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8mm. Delitto a luci rosse

Regia di Joel Schumacher vedi scheda film

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La recensione su 8mm. Delitto a luci rosse

di degoffro
6 stelle

Joel Schumacher si cimenta con il noir e per un’ora quasi illude di riuscire nell’impresa. La prima parte di “8MM”, infatti, incentrata sulle indagini del detective Tom Welles alla ricerca di una ragazza scomparsa, probabilmente coinvolta in uno snuff movie, ha una sua discreta tenuta (nulla che non sia già stato visto ma riproposto con consolidato mestiere grazie ad un buon ritmo e ad una ambientazione efficace e molto dark) pur con le semplificazioni ed ingenuità di uno script non proprio esemplare (la facilità con cui Welles scopre il diario della ragazza è risibile), firmato da Andrew Kevin Walker (“Se7en”, certo, tra l’altro la prima scelta della produzione per la regia era proprio David Fincher, ma anche il notevole “Sleepy Hollow“ di Tim Burton, va aggiunto che la sceneggiatura, secondo quanto si legge sul sito “imdb.com” sembra sia stata modificata dal regista con Nicholas Kazan, dopo l’abbandono di Walker per disaccordi con Schumacher, il che spiegherebbe alcune cose). Quando però entra in scena il personaggio del regista/produttore Dino Velvet “un Jim Jarmush del sadomaso” dice di lui Max California nella battuta migliore del film, “8MM” diventa la consueta baracconata insulsa e decerebrata in cui Schumacher può dare il peggio di sé, esaltando nuovamente, dopo il mediocre “Il momento di uccidere”, la rozza e spicciola filosofia del farsi giustizia da sé perché “se danzi con il diavolo, il diavolo non cambia. E’ il diavolo che cambia te!” (incredibile la sequenza in cui Welles chiama la madre della ragazza scomparsa per farsi autorizzare ad uccidere brutalmente uno degli assassini). Innegabile che il film abbia una sua costante e sporca tensione (non male la sequenza in cui Welles arriva nella casa del killer Machine), alcuni passaggi sono piuttosto incisivi e realistici (il giro di Tom con Max nel sottobosco del porno), le motivazioni con cui Machine giustifica il suo agire pur leggermente dimostrative non sono così campate per aria e mettono una certa inquietudine, lo spettacolo, tutto sommato, è garantito e va riconosciuto che non c’è un attimo di noia, ma è l’insopportabile, consueto ed ipocrita moralismo del regista a risultare indigesto. Le stucchevoli parentesi sentimentali del protagonista con la moglie e la figlioletta avrebbero dovuto essere tutte tranciate via in sede di montaggio (e spiace per la brava Catherine Keener sottoutilizzata in un ruolo superfluo ed assai banale in cui delle 10 battute che pronuncia 9 sono “Ti amo” al marito per telefono), la resa dei conti al capannone abbandonato e quella finale sotto la pioggia tra Welles e Machine sfidano il ridicolo involontario, i cattivi sono caricaturali (su tutti un Peter Stormare paradossale), gli sviluppi narrativi, come detto, sono quanto meno ambigui e pagano diverse lungaggini ed improbabilità che, verso la fine, diventano eccessive, il presunto maledettismo della storia, a conti fatti, è ben edulcorato, soppesato e calcolato con furbizia per non scuotere le anime candide o facilmente impressionabili, rendendo il risultato complessivo piuttosto fasullo e preconfezionato (il che, ad esempio, non accadeva in un altro film incentrato su una discesa agli inferi come il diabolico e riuscito “Angel Heart” di Alan Parker a cui in più di un occasione questo film mi ha fatto pensare). La “classe” di Nicolas Cage emerge in tutto il suo splendore nella sequenza in cui, inorridito e sconvolto, guarda lo snuff movie, eppure l’attore con il suo perenne sguardo da cane bastonato suscita quasi simpatia. Joaquin Phoenix nei panni di Max California, il commesso del negozio a luci rosse che legge “A sangue freddo” di Capote nascondendolo dietro la copertina di un porno per non farsi scoprire dai suoi datori di lavoro e James Gandolfini (il volgare talent scout) sono invece completamente sprecati in ruoli (soprattutto il secondo) definiti in modo fin troppo sommario e stereotipato. Un mix irrisolto e ridondante tra “Tesis” di Amenabar e “Hardcore” di Schrader, ma, in termini di qualità, contenuti e, ovvio, risultato finale, Schumacher si tiene ben lontano dai succitati pregevoli modelli (non si avvicina comunque neanche a “Gli occhi del testimone” altro curioso ed intrigante thriller sugli snuff movies). Peraltro va riconosciuto che il regista ha diretto “8MM” tra il disastroso “Batman & Robin” e l’improponibile “Flawless” per cui qualche passo in avanti l’ha anche fatto, per questo non condivido le stroncature quasi unanimi e anche piuttosto pesanti che hanno accolto il film alla sua uscita, considerato il curriculum già non esaltante di Schumacher. Nic Cage invece ha girato il film tra l’adrenalinico “Snake eyes” di De Palma e il dolente “Bringing out the dead” di Scorsese: a posteriori speriamo si sia accorto della differenza...Musiche piuttosto convenzionali di Mychael Danna, collaboratore di fiducia di Atom Egoyan qui, per la prima volta in carriera, alle prese con una grossa produzione. In concorso al Festival di Berlino del 1999 (Orso d’oro a “La sottile linea rossa”). Con un seguito del 2005: “8MM 2 – Inferno di velluto” da noi uscito direttamente in home video.

Voto: 6

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