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Submarino

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Submarino

di maurizio73
6 stelle

Cresciuti nel degrado di una situazione familiare scandita dall'alcolismo di una madre assente e dalla morte prematura del loro piccolo fratellino Martin, due fratelli danesi perdono i contatti una volta cresciuti. Le loro strade si incrociano di nuovo in occasione del funerale della madre allorchè l'uno, appena uscito dal carcere, finirà per tornarci per coprire un amico e l'altro,con problemi di tossicodipendenza e arrestato per spaccio di droga, ci si ritrova per la prima volta dovendo abbandonare il piccolo figlioletto Martin alle cure degli assistenti sociali.

Abbandonata ormai da tempo l'utopia mai veramente realizzata del rigoroso manifesto cinematografico 'Dogma',che aveva contribuito a fondare insieme al suo collega e sodale Von Trier, Thomas Vinterberg si cimenta in questo dramma familiare tratto dall'omonimo romanzo di Jonas T. Bengtsson, che mostra i caratteri di una sensibilità sociale e psicologica facilmente riconducibili alla glaciale concretezza del cinema scandinavo (siamo in Danimarca ma l'influenza degli odiati cugini svedesi si sente tutta!) e che cerca la sua misura tanto nel realismo asciutto dell'ambientazione suburbana quanto nei significati da attribuire agli indissolubili legami di sangue che chiamiamo fratellanza e paternità, ancora di salvezza e unico appiglio nell'inevitabile degrado di un'umanità alla deriva.

Costruito attraverso le regole combinatorie di una scansione temporale che presenta prima il 'dopo' e mostrandoci solo successivamente il 'prima' ed adattando nella complementarietà dei silenzi o dell'inutile squillare del telefono, le strade parallele di vicende umane scandite dal senso di colpa e dalla debolezza degli uomini, Vinterberg mostra e dimostra l'esemplare 'discesa agli inferi e ritorno' di un'umanità sconfitta che affida al valore invincibile dei legami di sangue la sua unica possibilità di riscatto nel nome, sempre lo stesso, di un fratello morto piccolo e di un piccolo nipote da salvare. Benchè gli elementi di questo facile simbolismo aderiscano ai consolidati e, se vogliamo, logori codici del dramma sociale e familiare frequentati da troppo cinema europeo, il film del regista danese riesce ad avere una sua ragion d'essere più nella buona prova degli interpreti (su tutti il fascino dolente di un imperscrutabile Jakob Cedergren) che nell'originalità della storia, finedo per riscattare un finale strappalacrime di superstiti scampati ai prevedibili accidenti di una vita difficile e impietosa. Una nomination come miglior film all'Orso d'oro del Festival di Berlino 2010 ed una tiepida accoglienza della critica.

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