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Fratelli messicani

Regia di Edgar G. Ulmer vedi scheda film

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La recensione su Fratelli messicani

di millertropico
8 stelle

Personalissima incursione nel genere western, è indubbiamente uno dei risultati più interessanti e significativi di Ulmer, un regista che si è distinto nel più marginale segmento dei B-movie dove è stato circoscritto dal sistema ritagliandosi comunque un posto di assoluto rilievo fra i maestri che hanno fatto scuola.

Ulmer, nato a Vienna il 17 settembre del 1904, formatosi alla scuola dei grandi (Murnau, Wilder, Siodmak sono i nomi più importanti con i quali ebbe la fortuna e il privilegio di collaborare) resta uno dei più originali (ma anche misconosciuti) autori "americani" (è appunto in America che ha preso forma e vita la sua straordinaria  parabola registica).  
Ha realizzato nella sua abbastanza lunga carriera (è morto a Woodland Hills in California il 7 ottobre del 1972) un elevato numero di pellicole, ma solo una piccolissima parte della sua produzione è arrivata fino a noi (parlo soprattutto dell'Italia), anche a causa della difficilissima reperibilità di molti titoli alcuni dei quali realizzati appositamente  per alcune minoranze etniche e religiose ( pricipalmente quelle degli ebrei e della gente di colore). 
Fratelli messicani, personalissima incursione nel genere western, è indubbiamente uno dei suoi risultati più interessanti e significativi. Come quasi tutto il suo percorso di autore "anomalo", anche questa pellicola  appartiene a quel marginale segmento dei B-movie dove Ulmer è stato circoscritto dal sistema ma è riuscito ad affermarsi ugualmente ritagliandosi un posto frai i "maestri" che hanno fatto scuola. La sua uscita avvenne in sordina e senza alcun supporto pubblicitario, buttata allo sbaraglio dalla Universal (la Casa produttice). Dobbiamo dunque solo alla intuitiva scoperta di alcuni critici francesi che ne compresero immediatamente le sue potenzialità e il suo valore, la successiva diffusione  europea e mondiale che ne ha fatto (a pieno titolo e a dispetto delle sue disavventure produttive e distributive), un piccolo classico del western, e un vero e proprio "Cult-movie". 
L'importanza del film va comunque ben oltre il "genere" di riferimento, perchè quello che ci viene rappresentato è anche un dramma intimista a tre personaggio pieno di tenerezza e di generosa compartecipazione, oltre che un aspro apologo con forti implicazioni morali, religiose e sociali (fu persino proibito dalla censura messicana proprio perchè mostrava la vita dei contadini messicani in maniera troppo realistica). 
Proprio analizzandolo da una prospettiva più specificatamente "religiosa", si può dire infatti  che Ulmer ha fatto di questo film una parabola metafisica sul fascino e sulle devastazioni portate dal denaro su una coppia di tranquilli coloni indios (Yves Kovacs). 
La mano di Ulmer, il suo modo di intendere e di praticare una regia che punta sui contrasti e le contrapposizioni, si avverte come al solito, potente e straordinaria, ed è proprio qulla che ne nobilita il risultato. Girato in poco più di dieci giorni,  gioca le sue carte migliori suule brusche impennate visive  e suulla sobria architettura narrativa della storia, con quella personalissima impaginazione deigli avvenimenti che ben conosciamo, che gli consente di "simbolizzare"  ogni piccolo scontro (fisico o morale non fa alcuna differenza) alternando una violenza spesso brutale a una speciale attenzione rivolta ai sentimenti con improvvise accensioni di un lirismo esasperato e frenetico  che ancora Kovacs reputa degne di un Murnau, come per esempio tutta la sequenza della fiesta nel saloon.
 Arthur Kennedy, Eugene Iglesias e Betta St. John ne sono gli efficaci interpreti)

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