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L'amore ritorna

Regia di Sergio Rubini vedi scheda film

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La recensione su L'amore ritorna

di LorCio
7 stelle

L’impegnativo e cerebrale film di Sergio Rubini corre su due binari, forse alla ricerca di una verità comune: c’è il racconto di formazione e c’è il filone surreale o, se vogliamo, rurale. L’amore ritorna è sì un racconto di formazione, nonostante concentri il proprio interesse nei riguardi di un quarantenne. Tale è perché è la parabola di una maturazione, una riflessione sul proprio ruolo esistenziale stimolata da una degenza in clinica per un male misterioso. Luca Florio, un attore con dimenticate radici pugliesi, attivissimo e dinamico, nonché insoddisfatto, è quindi costretto a fermarsi: si accorgerà che, dal letto di malato, si può avere l’occasione di riflettere sulla propria vita e darle una svolta.

 

Parallelamente, come già detto, si sviluppa la favola agreste che coinvolge la madre di Luca e la sua cugina, morta troppo presto. Gli innesti tra i due filoni sono rappresentati dalle apparizioni sfuggenti e magiche di una specie di fantasma, che poi scopriremo essere la cugina della madre. Scritto in punta di penna da Sergio Rubini e Domenico Starnone, con la collaborazione di Carla Cavalluzzi, si presenta come il film più autobiografico di Rubini. Ma più che autobiografico potrebbe essere considerato un autoritratto. Evidenti sono alcuni riferimenti all’autore stesso (le origini pugliesi, il passaggio da attore a regista, l’instabilità sentimentale), ma forse altri non siamo in grado di evincerli, poiché potrebbero riguardare la sfera privata del nostro (non sappiamo se Rubini sia stato egoista, arrogante o altro).

 

Tullio Kezich ritiene che l’espediente della malattia immaginaria fu suggerito a Rubini dai racconti di Federico Fellini, che nel 1966 fu ricoverato per una grave malattia da cui fu salvato da un amico di infanzia per un semplice motivo: non aveva nulla. Ciò ci viene in mente perché lo stesso Sergio si ritaglia il ruolo dell’amico medico, testimonianza di un passato che Luca si è voluto buttare alle spalle e una delle rare ancore di salvezza per uscire da una crisi irreversibile. Il film è generoso, è l’opera più matura del regista perché, oltre a fare i conti con sé stesso, si misura con i due generi che più gli si addicono in modo nobile.

 

Al contempo v’è una certa sovrabbondanza, una quantità non irrilevante di carne al fuoco (di personaggi, di situazioni, di elementi) i cui effetti si risentono più nella prima parte (un po’ spaesata e lamentosa) che nella seconda (maggiormente fluida, sarcastica, onirica). C’è probabilmente del narcisismo, c’è autoindulgenza, c’è disquilibrio, ma il film c’è. Illuminato dal bisogno di autoanalizzarsi, Rubini chiama a raccolta amici e parenti per meglio creare una complicità tra regista e attori, una sinergia con cui raggiungere vette di partecipazione ed affetto.

 

C’è l’ex moglie attrice che recita la parte dell’ex moglie attrice (una schiva Margherita Buy), c’è la giovane fidanzata, un attrice sconclusionata ed ingenua (una vitale e disperata Giovanna Mezzogiorno, che a Rubini deve il suo esordio ne Il viaggio della sposa), c’è il padre che recita la parte del padre (la rivelazione Alberto Rubini, di cui non si dimentica la toccante scena nella quale, sul punto di leggere una poesia ad una donna, sente questa attivare lo sciacquone e si offende in silenzio). E poi ci sono le belle prove di Mariangela Melato, sempre brava, come produttrice, Umberto Orsini, elegante nei panni di un barone della medicina, Simona Marchini come vivace parrucchiera, Michele Placido, sanguigno ed istrionico medico.

 

Rubini si ritaglia il ruolo dell’amico medico la cui diagnosi nessuno ascolta – può darsi perché non esiste, o almeno perché non è riconducibile alla realtà, e dunque se lo modella come meglio crede – ed è straordinario (da antologia la scena in cui piglia Luca in barella e lo spinge attraverso il traffico cittadino, preceduto dal fantasma di una ragazza, la cugina della madre), e sceglie un infallibile Fabrizio Bentivoglio, espressioni ed atteggiamenti stanchi ed quasi spaventati (si ricorda il momento in cui litigano Buy e Mezzogiorno e lui si nasconde sotto il lenzuolo), come ideale alter ego silenzioso ed allucinato.

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