Regia di Gregg Araki vedi scheda film
Uno degli esiti più anarchici ed autenticamente scioccanti della cinematografia contemporanea. Nell'anno d'oro del nuovo cinema a stelle e striscie, quel '95 in cui Hollywood riscopriva se stessa, la propria fascinosa (e spesso retorica) magniloquenza ed i generi 'classici', Araki sceglieva di uscire dai circuiti underground del 'queer cinema' indipendente con un'opera spiazzante, disegnata come un fumetto pop anni '70, straripante di kitsch, elementi splatter, controcultura beat ed invenzioni visive di prim'ordine, ma pure permeata d'una vena di spietato disincanto, d'un'amarezza radicale e quasi 'old fashioned', che stride non poco con i registri visivi 'acidi' e modernissimi con cui è enunciata. Nell'era delle tirannidi tecnocratiche e del messianesimo mediatico portato alle estreme conseguenze è questo, forse, l'unico Cinema Possibile. Un labirinto di relatività stilizzate e voraci, un sanguinante mosaico di abdicazioni, non scelte, simulazioni d'assertività e conati di libero arbitrio, una rutilante e disperata orgia ludica di (com)pulsioni, subliminali gesti d'obbedienza, spasmi d'intelletto e impercettibili volizioni cannibaliche. Duval incarna un memorabile, candido ed efebico "Jordan in Wonderland" (la cui ambiguità è presente già dal nome), che - costretto ad aprire gli occhi sull'abisso - crescerà e morirà in un battito di ciglia. No, secondo Araki Oggi e Qui non sembra davvero esserci spazio residuo per la purezza, per l'incanto, per la datata iconografia favolistica d'un qualsiasi 'american dream', per quanto stilizzato o claudicante. Nulla è 'comodo', nulla è rassicurante e nulla è 'al riparo'. Tutto è, orribilmente e sadicamente, Esposto. Quella di Araki è la caricatura d'un'Apocalisse Pop illuminata al neon. Esteticamente e scenograficamente sovraccarica quanto miseramente sprovvista d'appigli etici che la 'contengano'. Ovunque è Nessun Luogo, perciò discernere è impossibile. Chiunque è Nessuno in particolare.. dunque, nel mancato riconoscimento dell'Altro da Sè, tutto appare un lecito delirio, una moviola velocizzata di atti e di scelte già 'state', già 'rimosse'. La violenza. La sopraffazione. La vendetta. L'abulìa. La meccanicità d'un'esistenza vegetativa e meramente 'gestuale', svuotata di traiettorie, mete, coordinate e punti di riferimento visibili. E' questo un Cinema della dissolvenza morale, dello stupro all'innocenza, della reiterazione cadenzata e della compulsione. Per il valore di sostanziale Sintesi Filosofica d'un'era, prima ancora che per l'indubbia fascinazione visiva e narrativa che esercita, "Doom Generation" va, a ragione, considerato un capolavoro.
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