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Submarino

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Submarino

di OGM
8 stelle

“Abbiamo cercato di fare un film il più pulito e puro possibile”: così ha dichiarato il regista Thomas Vinterberg. E l’obiettivo è stato perfettamente centrato. Il degrado della Copenhagen dei tossicodipendenti e degli alcolisti è ritratto, attraverso la storia di due fratelli, nella scala di grigi della monotonia, della mancanza di prospettive, del senso di inutilità, senza stridori espressionistici o acuti drammatici, ovvero senza nulla che sfori l’anonima patina della vita vissuta nella totale rinuncia all’idea di un futuro migliore. La rassegnazione ad un presente immodificabile trasforma la quotidianità in un’avventura affrontata con animo semplice, in una ristrettezza di mezzi che diventa una particolarissima forma di intimità.  I protagonisti, separati, per vari motivi, dagli affetti più cari, si reinventano così un nuovo concetto di famiglia, che abbatte le barriere della solitudine e infrange la corazza dell’indifferenza. Questi personaggi allo sbando, in preda alla disgrazia e all’abbandono, pur non essendo, purtroppo, in grado di aiutarsi vicendevolmente, scongiurando il peggio, perlomeno riescono ad esistere, parlando e stando insieme. Dalla prigione del male non si scappa, nei bassifondi delle metropoli nordeuropee: non si guarisce dalla dipendenza, dalla delinquenza, dalla follia, né si diventa più accettabili agli occhi della gente “normale”. Così Nick e suo fratello, fin dall’infanzia, sono uniti solo dalla comune condizione di reietti, di coloro che ogni giorno toccano con mano la miseria, l’emarginazione, la morte: sono ancora ragazzini quando la madre, attaccata al tabacco e alla bottiglia, è già ridotta a un rudere, incapace di badare a se stessa e al suo ultimo nato, che muore nella culla. Da adulti si perderanno di vista, ognuno impegnato nel proprio durissimo percorso di sopravvivenza, per ritrovarsi poi in circostanze tragiche, a tracciare un amaro bilancio delle rispettive esistenze, consumate nel solco di quell’iniziale devastante esempio.  

La verità - a cui la scuola danese di Von Trier ha scelto di assoggettarsi da schiava, con punte di estremo masochismo - non è mai stata così dolorosamente nuda e sottomessa, spogliata di ogni dignità estetica, ridotta ad una comune pratica da poveri diavoli, una triste e meccanica arte di arrangiarsi che cancella la voglia di piangere e la forza di ribellarsi. Submarino è il termine di origine spagnola con cui, nel gergo carcerario, si denota una tortura basata sul soffocamento; ed è proprio l’aria, il primario elemento vitale, a venir meno in un ambiente ingombro di cicche, avanzi di cibo e piatti accatastati, nelle anguste stanze delle pensioni a buon mercato dove basta un niente per saturare l’atmosfera di fumo, di emanazioni corporee, di rabbia ed istinti repressi.  L’umanità resta, comunque, pur nella desolazione, fatta di carne e cuori pulsanti, estranei alla passione, ma dediti ad una primitiva e naturale forma di devozione, che piazza spontaneamente  un gesto d’amore in tutti i punti lasciati liberi dal cinismo, dal vizio, dalla violenza. Tuttavia, questo sentimento è solo una benda che fascia le ferite, ma non impedisce la cancrena, ed è come un freddo bacio scambiato tra i partecipanti ad un corteo funebre: è il viatico che accompagna alla fine, rendendo forse più tenero l’addio, senza, però, confortarlo di certezze. 

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