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Soldado

Regia di Stefano Sollima vedi scheda film

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La recensione su Soldado

di lussemburgo
8 stelle

Rispetto al precedente film di Villeneuve, Sollima opera una distillazione degli elementi narrativi mantenendo i protagonisti principali, il sicario perfetto di Del Toro e il capo delle black ops interpretato da Josh Brolin (con lo sfondo dei vertici militari americani del Segretario di Stato Matthew Modine), e la location nella terra di nessuna legalità tra Messico e Stati Uniti, riorganizzando un nuovo capitolo del contrasto tra cartelli messicani e governo americano attorno ad un nuovo fulcro antiterroristico che permette di rimettere in moto analoghe strategie di azione e di guerriglia.

In Soldado lo sguardo ancora vergine dello spettatore si incarnava nello stupore sgomento dell’agente dell’FBI interpretata da Emily Blunt, che si trovava a contatto con la selvaggia brutalità della guerra con i cartelli della droga mentre cercava di decifrare mosse e intenti delle forze dell’ordine (contractor delle dubbie finalità) o di interpretare le personalità oscure di melliflui esecutori. Il suo punto di vista veniva rielaborato attraverso l’inquietante maestosità della fotografia degli spazi aperti e l’ipnotica trascendenza della musica di Johann Johannasson per comunicare, nel rapimento sensoriale, lo stordimento del personaggio di fronte a situazioni di ingestibile crudeltà e all’inquietudine crescente di una minaccia, latente ma sempre più a fuoco, poiché emergeva un’inconfessabile verità: guidando la brutalità vendicativa di un vero sicario e di spietati mercenari, il governo americano assottigliava le file dei cartelli della droga per poterli meglio controllare e avere un unico interlocutore.

Abbandonata a un destino incerto l’agente dell’FBI nel finale del primo film, Sollima concentra l’attenzione sul sicario educato di Del Toro e riorganizza la task force illegittima attorno ad una nuova emergenza. Un kamikaze si è insinuato nella tratta dei migranti sul confine americano dando inizio ad una raffica di attentati di matrice islamica che il governo americano riconduce ad infiltrazioni terroristiche nella gestione del traffico di clandestini da parte dei messicani. Bisogna quindi scatenare una guerra tra i cartelli per depotenziarne l’apparato militare e la capacità organizzativa.

Il punto di vista esterno dello spettatore inconsapevole viene mantenuto e traslato sulla figlia di un potente narcotrafficante, adolescente problematica, mentre l’organizzazione paramilitare con l’avallo ufficioso del governo viene anteposto nello sviluppo narrativo e integrato al racconto, non potendo più essere sfruttato come elemento di sorpresa e di tensione per l’esistenza stessa del primo capitolo. Alla linearità della trama principale, si affianca un ulteriore binario di sceneggiatura, più direttamente legato alla tratta dei clandestini, con il racconto dei coinvolgimento di un giovane aspirante trafficante, la cui vicenda sembra procedere parallela al fulcro nodale, diventandone progressivamente parte integrante. Sicario, inoltre, eredita volutamente una scrupolosità fotografica, la cui l’innegabile bellezza si sposa ad una nota visibilmente malinconica, e vi agginge una colonna sonora fatta di suoni diegetici e materiale musicale ossessivo, quasi solamente ritmico, tracciando una evidente continuità tematica e stilistica con il prototipo.

Seguito coerente e materiale potenzialmente disponibile per un’ulteriore espansione quasi seriale, il film del director italiano si avvale di una regia attenta e accurata, dal découpage raffinato sia dentro che tra le inquadrature, con un montaggio lento e sensibile, una messa in immagini precisa, invidiabile nel panorama cinematografico contemporaneo dedito alla cacofonia di un assemblaggio ultrarapido di riprese brevi. Il regista si prende il tempo di costruire un’azione tra e dentro le inquadrature, di rimanere incollato ai primi piani dei personaggi, di dare peso e spazio a eloquenti silenzi, di mostrare uno sguardo western in un noir di frontiera quasi tutto all’aperto, centellinando i dialoghi all’essenziale, lasciando che il film trascorra comunicando, senza frastornare lo spettatore.

Nell’essenzialità di una regia concentrata ed efficace, Sollima si cuce addosso una versione plausibile di personalità cinematografica che, tra temi ricorrenti (la criminalità e la violenza già di Suburbia e delle serie Gomorra e Romanzo criminale, la crudeltà di Acab) e implacabile efficacia da action movie, gestendo con intelligenza gli elementi cinematografici a diposizione e dando la prevalenza al visivo (che, pertanto, diventa elemento eminentemente narrativo) costruisce una versione moderna e antiretorica di autorialità, valida anche nel mainstream dell’industria statunitense; anche in questo Stefano Sollima si dimostra degno erede del regista che lo ha preceduto nel raccontare le gesta degli antieroi del confine del benessere e del dolore tra Sud e Nord perché, come lui, anche Denis Villeneuve cerca sempre un valido e coerente equilibrio tra originalità e spettacolo.

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