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Litigi d'amore

Regia di Mike Binder vedi scheda film

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La recensione su Litigi d'amore

di degoffro
4 stelle

Come nel successivo “Reign over me”, il regista, sceneggiatore, attore Mike Binder (questo è il suo primo film ad essere stato distribuito regolarmente in Italia, del resto, a conti fatti, non pare proprio un autore imprescindibile), parte da un tema interessante e complesso, l’elaborazione e la gestione della rabbia conseguente ad una fortissima delusione, ben sintetizzato nello splendido titolo originale “The upside of anger” che resta la cosa migliore di tutto il film. Il culmine della rabbia è quello che prova la quarantenne Terry Ann Wolfmeyer quando pensa che il marito l’abbia abbandonata per fuggire in Svezia con la sua giovane segretaria. Peccato però che, come nel film con Adam Sandler, il regista realizzi un’opera laccata nella confezione, superficiale nei contenuti, ruffiana più che profonda nei personaggi, ovvia e deludente nelle conclusioni, affidate didascalicamente alla voce di Popeye, la più piccola delle quattro figlie della protagonista. “Litigi d’amore” (il titolo italiano oltre che cretino è fuorviante, ma non c’è da stupirsi di nulla quando la distribuzione è affidata alla Eagle Pictures, la stessa di “Se mi lasci ti cancello” per intenderci) si basa peraltro su un soggetto che, alla luce dell’artificioso colpo di scena finale, definire discutibile è poco (si rischia il ridicolo involontario). Come è possibile che un uomo scompaia di punto in bianco senza che nessuno si preoccupi di cercarlo. D’accordo la moglie è divorata dalla rabbia e preferisce costruirsi le sue teorie convincendosi che siano vere, ma è quanto meno strano che le quattro figlie, i parenti, gli amici, i colleghi o i conoscenti accettino la tesi della fuga in Svezia, peraltro elaborata da una donna spesso sbronza e non cerchino minimamente, anche attraverso un semplice sms, di mettersi in contatto con l’uomo, magari solo per salutarlo, il tutto nel corso di tre lunghi anni, l’arco temporale in cui è racchiusa l’intera vicenda. Probabilmente mi è sfuggito qualcosa, ma il tutto mi sembra quanto meno bizzarro e poco credibile. Comunque anche passando sopra questo particolare non del tutto insignificante, “Litigi d’amore” non funziona. I personaggi sono ora caricaturali (la protagonista), ora appena abbozzati (le sue quattro figlie), ora insopportabili ed irritanti (Shep, interpretato dallo stesso regista), ora convenzionali (Denny). La sceneggiatura, scritta maldestramente dal regista che si è ispirato ad un episodio autobiografico (l’abbandono della madre da parte del padre con lui ancora piccolo), si perde in molteplici, inutili, sottotrame: dalla relazione di Andy con Shep al rapporto di Popeye con un coetaneo che dice di essere gay e ha il padre amante del bungee jumping. Anche le vicende che riguardano Hadley, la sorella maggiore in conflittuale rapporto con la madre, che si laurea e si sposa con un compagno di università dopo che è rimasta incinta (il brindisi con i futuri consuoceri è uno dei momenti più terrificanti del film, non comunque il peggiore che è l’esplosione splatter della testa di Shep a cena, in un’immaginaria visione di Terry) e dell’altra sorella Emily, ammalatasi improvvisamente di ulcera per il troppo stress, non riescono mai a coinvolgere in pieno, risultando appiccicate e artefatte. I battibecchi sentimentali suonano forzati e ben poco accattivanti, molti dialoghi sono di una banalità sconfortante (“Vostro padre è un uomo molto piccolo” dice la madre alle figlie a tavola dopo aver dato loro la notizia della presunta fuga e una delle ragazze commenta dicendo “Spero tu non ti riferisca ai genitali!”, giusto per sottolineare la finezza e l’eleganza di diverse battute del film). In questo contesto gli attori non sono particolarmente in forma. Joan Allen, per cui il film è stato scritto appositamente, è troppo spesso sopra le righe (basta la scena in cui scopre la figlia a letto con Shep per rendersi conto di quanto sia fuori registro), mentre il bravo e simpatico Kevin Costner, ancora alle prese con il baseball (è un ex giocatore che fa il dj radiofonico), apprezzabile quanto meno nell’accettare un ruolo al servizio della protagonista ma impressionante per quanto è imbolsito, tutto sommato se la cavicchia. Le ragazze invece fanno poco per valorizzare caratteri fin troppo consueti, anche se Evan Rachel Wood (Popeye) promette bene. Prima parte indigesta, seconda leggermente migliore ma i toni amarognoli sono di riporto, ultimo quarto d’ora pietoso con un accomodante e stucchevole lieto fine a rappresentare tutta la famigliola felice abbracciata sulla panchina. Un’opera monotona, impalpabile, vuota e fasulla, del tutto incapace di farti “sentire” i personaggi e di affrontare il doloroso tema con onestà, sfumature e umanità, a causa soprattutto di una regia dozzinale, piatta ed inadeguata. Stupisce il favore con cui il film è stato generalmente accolto. Qualcuno (Maurizio Porro sulle pagine del “Corriere della Sera”) ha persino scomodato Cassavetes: meglio non profanare il sonno dei morti! Superfluo.

Voto: 5

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