Espandi menu
cerca
Kingpin

Regia di Peter Farrelly, Bobby Farrelly vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Davide Schiavoni

Davide Schiavoni

Iscritto dal 10 dicembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 2
  • Post -
  • Recensioni 70
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Kingpin

di Davide Schiavoni
8 stelle

(In collaborazione con Mauro Lanari). Campione di bowling 1979 nello Stato dell'Iowa, dove vive a Ocelot, Roy Munson perde la propria magica mano destra moncatagli da un branco d'avversari che aveva cercato d'imbrogliare. Diciassette anni dopo è pelato, semiobeso, alcolizzato e con un arto di gomma. Poi s'imbatte in Ismael Boorg, ingenuo amish che ha un talento naturale per il gioco, e lo porta a Reno sperando di fargli vincere il titolo nazionale.

Opera seconda dei fratelli Farrelly, pure sceneggiatori, i quali con cinismo, volgarità, gusto dell'umiliazione e programmatica sgradevolezza, acidissima e irritante, raffigurano un nordamerica dalla prospettiva dei freak. Un film New Hollywood, passato a lezione da John Landis e che sarà di lezione per "Il grande Lebowski" (altra accoppiata di fratelli, i Coen). Distribuito da noi soltanto in home video.

 

"HA VINTO CONTRO UN HANDICAPPATO, COSA NE PENSA?"
"MA CHE CAZZO ME NE FREGA DEGLI HANDICAPPATI, HO VINTO UN MILIONE DI DOLLARI AAAAAHHHHHH".

 

A suo modo, un piccolo grande gioiello cinematografico. "Kingpin" è un'"american black comedy" che rivela profondità ed intensità davvero rare per un'opera comica, al punto che persino le gag e le battute più spassose lasciano un retrogusto amaro, come a dimostrare la loro incapacità di risolvere ed esorcizzare il male di vivere di cui è intrisa la pellicola. Verso l'inizio, il film presenta uno scambio dialogico dallo spiccatissimo "humour" nero (Roy: "Ciao, come va la vita?"; il derelitto: "Non passa mai") e prosegue con questo tono per quasi tutta la sua durata. La vicenda che ne è oggetto, seppur descritta in chiave giocosa e ilare, ha infatti la portata d'un dramma lacerante: il plot s'incentra sulla figura d'un promettente giocatore di bowling, la cui carriera viene stroncata a causa dell'amputazione della mano destra in seguito a una sanguinolenta vendetta per una questione di scommesse (anche se di sangue non si scorge nemmeno una goccia: il momento in cui l'arto del ragazzo sta per essere maciullato è immediatamente seguito da una sequenza che si apre con l'inquadratura di un tritaerba in funzione, la quale fa intendere chiaramente l'esito della disavventura). Già nella prima scena il piccolo "Re Figlio dell'Uomo" (Roy/King-pin Munson) cade bocconi a terra mentre corre dal padre alla pompa di benzina. Ennesima storia dell'incarnazione d'un povero cristo che si ritroverà senza più energie per tirare avanti.
La colonna sonora procede sulle note di "Disco Inferno" dei Trammps: l'inferno come base musicale dell'esistenza, di cui scandisce il ritmo e mena le danze, la "danza macabra". Ormai privo d'ogni stimolo vitalistico, il protagonista si lascia andare e sprofonda in una sorta di aprassia, campando alla giornata e rinunciando a qualsiasi tipo d'ambizione. Lo scorrere del tempo per lui non conta più, poiché nella sua testa è fermo -come l'orologio che gli regalò il padre prima d'intraprendere il suo viaggio verso la gloria- agli anni in cui s'avviava a divenire un astro nascente del bowling. Ma, dopo l'incidente, quella gloria tanto agognata s'è dissolta al vento, e ad essa sono subentrate soltanto amarezza e malinconia.

La vita di Roy non è però finita, e può riservargli ancora delle sorprese. È dall'incontro con uno strampalato personaggio appartenente alla comunità degli amish, Ishmael, che difatti il suo percorso esistenziale comincia a prendere una piega diversa. Ciò che di Ishmael lo colpisce, in prima battuta, è la straordinaria inclinazione proprio per quello sport che avrebbe dovuto illuminare il suo avvenire. Roy allora, proponendosi come manager, decide di convincerlo a partecipare a un torneo nel quale è in palio un premio da ben un milione di dollari e, nonostante le forti ricalcitranze, riesce a portarlo con sé, favorito dai contingenti guai economici che opprimono la famiglia dello stravagante amish, cui questi è intenzionato a porre rimedio. Inizia così il viaggio della speranza verso la città di Reno, dove si terrà la fatidica competizione. Alla coppia, dopo un incidente di percorso a casa del malvivente Stanley appassionato di bowling, s'aggiunge la procace e affascinante Claudia, una ragazza che, esasperata dai modi rozzi e prepotenti del suo uomo, decide di abbandonarlo per seguire la strada dell'emancipazione.
Prende forma, dunque, un tragitto d'iniziazione a tre i cui esiti sono quelli, "scontati", di rapporti intrecciati che vanno dal sesso all'amicizia all'amore, secondo una progressione che tocca le fasi dell'eros, della philìa e dell'agàpe. Non è scontata, invece, la maniera in cui i fratelli Farrelly sviluppano tali rapporti. I sentimenti che "on the road" affiorano tra di loro non risultano affatto banalizzati ma, anzi, sono il sintomo di esperienze di vita che rivelano una complessità di fondo tutt'altro che trascurabile. L'alterco scoppiato fra Roy e Claudia, nel parcheggio d'un motel, se da un lato evidenzia l'iniziale opportunismo di entrambi nel voler sfruttare l'ingenuo amish in vista della vincita milionaria, dall'altro è il segno di una scarsissima attitudine a riporre fiducia nell'altro, dovuta agli innumerevoli "calci in culo" che le rispettive esistenze hanno inesorabilmente riservato loro, come spiegherà dopo lo stesso Roy: "Ish, la vita non è facile per niente, sei preso a calci in culo da tutti continuamente: per quanto mi riguarda, non ho mai avuto un attimo di tregua. Per questo io e Claudia abbiamo litigato, perché tutti e due abbiamo avuto dei brutti momenti. Non lo so... quando collezioni ferite su ferite, la smetti di fidarti del prossimo perché non vuoi soffrire più".

E le delusioni non finiscono certo con la riconciliazione dei tre viaggiatori. Una volta giunti a Reno, Munson, sceso in campo al posto dell'amico costretto a defezionare a causa di una frattura alla mano, ha la possibilità di riscattarsi per il torto subìto all'epoca dal subdolo e arrivista Ernie McCracken, l'antico rivale il cui sleale comportamento determinò la sua sciagura. Ma ancora una volta la Fortuna non gli arride, e il match si conclude per lui con una bruciante sconfitta, nonostante tutto lasciasse presagire il contrario. Siamo al momento di massima crisi: in una delle immagini seguenti la fine dell'incontro, notiamo la camera che dall'alto riprende la folla brulicante e inneggiante al vincitore, mentre di lato, affranto, sconsolato e isolato, siede Roy, nuovamente battuto da Ernie e abbattuto dalla vita. Due destini antipodici, che - almeno sino a quel momento - si dipanano lungo strade opposte senza lasciare intravedere neanche il miraggio di una giustizia terrena: se l'uno è diretto alla glorificazione di un uomo abietto e privo di scrupoli, l'altro conduce al martirio di un soggetto che non ha mai fatto male a nessuno, se non unicamente a se stesso. La scena si conclude con la regia che dapprima stringe su Munson, per poi allontanarsi progressivamente giungendo a inquadrarlo, in un campo medio, mentre si sfoga nel vuoto dell'arena con un urlo di disperazione.

La sequenza immediatamente successiva costituisce, però, già la svolta positiva: durante una colluttazione tra l'ex amante di Claudia, inviperito per la presunta fuga di costei con McCracken, e Roy, alla domanda se fosse stato Ernie a ridurlo in quello stato, questi risponde che da principio ne era convinto, lasciando trapelare, dopo l'invito a un esame di coscienza, l'idea che le cause delle proprie sofferenze non possono semplicisticamente essere ricondotte solo ed esclusivamente alla malvagità altrui, poiché le loro radici sono affondate anche in noi stessi. E ciò è dimostrato pure dal decorso degli eventi: la narrazione prosegue, infatti, inopinatamente con l'ex giocatore di bowling divenuto ricco, a seguito di un lauto ingaggio pubblicitario per una marca di preservativi, e riconciliato con Claudia, la cui fuga si scopre essere un piano per depistare Stanley e liberarsi (forse) del "grande Ernie".
Il finale è (apparentemente) tutto in discesa e mostra i tre protagonisti insieme felici per essersi ritrovati, e manifestare la loro reciproca riconoscenza (Munson donerà il suo compenso di 500.000 dollari a Ishmael, che così potrà risolvere i problemi finanziari della famiglia). Nell'ultima immagine si vedono Roy e Claudia seduti in macchina: lei porge al primo l'orologio che il padre gli aveva regalato, ma questa volta funzionante (segno che la sua vita si è sbloccata e ha ricominciato a correre), e il film si conclude con loro due che si baciano e poi partono verso una mèta indefinita. Ma questa mèta sarà positiva o costituirà il culmine della loro infelicità? Non è dato saperlo.

Quindi happy-ending molto ambiguo, poiché aperto a ogni tipo di possibilità. Il lieto fine attiene strettamente alla conclusione della vicenda, circoscritta nei limiti della narrazione: non si sa cosa avverrà dopo, dove porterà il percorso intrapreso dai due protagonisti, e non è detto che possa volgere in meglio. La vita, sembrano dirci i Farrelly, è assurda, insensata, irrazionale, priva di qualsiasi logica, quindi stupida e mentecatta (o, al contrario, maleficamente intelligente): ci sorprende e disorienta con i suoi lazzi e sberleffi, proprio come quel burlesco momento inserito al termine dei titoli di coda, nel quale è ripresa, specchiata nel retrovisore della macchina dei neo-innamorati, la faccia della sgraziata affittacamere di Roy mentre si produce in linguacce e smorfie. Che sia il sardonico preludio a ciò che succederà nel prosieguo? Parodia per parodia: il rapporto sessuale insieme all'anziana locatrice rimanda a "Il laureato" (1967), con tanto d'identica colonna sonora di Simon e Garfunkel ("The Sound of Silence"); la costruzione del villaggio amish richiama l'analoga scena presente in "Witness - Il testimone" (1985); nella scena al bar dentro la casa da gioco, Woody Harrelson immagina di ricevere da un miliardario una "Proposta indecente" (1993), similmente a quanto gli accadeva nel film di Adrian Lyne (con la differenza che questa volta il miliardario gli offre un milione di dollari per passare una notte di sesso con l'amico e non con la moglie). Perché allora non potrebbe essere parodistico anche l'apparente lieto fine?

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati