Schlummert ein, ihr Matten Augen. Cantata Nr. 82 Ich abe Genug (BWV 82)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Àlex Brendemühl, Fagotti
Variatio 28 a 2 Clav. 28. Goldberg Variationen (BWV 988)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Interprete: Daniel Ligorio, Piano
Fantasie und Fuge G-moll (BWV 542)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
Musiche di repertorio
Coulée . Etuden num. 2 für Orgel.
Autore: GYÖRGY LIGETY
Interprete: Zsigmond Szathmáry
Genehmigung der SCHOTT MUSIC GmbH & Co. KG, Mainz
Fecit Potentiam – del Magnificat (BWV 243)
Autore: JOHANN SEBASTIAN BACH
“Wachet auf, ruft uns die stimme”
Cantata BWV 140+ Magnificat BWV 243
Münchener Bach Chor / Munchener Bach Orchestrer / Karl Richter
Deuctche Grammophon 419 466-2 (P) 1962 (BWV 243) / 1979 Polydor International GmbH, Hamburg
CHI È PERE PORTABELLA
Pere Portabella nasce a Figueres, Girona, nel 1927. La famiglia si trasferisce presto a Barcellona, e dopo il Liceo lo manda a Madrid per studiare Scienze chimiche.
Lasciata l’Università, entra in contatto con i gruppi artistici e negli anni ’50 inizia a lavorare nel mondo del cinema, e con la sua società Films 59 produce Los golfos di Carlos Saura (1959) e El Cochecito di Marco Ferreri (1960). Nel 1961, la Palma d’Oro a Viridiana di Luis Buñuel (di cui è produttore) gli costa l’ostracismo del regime franchista. Ripara in Italia, dove scrive Il momento della verità di Francesco Rosi. Tornato in Spagna, alla fine degli anni ’60, passa dietro la macchina da presa: opere come Nocturn 29 (1968), Vampir Cuadeduc (1970) e Umbracle (1971), lo impongono tra gli sguardi più originali del cinema underground e d’avanguardia. Dopo una lunga parentesi di militanza politica, che l’ha visto ricoprire le cariche di deputato al Parlamento de Cataluña, e di senatore al Parlamento madrileno dal 1980 al 1984, torna alla regia con Pont de Varsòvia (1989).
Letteratura critica su Pere Portabella
Il cinema perseverante di Pere Portabella
Testo di Marcelo Expósito
“Per comprendere la rilevanza storica di Pere Portabella è necessario considerare il suo lavoro come il singolare risultato di un incrocio tra l’avanguardia artistica, la pratica cinematografica e l’attività politica. Una pratica che, sin dall’inizio, ha cercato di operare in sincronia con i linguaggi contemporanei dell’avanguardia ed allo stesso tempo anche in profondità, inserita nel suo proprio contesto culturale, politico e storico.
I film di Carlos Saura (Los golfos) e Marco Ferreri (El cochecito) che Portabella ha prodotto verso la fine degli anni cinquanta hanno rappresentato l’irruzione di un nuovo tipo di realismo critico nel panorama cinematografico spagnolo del dopoguerra civile: un cinema di rinnovamento che rivedeva le correnti neorealiste europee alla luce della tradizione del realismo estetico e letterario spagnolo.
Quando si ripresenta, come cineasta, dopo un periodo trascorso in esilio in Italia a
causa dello scandaloso successo a Cannes del film di Luis Buñuel Viridiana (1961, che Portabella ha prodotto), lo fa come uno dei protagonisti della modernizzazione del cinema spagnolo di quel periodo. No contéis con los dedos / No compteu amb els
dits (1967) e Nocturno 29 (1968) riflettono i nuovi linguaggi cinematografici con cui le nuove pellicole scuotono il mondo nel corso degli anni sessanta, mettendole in
relazione con la tradizione dell’impegno politico nel cinema, nell’arte e nella letteratura d’avanguardia che era stata annichilata dal regime del generale Franco partorito dalla Guerra Civile.
La durezza degli ultimi anni della dittatura situa il film Cuadecuc-Vampir (1970) nell’ambito di quello che venne definito in maniera generica come “cinema indipendente”: si trattava in realtà di una eterogenea corrente di radicalizzazione nel cinema spagnolo orientata verso pratiche fuori dalla legalità, semiclandestine o di aperta opposizione antifranchista. Vampir è uno dei capisaldi di questa tendenza, e situa Portabella come una figura centrale in uno dei periodi più tesi e importanti (e forse, non a caso, maggiormente dimenticati) del cinema spagnolo. Umbracle (1972) è indiscutibilmente un opus magnum: un’analisi delle condizioni politiche della dittatura condotta attraverso una rigorosa riflessione sul linguaggio cinematografico. Parallelamente, Portabella fa parte del Grup de Treball (Gruppo di Lavoro, n.d.t.), memorabile esempio in Catalogna delle correnti internazionali che mettono radicalmente in discussione l’istituzione artistica. L’opera di Portabella negli ambiti artistici e cinematografici in questo periodo non può essere dissociata dalla realtà contemporanea dei movimenti di opposizione antifranchista. Il film Informe general sobre algunas cuestiones de interés para una proyeccion pùblica (1975) è il punto finale di questo periodo: un ritratto corale dell’eterogeneo spettro di alternative politiche che si sarebbero sviluppate dopo la morte del dittatore, un film che incarna le aspettative contraddittorie e i desideri di cambiamento sociale. “Rompere con il canone narrativo aristotelico, respingendo l’aneddoto, puntando direttamente al tema”, come nella drammaturgia brechtiana. Frammentare la linearità narrativa: un cinema di quadri scenici, che provocano shock emozionali nello spettatore, come nel “montaggio di attrazioni” modellato da Eisenstein a partire dalle esperienze del teatro politico nella Russia e nella Germania dei convulsi anni ’20 dello scorso secolo: il cinema di Portabella polverizza i meccanismi del naturalismo della rappresentazione classica, attaccando i modelli di vita borghesi e le loro forme di vita alienate di identità sociale. Queste sono le caratteristiche essenziali che distinguono una pratica cinematografica fortemente anti-idealista, di un materialismo peculiare che esplora la fascinazione esercitata sullo spettatore dalla proiezione in sala, e il distacco critico anti-illusionista.
La traiettoria biografica e creativa di questo cineasta perseverante l’ha condotto alla produzione del film di José Luis Guerín Tren de sombras (1997) e al ritorno alla regia con Pont de Varsovia (1989), film vigoroso realizzato dopo la caduta del Muro di Berlino, che ci riporta alla Storia contraddicendo sia l’amnesia sia la nostalgia.
L’altra continuità di Pere Portabella
Testo di Josep Torrell
“Nei suoi film Portabella ha mandato in frantumi le regole della continuità narrativa. Il suo interesse primario è lo studio dei rapporti di successione dei piani, e per estensione i fenomeni che intervengono nel passaggio da una sequenza all’altra. In questo spazio invisibile si dispiega l’invenzione radicale di Portabella. In questo modo ha annullato la gerarchia delle sequenze a favore di una struttura caleidoscopica in cui ogni sequenza è di per sé indipendente. Ha privato di senso la distinzione fra sequenze preparatorie e sequenze culminanti, rompendo ogni accenno di sequenza transitoria. La progressione drammaturgica è stata sostituita da una struttura in cui i criteri estetici hanno maggior peso di quelli narrativi.
Tuttavia la scelta di offuscare la trasparenza narrativa ha condotto verso un’altra continuità narrativa, di tipo nuovo, più libera e senza ostacoli. Ciò che Straub e Huillet cercarono per anni, Portabella l’aveva trovato durante le riprese di Informe general: un piano che per l’intera sua durata rivelasse tutta l’intenzione critica per la quale era stato girato. Anche il piano sequenza di Die Stille vor Bach del combattimento fra la pianola meccanica e la cinepresa, mostra un modo di fare cinema assolutamente visivo, chiaramente innovatore ed eminentemente estetico. La quarantennale ricerca condotta da Portabella trova la sua logica interna – l’impalcatura, secondo la sua stessa definizione – nella questione fondamentale di una continuità narrativa diversa da quella convenzionale (la continuità attraverso la discontinuità). Il cambio di piano, o di sequenza, rappresenta la questione centrale della narrativa cinematografica ed è questo il punto in cui Portabella ha utilizzato una parte rilevante della sua potenza di fuoco.
Tutto il discorso sulla sorpresa è allo stesso tempo una riflessione sulla continuità. Questa centralità fa sì che il suo cinema non invecchi e che anzi sembri sempre più attuale. La capacità del suo cinema di conservarsi nel tempo proviene insieme dalla volontà di innovare e dall’acuta percezione di stare sul filo del tempo. La modernità di Portabella è la scommessa cinematografica di una vitalità e di una tensione etica che riformula incessantemente il proprio programma estetico e di rinnovamento. Nel mezzo di un film qualunque regista – e poi il critico o il cinefilo (se ne esistono ancora) – si trova continuamente a chiedersi che tipo di piano o di sequenza utilizzare per continuare il precedente. In tutta la sua semplicità, è questa la questione che dà un’importanza enorme al lavoro di Portabella su un’altra continuità narrativa. È questo ciò che lo rende invulnerabile al passare del tempo: un classico indiscutibile della modernità.”
Estratti da Village Voice (Jonathan Rosenbaum) e El Amante (Ezequiel Schmoller) Umbracle (di J. Rosenbaum)
Per il secondo anno consecutivo, il film più audace che ho visto a Cannes è stato l’opera di Pere Portabella. Umbracle (1972), una poliedrica dichiarazione di disperazione politica di fronte alla Spagna franchista che si presenta sotto un’apparenza molto più ambiziosa e indefinita e più difficile da classificare. A giudicare dall’evoluzione offerta da Portabella nelle sue tre opere – da Nocturno 29 (1968) fino a Vampir-Cuadecuc (1970) e Umbracle – rivela la nascita e le qualità di uno degli stili più personali del cinema attuale. Come possiamo classificare questi film? Sono film di terrore, dichiarazioni politiche, studi formali della relazione tra il suono e l’immagine, omaggi al cinema muto, illusioni personali o laconici ritratti della Spagna contemporanea? Fino a un certo punto, ciascuna delle opere di Portabella è un compendio di tutto ciò ... Umbracle, da parte sua, è il film di Portabella maggiormente commovente e più riuscito fino ad oggi. Qui troviamo una sintesi dei migliori risultati delle sue precedenti produzioni, giacché unisce la libertà e la varietà di Nocturno 29 con il rigore e la semplicità di Vampir-Cuadecuc. Sebbene Umbracle sia il più provocatore dei suoi film, è anche quello che meglio accetta l’analisi e la parafrasi. La dicotomia ingegnosa e la dialettica tra il suono e l’immagine di Vampir-Cuadecuc va ben oltre, fino a diventare un colpo aggressivo contro le aspettative narrative dell’incosciente del/la spettatore/rice.
[Nocturno 29 – Il Punk in giacca e cravatta, di E. Schmoller]
Potrebbe sembrare che Portabella sia un cineasta estremo, irrispettoso e distruttivo; un cineasta punk. E in qualche modo lo è. Ma con un’eccezione. La non prolissità, quella qualità che – con ragione – si associa normalmente al movimento punk, è completamente assente nel suo cinema. Se Portabella è un cineasta punk, è il più elegante di tutti. Colui che mette in evidenza, che destruttura e distrugge forme, meccanismi e discorsi mentre inquadra con il virtuosismo matematico di Antonioni o di Resnais, fotografa con la violenza di Glauber Rocha, monta con l’intelligenza rivoluzionaria di Ejzenstejn e muove la camera con la sofisticazione arrogante di Fellini. Colui che ha il tempo di aggiustarsi la cravatta mentre fa a pezzi il cinema e il mondo.
Johann Sebastian Bach
BACH AL CINEMA
Al massimo musicista barocco, il cinema si è rivolto più volte per le colonne sonore di alcuni capolavori: da Pasolini a Bergman, da Coppola a Tarkovsky, le partiture di Bach hanno assecondato o contrappuntato le immagini di Accattone e Tystnaden (Il silenzio), di The Godfather (Il Padrino) e Solaris. Sulle note dei suoi concerti si sono mosse Hannah and Her Sisters (Hannah e le sue sorelle, Woody Allen), La Passione secondo Matteo ha accompagnato Il Vangelo secondo Matteo (ancora Pier Paolo Pasolini), e altre note attraversano film diversissimi come Barry Lyndon di Stanley Kubrick e Sunset Boulevard (Viale del tramonto) di Billy Wilder, fino a The Great Race (La grande corsa) di Blake Edwards.
Altro tipo di attenzione, quello che ha condotto cineasti d’ogni epoca a interessarsi alla biografia di Bach, e della sua famiglia. Sul figlio Friedemann, già nel 1941 i tedeschi Traugott Müller e Gustaf Gründgens girarono Friedemann Bach (uscito in Italia col titolo Senza gloria), mentre in tempi recenti sul compositore si è rivolta l’attenzione di Jean-Louis Guillermou (con Il était une fois Jean-Sébastien Bach) e di Dominique de Rivaz, autrice nel 2003 di Mein name ist Bach. Ma è a Jean-Marie Straub e Danièle Huillet che si deve il Bach più celebre del grande schermo: quello interpretato nel 1967 dal grande clavicembalista Gustav Leonhardt in Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach). [I Maestri alla 64. Mostra del Cinema]
NOTA: non so se per mia imperizia o per assenza di 'materiali' nel database, è impossibile trovare foto e trailer del film.
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