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Thirteen - 13 anni

Regia di Catherine Hardwicke vedi scheda film

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La recensione su Thirteen - 13 anni

di giancarlo visitilli
6 stelle

Scritto in 6 giorni con una ragazzina di 13 anni, sua figlia. Girato in 26 giorni. Thirteen, l'esordio alla regia di Catherine Hardwick vince il premio per la miglior regia al Sundance Festival.
L’hard rock delle chitarre distorte nella sequenza d’apertura stride con l’immagine della figura materna e protettrice nel finale del film. L’imperativo iniziale: “colpiscimi!” è solo un modo abbastanza sintetico per catalizzarsi nei lunghi piani sequenza, al ritmo nevrotico d’una macchina-corpo instabile. Proprio come quella dei tredicenni. Capaci di passare dalle Barbie alla cocaina, di metabolizzare e ingerire la pillola degli adulti. Ma “i figli sono figli ai genitori” suggerisce lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet.
Così, la tredicenne Tracy, anoressica e avida di buoni sentimenti, una studentessa modello, che scrive belle poesie all’ombra d’una casa all’americana di Los Angeles, deve regolare i conti con la sua età d’adolescente. Un fratello poco più grande di lei e una madre, di quelle a cui ci ha abituati Ken Loach, dai capelli disordinati, sigarette e tazzoni di caffè, consumati tra un taglio ed un altro. Mamma Melanine è parrucchiera. Il padre, naturalmente, inesistente.
Chi farà desistere Tracy dalla frequenza e dal fascino dell’amica Evie, da tutti definita “la ragazza più figa della scuola”, un clone con un po’ di Jennifer Lopez e un po’ di Bretney Spears? In compagnia di Evie, Tracy percorrerà la strada tutta in discesa verso la metamorfosi del corpo, martoriato da vuoti e buchi che fanno male, s’introducono nella pelle e lasciano i segni. E’ proprio degli adolescenti smarrirsi nel tentativo di ricerca d’una propria identità, è qui che c’è il rischio d’incappare nei vizi pericolosi: i furti nei negozi alla moda di Melrose Place, lo spaccio di droga che frutta soldi da spendere in abiti, braccialetti, giornaletti e altro che dia la possibilità d’indossare l’”abito dell’accettazione”. Tutto si fa per farsi accettare. Non solo a 13 anni.
L’esordio della regista-architetto, americana, è promettente. Sin d’ora si avvale d’una sceneggiatura asciutta e serrata, senza sociologismi e moralismi; gira con una macchina a mano, sceglie un’altra forma di rappresentare il razzismo, non dissimile per certi aspetti da quello che tutti noi conosciamo. Infatti, sia Tracy che Evie fanno sesso solo con ragazzi di colore. Anche questa è una forma di razzismo, seppur ‘sottopelle’, mimetizzata. “Basterebbe una sola generazione (di scopatori) per eliminare i pregiudizi”: è la convinzione delle due adolescenti. La figura materna è estremamente attuale, tragica, divisa tra il voler essere un'amica a tutti i costi e l’incapacità ad essere un modello. La paura di fare i genitori. Quante cose suggerisce il film della Hardwick. Quante altre ce ne potrebbe suggerire se riscoperte alla luce dell’ultima cinematografia (Elephant, Mystic River,Fifteen e Twist, gli ultimi due titoli, presentati a Venezia, li aspettiamo con ansia), accompagnata anche dalla lettura di almeno gli ultimi tre libri scritti dallo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, che da anni insegna in che modo si debba considerare l’adolescenza “metamorfosi”. Uno di quelli che tende a regolarizzare i conti fra adolescenti e adulti. Menando bastonate a questi ultimi.
Tuttavia, Thirteen abbonda di certi stereotipi (il bacio lesbico, il piercing, il tagliarsi le vene), che ormai non scioccano più nessuno. Risultano solamente trandy, anche se da ribelli. C’è sempre d’aver paura dei finti ribelli, del “fate come dico io, ma non fate come faccio io”. Ne abbiamo tanti di finti-modelli-ribelli, sulla scia dei tanti finto-comunisti (un po’ come fosse la ‘moda’ del tempo), che indossano roba da mercatino e guidano la Ferrari, che calzano le Clarks e per sballarsi usano il crak. E che dire poi della novità del scoprire che esiste la possibilità di considerarsi “diversi”. In fondo sono queste le possibilità offerte a molti adolescenti oggi. Di chi le responsabilità? Di noi (finti) modelli...? Sono questi che mancano, a noi eterni adolescenti. Giancarlo Visitilli

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