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Venezia 2020: Giorno 1
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Per il Festival di Venezia è arrivato il giorno della cerimonia di apertura. Alle 19, in diretta televisiva e in 100 sale sparse in tutta Italia, la madrina Anna Foglietta darà il là alla manifestazione. Saranno presenti alla serata gli otto direttori artistici dei principali festival europei – Alberto Barbera (Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica), Carlo Chatrian (Berlin International Film Festival), Thierry Fremaux (Cannes Film Festival), Lili Hinstin (Locarno Film Festival), Vanja Kaludjercic (International Film Festival Rotterdam), Karel Och (International Film Festival Karlovy Vary), José Luis Rebordinos (San Sebastian International Film Festival), Tricia Tuttle (BFI London Film Festival) – che intendono, in questo anno eccezionale, ribadire l'importanza dell'arte cinematografica in segno di solidarietà per l'industria del cinema mondiale duramente colpita dalla pandemia e verso i colleghi costretti a cancellare o a rinviare i loro festival. Nel corso della serata, gli otto direttori saliranno sul palco della Sala Grande, per leggere un documento condiviso in cui si riafferma il valore irrinunciabile del cinema, nonché il ruolo e l’importanza dei festival nel sostegno e nella promozione del cinema di tutto il mondo e di quello europeo in particolare. I festival – sarà ribadito – non si limitano a essere delle vetrine promozionali per mostrare il meglio della creatività di autori e cineasti, ma sono sempre più centri di cultura, luoghi di formazione al servizio dei giovani registi, occasioni di formazione culturale per il pubblico e di educazione dei giovani alla bellezza e alla ricchezza dell’esperienza cinematografica. Un luogo di ricerca e di confronto dove la creatività e la libertà di espressione artistica si concretizzano in un dialogo fecondo e necessario con il pubblico e la società.

 

Subito dopo toccherà a Lacci di Daniele Luchetti, presentato fuori concorso, essere il primo film ufficiale della Mostra. Gli accreditati però saranno chiamati già dal mattino a prestare attenzione a opere appartenenti a sezioni diverse, a cui cercheremo di dare risalto pubblicando le note di regia. Trame, foto e trailer sono disponibili nelle singole schede a cui si può accedere cliccando sul titolo.

Intanto a Venezia sono arrivati i nostri "inviati" (e le loro recensioni, che troverete sempre in calce): AlanSmithee ed EightAndHalf sono oramai i veterani del festival mentre PortCros è alla sua prima esperienza "ufficiale" al Lido. Ai tre i nostri migliori auguri: intanto le loro foto mostrano un'atmosfera veneziana inedita, in cui una certa impressione genera il muro che divide il red carpet dal pubblico.

Proiezioni odierne: fuori concorso

LACCI

Commento del regista Daniele Luchetti: «Quando ho letto per la prima volta Lacci di Domenico Starnone ho trovato domande che mi riguardavano e personaggi nei quali era difficile non identificarsi. Attraverso una storia familiare che dura trent'anni, due generazioni, legami che somigliano più al filo spinato che a lacci amorosi, si finisce di leggere il libro con una domanda: hai permesso alla tua vita di farsi governare dall'amore? Lacci è un film sulle forze segrete che ci legano. Non è solo l'amore ad unire le persone, ma anche ciò che resta quando l'amore non c'è più. Si può restare assieme per rancore, nella vergogna, nel disonore, nel folle tentativo di tener fede alla parola data. Lacci racconta i danni che l'amore causa quando ci fa improvvisamente cambiare strada e quelli – peggiori – che produce quando smette di accompagnarci. È qualche tempo che, prima di tutto da spettatore, sono tornato a capire che ciò che mi interessa, nella narrazione, sono le relazioni. Per questo, ogni volta che da regista mi scopro ad affrontare questi temi, sento di non tradire ciò che è alla base della mia passione. Le relazioni, che siano più esplicitamente inserite sullo sfondo di un contesto sociale o politico, o strette in spazi privati e circoscritti, sono un modo di raccontare non semplicemente noi stessi, ma noi stessi nel tempo in cui viviamo. Con Francesco Piccolo e Domenico Starnone abbiamo scritto una sceneggiatura che non aveva paura delle parole, anzi, del parlare. Per questo, girando, ho adottato un suono pulito, senza disturbi, che ricordasse il cinema classico, perché quasi tutto, nel film, passa attraverso la voce dei personaggi. In questo viaggio ho voluto essere accompagnato da attori che amo. Con alcuni è stato un felice ritorno, con altri una felicissima prima volta. Li ho tormentati con la vicinanza della macchina da presa, per scavare nelle loro reazioni, e trattando i volti come paesaggi da esplorare. Un tempo pensavo che la macchina da presa fosse il centro del mio lavoro. Ora mi accorgo che ciò che riusciamo a creare nel lavoro tra testo, regista e attore capovolge le mie priorità. Non cerco la perfezione nel lavoro degli attori: cerco le smagliature, le distrazioni, una qualche verità. Dico loro, a volte, scherzando, di essere un regista imperfezionista. Il risultato che preferisco è quello imprevisto, che mi coglie di sorpresa, e questo accade quando si hanno attori aperti, che si fidano di te. Avere l'attore al centro, significa porre tenere fisso lo sguardo sulle nostre emozioni, cioè tutto ciò che abbiamo. Si raccontano le relazioni per provare a mettere ordine tra le smagliature delle nostre vite, per capirle meglio e per illuderci che possano essere comprese, accettate, risolte. Negli ultimi tempi abbiamo avuto paura che il cinema potesse estinguersi. E invece durante la quarantena ci ha dato conforto, come una luce accesa in una caverna. Oggi abbiamo una consapevolezza in più: i film, le serie, i romanzi, sono indispensabili nelle nostre vite. Lunga vita ai festival, dunque, che permettono di celebrare tutti assieme il senso vero del nostro lavoro. Se qualcuno ha pensato che fare cinema potesse rivelarsi inutile, ora sa che è un bene di tutti. Con Lacci sono onorato di aprire le danze del primo grande festival di un tempo imprevisto».

In sala dal 01 ottobre per 01 Distribution.

Lacci (2020): Trailer ufficiale

 

NIGHT IN PARADISE

Commento del regista Hoong Jun-park: «La storia comincia ritraendo un uomo, bersaglio di un''organizzazione criminale, che si rifugia su un'isola paradisiaca. La trama racconta l'attuarsi di una vendetta sanguinosa, che contrasta nettamente con lo scenario in cui si svolge, pieno di mari meravigliosi e cieli blu. Spero che al pubblico piaccia l'ironia di questa cornice e della storia».

Tae-goo Eom

Night in Paradise (2020): Tae-goo Eom

 

FINAL ACCOUNT

Commento del regista Luke Holland: «Spero che Final Account indurrà le persone a pensare non solo alla sua importanza storica, ma anche al posto che occupano in un mondo estremamente complesso. Come scopriamo qual è l'attimo in cui diventiamo complici di un crimine, per quanto in misura esigua? Come è possibile che alcune delle persone che ho intervistato non sapessero di essere implicate in questi crimini terribili fino al momento in cui le cose non sono andate troppo oltre? Spero che il film rappresenti un'opportunità per riflettere su tutto questo. L'ottimista che è in me ritiene che queste siano lezioni che possono ancora essere messe in pratica».

scena

Final Account (2020): scena

Proiezioni odierne: Orizzonti

APPLES

Commento del regista Christos Nikou: «Quanto è selettiva la nostra memoria? Ci ricordiamo quello che abbiamo vissuto o quello che abbiamo scelto di ricordare? Possiamo dimenticare le cose che ci hanno ferito? Potrebbe essere che in fondo non vogliamo dimenticare le esperienze dolorose, perché senza di esse perderemmo la nostra esistenza? Alla fine, siamo semplicemente la somma di tutte le cose che non dimentichiamo? Apples, una commedia drammatica allegorica, è essenzialmente uno sforzo per indagare il funzionamento della nostra memoria e come questo in uisce su di noi; come le emozioni incidono sulla memoria e, sopratutto, come essa risenta della tecnologia, che oggi rende molto semplice registrare le informazioni. È possibile che il progresso tecnologico abbia reso il nostro cervello più "pigro" e che quindi ricordiamo sempre meno eventi ed emozioni? È possibile che abbiamo finito col vivere "meno"? Il film parla anche di come affrontiamo questa perdita di memoria; la perdita dei nostri cari, delle nostre emozioni. È incredibile, e in un certo senso assurdo, quanto il tempo passi velocemente dal momento in cui si entra nell’età adulta. Con questo film ho voluto creare un mondo familiare ambientato in un passato recente, in una socieà in cui la tecnologia non è così presente. Una socieà di persone sole, in cui l'amnesia si diffonde come un virus. Apples comincia in un ambiente distopico, ma ben presto passa a un approccio più antropocentrico. Abbiamo girato il film seguendo il protagonista con la macchina da presa in modo da rappresentare il suo isolamento attraverso un'inquadratura ristretta. Per riuscire a seguire le sue emozioni da vicino, abbiamo utilizzato il formato immagine 4:3, un riferimento diretto al recente passato e che rimanda chiaramente alle foto polaroid, un elemento molto significativo della storia».

scena

Apples (2020): scena

 

THE WASTELAND

Commento del regista Ahmad Bahrami: «Mio padre ha lavorato in fabbrica ed è andato in pensione dopo trent'anni di fatiche. Vado fiero di lui e, da quando ho imparato a girare film, ho sempre voluto realizzarne uno su di lui e sul suo onorevole impegno. Il mio film è un omaggio a mio padre e a tutti coloro che, in ogni parte del mondo, lavorano duramente. Quei lavoratori senza i quali la civiltà degli uomini non avrebbe raggiunto l'attuale livello di progresso».

scena

The Wasteland (2020): scena

 

MILESTONE

Commento del regista Ivan Ayr: «Questo film rappresenta il ritratto di un individuo che lotta per emergere nella società indiana contemporanea, schiacciata dal peso delle enormi disparità e delle complessità che la caratterizzano. Al centro della storia troviamo un esperto autista di camion, un vedovo segnato dal passato, sullo sfondo di un sistema capitalistico che si sta sgretolando. Ho scelto la prospettiva di un camionista per mettere in risalto questo tipo di lotta in quanto vedo aspetti singolari e interessanti nella natura di questa professione. Una contraddizione in termini: una mobilità intrappolata entro i confini del proprio camion. Percorrere fisicamente delle distanze non significa necessariamente arrivare da qualche parte: un aspetto di cui il protagonista alla fine acquisisce consapevolezza. Il film è stato realizzato al culmine dell'inverno nell'India del Nord, principalmente nelle prime ore del mattino; il che si è rivelato utile per creare una messa in scena di stampo industriale, caratterizzata dalla inevitabile presenza di tonalità grigie e tetre».

Suvinder Vicky, Lakshvir Saran

Milestone (2020): Suvinder Vicky, Lakshvir Saran

 

Proiezioni odierne: Giornate degli Autori

HONEY CIGAR

Commento della regista Kamir Ainouz: «Sono cresciuta a Parigi, in una famiglia di immigrati algerini erudita. Quando ho attraversato il periodo adolescenziale negli anni Novanta, mi sono scontrata con una cultura patriarcale che non conosce frontiere. Nemmeno i continui avvertimenti di mia madre, oltre a tutto il resto, mi hanno preparato alla violenza del dominio totale di un genere su un altro: ho scoperto che i corpi delle donne erano campi di battaglia. Per mia fortuna, provengo da una famiglia di rivoluzionari. Quando tornavo a casa ad Algeri e nella Cabilia, vedevo le donne della mia famiglia esprimere le loro opinioni attraverso gli occhi, i gesti, il linguaggio del corpo. E vedevo gli uomini rispondere allo stesso modo. Il desiderio, anche se taciuto, era ovunque. Con Honey Cigar, volevo esplorare i modi in cui ci si libera dalle catene più pesanti e, talvolta, più tenere».

Zoé Adjani

Honey Cigar (2020): Zoé Adjani

 

OASIS

Commento del regista Ivan Ikic: «Quando ero studente di cinema, ho avuto l'opportunità di visitare uno di questi istituti per girare un documentario. E mi sono trovato alle prese con un triangolo amoroso dai toni melodrammatici, e con un finale quasi fatale, tra un ragazzo e due ragazze. La storia, che andava ben oltre i limiti del lavoro che stavo realizzando all'epoca, è diventata invece la parte principale di questo film. Oasis è stato girato in un vero istituto e i protagonisti sono i pazienti che ho incontrato in questo posto. Gli "attori" hanno frequentato un workshop per avvicinarsi progressivamente ai personaggi che avrebbero interpretato, mentre la sceneggiatura è stata adattata alla vita reale di quegli stessi "attori". In tal modo, il film possiede una sua autenticità e il cast non è stato calato in situazioni che non fossero simili a quelle della loro vita quotidiana. Nella mia precedente esperienza, durante le riprese del documentario, ho guadagnato la fiducia dei pazienti che hanno condiviso con me il loro mondo di emozioni pure e intense. In me, hanno trovato un mediatore, un tramite che potesse incanalare il loro grido genuino verso il mondo, un mondo che non li capisce e non desidera nemmeno farlo. Ho promesso che il loro grido, in qualche modo, sarebbe stato ascoltato».

scena

Oasis (2020): scena

 

CONFERENCE

Commento del regista Ivan I. Tverdovskiy: «Conference segue le vicende di una famiglia vulnerabile sullo sfondo di una delle maggiori tragedie russe del Ventunesimo secolo. Il film, cercando di riflettere cinematograficamente su quei tragici eventi, inizia con una storia privata per poi procedere oltre. Il mio scopo principale è di esplorare la natura della paura. Natasha, la protagonista, sembra prendere nuovamente in ostaggio gli ospiti della serata commemorativa, per ricordare e rivivere quel terribile momento della sua vita. Riusciremo noi e lei a superare la paura e trovare un modo per andare avanti?».

scena

Conference (2020): scena

 

THE WHALER BOY

Commento del regista Philippe Yuryev: «L'idea di questo film mi è venuta durante un viaggio nell'estremo nord della Russia. Arrivati in un piccolo villaggio di pescatori, notammo che le donne più giovani erano partite per frequentare le scuole estive in città. Quell'esodo fu una vera tragedia per i ragazzi locali che dovettero trascorrere tre lunghi mesi da soli. Di fatto, circondati da una tundra senza fine, quei giovani furono totalmente abbandonati dalle donne, anche perché le ragazze del villaggio più vicino non potevano spostarsi per una semplice visita. La connessione alla Rete era scadente. L'unico modo per osservare delle ragazze era una video chat erotica che peraltro si interrompeva spesso. È stato proprio in quel momento che ho scritto la prima versione di questa storia. Ho deciso di trasferire la storia in un piccolo villaggio popolato da cacciatori di balene. Il protagonista, Leshka, sperimenta i tipici problemi adolescenziali legati alla solitudine, il desiderio di trovare l'amore e il sentirsi incompreso dai suoi amici. Sono proprio esperienze del genere a rendere universale questa storia».

scena

The Whaler Boy (2020): scena

 

RESIDUE

Commento del regista Merawi Gerima: «Quando frequentavo le scuole medie, i miei genitori fecero le valigie per trasferirsi in una zona diversa di Washington. Ogni volta che torno nel mio vecchio quartiere, un altro amico d'infanzia se ne è andato, è scomparso, è in carcere o è stato ucciso. Un quartiere vivace che nel corso del tempo è stato annientato dallo spaccio di droghe, dai disinvestimenti e dagli eccessi della polizia. Ora, a parte le poche famiglie sopravvissute, non troverai alcuna traccia della nostra esistenza. Il quartiere è stato raso al suolo. Si ha come l'impressione che la nuova e luccicante comunità abiti là da sempre, come se quel luogo non sia stato costruito sulle nostre ossa. Residue è il mio tentativo, con le parole di Dominique Christina, di "rimpolpare quelle ossa"».

scena

Residue (2020): scena

Proiezioni odierne: Settimana della critica

THE BOOK OF VISION

Commento del regista Carlo Hintermann: «Che cosa caratterizza l'universo femminile? Cosa c'è alla base di scelte che coinvolgono il proprio corpo e in ultimo la relazione intima con la vita? Proprio dalla situazione critica della protagonista, dalla sua scelta di riappropriarsi della propria vita con coraggio e determinazione nasce un viaggio che più esplora la natura del proprio animo più si spinge in un territorio fantastico. Pagina dopo pagina, Eva capisce quanto la storia di un medico del Settecento possa aiutarla a percepire se stessa come qualcosa di unico. Finalmente può scrollarsi di dosso lo sguardo di tutti coloro che vogliono decidere della sua vita: medici, genitori, amanti. Eva è come se fosse la prima donna sulla terra, guarda il suo corpo e capisce che solo lei può decidere del suo destino. Solo lei può ascoltare le voci del passato per mettere in discussione il presente. La possibilità di attraversare il tempo mi ha sempre affascinato. Forse è la prima motivazione per cui mi sono innamorato del cinema e la sua capacità di saltare in dimensioni temporali e spaziali diverse. The Book of Vision fa della possibilità di attraversare il tempo un elemento di forza. È come se Barry Lyndon improvvisamente decidesse di lanciarsi nello spazio. Come nel fumetto La Lega degli Straordinari Gentlemen, le qualità straordinarie degli uomini hanno la forza di viaggiare nel tempo. Eva ha la capacità di comprenderlo e considera straordinari non solo il medico Johan Anmuth, ma anche i racconti dei suoi pazienti, fantasie di gente comune, che non avrebbero alcun diritto di comparire nei libri di storia. È la sua capacità di vedere il meraviglioso che permette ai personaggi del passato di apparire nel presente. La passione maturata verso i film fantasy degli anni Ottanta e Novanta con i quali sono cresciuto, da I Goonies a Labyrinth, da La Storia infinita a Ritorno al futuro, ha un ruolo importante. Il meccanismo è lo stesso: aprire una porta, una dimensione inaspettata che si spalanca sul fantastico».

Lotte Verbeek

The Book of Vision (2020): Lotte Verbeek

 

THE EAGLES OF CARTHAGE

Commento del regista Adriano Valerio: «Il calcio è inspiegabilmente odiato da molte persone, che percepiscono la passione per tale sport come una forma di follia collettiva. Io faccio parte di coloro che lo amano e che è affascinato da tutti i suoi aspetti: le tattiche, l'occupazione degli spazi, l'individualismo e il gioco di squadra. Mi emoziona il virtuosismo dei giocatori più talentuosi sia del presente sia del passato. Amo il calcio con tutti i suoi rituali, la sua letteratura sportiva (soprattutto sudamericana) e il suo essere al contempo fenomeno sociale e rito popolare».

scena

The Eagles of Carthage (2020): scena

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RECENSIONI

Molecole - Recensione di AlanSmithee // Recensione di PortCros

AlanSmithee

PortCros

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Numeri precedenti

Venezia 2020: Giorno 0

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