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The Girlfriend Experience

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su The Girlfriend Experience

di maurizio73
4 stelle

Soderbergh scimmiotta la moda del biopic scabroso sul patinato mondo della prostituzione per scelta o per necessità, cercando di sondarne gli aspetti meno paradigmatici con una incursione nel frenetico mondo di una routine metropolitana che scarica le ansie da prestazione nel teatrino di una performance sociale e sessuale senza tanti strascichi.

Chelsea fa la escort di lusso a Manhattan, è legata sentimentalmente ad un body trainer ed è appassionata di fisiognomica. L'intervista rilasciata ad un giornalista che vuole documentare la sua vita privata e professionale però, ci presenta una ragazza consapevole delle sue scelte che sogna un futuro diverso, una maggiore stabilità economica e soprattutto incontrare l'uomo della sua vita. 

 

locandina

The Girlfriend Experience (2009): locandina

 

Tenendo a mente i capisaldi del cinema dei suoi esordi, l'ormai affermato Steven Soderbergh si imbarca in una produzione low budget sperimentale e provocatoria che se da un lato scimmiotta con malcelato sarcasmo la moda del biopic scabroso sul patinato mondo della prostituzione per scelta o per necessità, dall'altro cerca di sondarne gli aspetti meno paradigmatici con una incursione nel frenetico mondo di una routine metropolitana dove tutto si riduce ad una merce da comprare o ad un contratto da stipulare, scaricando le ansie da prestazione (lavorativa e familiare) nel teatrino di una performance sociale e sessuale senza tanti strascichi.
Il risultato è un film che codifica una sintassi ellittica costruita assemblando le diverse sequenze di altrettante confessioni private e pubbliche (lei che scrive il suo diario, che si confida con l'amica, che discute col suo ragazzo, che accoglie le confessioni degli amanti, che rilascia l'intervista ad un giornalista che potrebbe benissimo essere lo stesso autore) percorse dal flusso di coscienza di una inarrestabile prolissità verbale e punteggiate qua e là dai sussulti pop-rock di improvvisi intermezzi musicali, lasciando a più riprese che i dialoghi di scene precedenti si sovrappongano quale straniato voice over sul filmato di scene successive. Non ostante questa struttura un pò bislacca e frammentata (ripresa pari pari da Mark L Mann nel suo Generazione Um: confessione privata e filmata di due mignotte newyorkesi che sembra guardare a Cassavetes ed al triste tramonto della Genarazione X del decennio precedente), il film di Sodenbergh mette in mostra la spudorata superficialità di una ex pornostar che recita la parte di sè stessa alla ricerca di una improbabile felicità, cercando di far conciliare attitudini e necessità professionali con le esigenze emotive e sentimentali attraverso l'esercizio di una improbabile cabala onomastica. Le premesse e lo svolgimento sembrano scadere spesso e volentieri nel ridicolo involontario (con tanto di goffo approccio dello stesso giornalista al seducente oggetto della sua indagine professionale), ma la Grey è così bella (tanto nuda, quanto vestita) che gli si perdonano volentieri le improbabili velleità attoriali e gli ammiccamenti intellettualistici di chi ha letto poco e male, facendoci comprendere fino in fondo cosa possa provare il pingue gioielliere sionista che, nella scena finale, ci impiega solo pochi secondi e senza neanche doversi spogliare. Presentato al Sundance Film Festival 2016, si rifà abbondantemente delle spese e riesce a lanciare l'omonima e fortunata serie televisiva prodotta dalla stesso Soderbergh. L'insostenibile leggerezza di una fidanzata prezzolata.

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