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Vi va una tazza di tè?
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Inizio a scrivere queste righe e sono passate più di cinque ore da quando ho cominciato The Gentlemen di Guy Ritchie e mi sembra impossibile anche solo pensare di scrivere di qualsiasi altra cosa. Non perché sia un *quella parola* indimenticabile, ma perché è un tipo di visione totalizzante ed immersiva che cattura lo sguardo, si insinua in una porzione del cervello e poi si ripresenta sotto forma di filtro con cui guardare alle cose del mondo perché ne vuoi ancora. Non l'ho finita per mancanza di tempo, sono a metà, ma quel che ho visto è sufficiente per dire quello che voglio dire. E mi piace anche l'idea di scriverne quando so di avere ancora a disposizione qualche ora di immersione all'interno del meccanismo a orologeria messo a punto con perizia svizzera da Guy Ritchie.

Certe volte il termine serie tv proprio non va bene. Miniserie è meglio ma comunque The Gentlemen è a tutti gli effetti un lunghissimo film che si prende tutto il tempo necessario per raccontare una storia che, pur mantenendo sempre un centro chiaro ed inequivocabile, ha il coraggio di aprirsi come un ventaglio rilasciando a ritmo regolare delle digressioni con cui presenta nuovi personaggi perfettamente inquadrati nel panorama preferito dall'autore inglese. Ossia appartenenti alla malavita più sanguinaria, folle, eppure disgraziatamente simpatica, che sembra annidarsi in ogni anfratto della società britannica.

Rispetto al solito però, dove per solito si intende The Snatch, Lock & Stock e il più recente e omonimo The Gentlemen (2020) dal quale la miniserie prende lo spunto, qui il centro nevralgico della storia - al netto di tutti i rivoli in cui si incanala - è saldamente radicata e fiorisce, letteralmente, nella tenuta appartenente ad una famiglia dell'aristocrazia inglese e non solamente nel sottobosco della malavita. Alla morte del Duca di Halstead, infatti, proprietario di un tipico castello con annessa campagna di 6000 ettari, a ereditare titolo e gestione del patrimonio è il secondogenito Edward (Eddie). Questo perché Freddy, il primogenito che ne avrebbe avuto diritto secondo la tradizione, è un soggetto totalmente inaffidabile, uno che ovunque mette il becco fa casino.


Il buon Eddie, invece, sa perfettamente come comportarsi nell'alta società. In più ha anche un passato da soldato e indiscutibili qualità fisiche che gli risulteranno abbastanza utili per far fronte alla inesauribile miniera di criminali che dovrà fronteggiare per liberare la proprietà di famiglia dall'ingombrante presenza di una coltivazione intensiva di cannabis ad altissimo contenuto di THC.

La presenza assurda della coltivazione - che è situata in un immenso laboratorio, tipo quello di Breaking Bad, incassato nel sottosuolo della tenuta - si basa su un accordo che il buon vecchio Duca aveva fatto con la famiglia Glass. Oltre a rendere ai "proprietari di casa" qualche milione di sterline all'anno come "affitto", sforna anche qualche tonnellata di ottima ganja che viene riversata sul florido mercato del consumo al dettaglio. Insieme a quella proveniente da altre dodici simili factories sparse sul territorio britannico. D'altronde gli aristocratici inglesi dovranno pur pagare le spese di manutenzione dei loro palazzi in qualche modo...

Questo doppio mondo è composto da un piano di sopra, con i suoi riti millenari dei tè alle cinque, i suoi saloni eleganti, il suo accento posh, i vestiti dal taglio perfetto, le camicie bianche impeccabili di Savile Row, i vini da 10.000 sterline a bottiglia. E da una galleria di personaggi assurdi (pazzi, sanguinari, spacciatori, scommettitori, allibratori albanesi, violenti cuochi cinesi, gente varia armata di machete, fucili, lanciafiamme, granate) che, come in una matrioska infernale, si sviluppa a partire dalla coltivazione del piano di sotto. Il riuscitissimo dualismo obbliga il "solito" stile di Guy Ritchie - normalmente saturato di ralenti, rap, cazzotti, pistole, montaggio frenetico e fiotti di sangue - a confrontarsi con i silenzi, con la indeterminatezza degli avverbi che terminano in -ly, con le ambiguità aristocratiche, con i ritmi compassati, i tappeti che attutiscono i passi, le stanze dai soffitti alti 8 metri e i sopraccigli alzati come massima espressione di disappunto.

Un contrasto che permette al racconto di dipanarsi senza mai affaticare lo sguardo, alternandosi nel ritmo e creando, proprio grazie a questo doppio registro, una infinita quantità di situazioni irresistibili, grottesche e imprevedibili, finendo per cesellare un ritratto di questi due estremi accomunato da una costante quasi ideologica: il denaro non è mai dove dovrebbe essere, il creditore non è mai chi si pensava fosse, il debitore gli stessi soldi li ha già impegnati altrove, promessi a qualcuno, il grisbi è stato già rivenduto. Non stupida metafora della finanza moderna che si sostiene, si nutre, specula, principalmente sul debito, generando un mondo in cui i soldi vorticano su un asse impazzito come fossero colibrì strafatti di cocaina. Se il mondo dovesse mai fermarsi (di nuovo, diciamo), cadrebbero al suolo stecchiti e ci renderemmo conto che sono una millesima parte di quel che sembrava a causa della loro velocità e tutto quel frullio che produceva il loro volo era solo un'illusione ottica.

Ora c'è questa questione spinosa che la miniserie è su Netflix. Se avete l'abbonamento, non l'avete vista e il racconto vi ha convinto è tutto facile. Se il racconto vi è piaciuto e vorreste vederla ma non avete Netflix, potreste fare come ha suggerito qualche tempo fa un saggio utente che salta tra una piattaforma e l'altra senza garantire la sua fedeltà a nessuno. Un mese qui, un mese lì. Un'ottima strategia che mi sento di consigliare per evitare di stare dietro a troppi abbonamenti. Iscrivetevi a Netflix per un mese, pagate questi sporchi 5 euro e 49 centesimi, poi date la disdetta e volate via verso altri lidi. Se l'idea vi sembra buona, sappiate che oltre a The Gentlemen c'è anche Ripley, che è assolutamente da vedere. Mettendo insieme le due miniserie ci sono sedici ore di ottimo cinema per voi. In un mese le fate fuori, vi riempite lo sguardo e ciao.

Se invece questa storia non vi sembra adatta al vostro gusto e siete ugualmente arrivati fino a qui, vi ringrazio del tempo speso per leggerla.

Fancy a cuppa’?

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