Espandi menu
cerca
Neri Parenti e Luis Bunuel. Dialogo sul cinema
di MarioC ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

MarioC

MarioC

Iscritto dal 29 settembre 2015 Vai al suo profilo
  • Seguaci 45
  • Post 55
  • Recensioni 124
  • Playlist 14
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Facciamoli incontrare in qualche altrove inconoscibile, in un luogo inaccessibile perché protetto da un cordone di celluloide. Grandezze incomparabili, specchio riflesso di differenti concezioni dell’arte, icone dal seguito fedele. Il confronto appare sacrilego: troppo rumore fanno le forbici intellettuali che li dividono, troppa la distanza anche temporale, enorme il divario tra i sentimenti che smuovono e rappresentano. Eppure, quando le luci della sala si spengono, oppure quando parte il dvd, quando resti solo tu e lo schermo, il cinema è cinema. E’ foresta di maschere che si formano piano, è diluvio di parole che sentenziano o instillano dubbi, è teatro di vita, di passioni, gioie, tenerezze, follie e dolori. In qualche luogo a noi tutti ignoto, si incontrano Luis Bunuel e Neri Parenti. E parlano tra loro.

 

NERI PARENTI. Buongiorno, maestro.

LUIS BUNUEL. Buongiorno. Io non so come chiamarla e dunque non la chiamerò. Allievo non mi piace affatto e non è detto che lei lo sia. Faccio notare che anche il termine maestro mi richiama alla mente un convento di suore dalla crudeltà inaudita, intente a perpetrare danni nella diffusione delle certezze più blande.

N.P. Ma io ho visto tutti i suoi film e ne sono sempre stato innamorato.

L.B. Io ho visto alcuni dei suoi. Quel Fracchia che lottava contro le forze del male incarnate da un Dracula truccato male aveva tratti delle nenie notturne spagnole, quelle, intendo, capaci di spaventare i bambini, con la scusa della necessità di addormentarli.

N.P. Maestro Luis, io ho sempre tentato di operare una satira sulla borghesia, classe sociale che lei conosce più che bene. Mi permetto di citarle la batteria dei miei “Natale a”: spaccati di una quotidianità immersa fino al collo nella melma e nei difetti del popolo italiano.

L.B. Grande popolo, quello italiano: cuore enorme, lacrime nel portafogli, mostruosità nascosta tra gli interstizi della risata assolutoria. Nei suoi “Natale a”, di cui ho visto alcuni episodi, ho apprezzato lo studio dei rumori.

N.P. Si riferisce alla Treccani dei peti?

L.B. Treccani dei peti, sì, mi piace. Esattamente: lo sberleffo che nasce dal basso, l’aria che riempie altra aria, l’incontro/scontro tra fisiologia ed altre istanze primarie dell’uomo di ogni epoca ed età. Il peto quale rumoroso lamento che sottende disperazione, lancinante grido d’aiuto del borghese avvizzito che aspira a tornare bambino, metaforico ariete che sovrasta e scavalca il ponte levatoio delle convenzioni ammuffite.

N.P. Non saprei dirlo meglio, maestro caro. Il borghese che chiede aiuto. Il peto quale risultanza e portato di una cena finalmente consumata. Ah, quel suo “fascino discreto”…

L.B. Il mio fascino discreto è anche il suo, quello di noi tutti. Le svelo un segreto su quel film. Quando chiesi a Fernando Rey di recitare la scena del cosciotto di vitello azzannato sotto il tavolo, lui ne fece indigestione. Si rinchiuse in bagno e ne uscì dopo un’ora. Ecco: quello era il sintomo esatto della realtà che supera la fantasia. Nel mio film quegli esseri umani non riuscivano ad ingozzarsi, nella vita di tutti i giorni il borghese (perché l’attore è un borghese, lo è il regista, lo è perfino il costumista e l’ultima maestranza che aspira a diventare la prima, come avrebbe detto quel vostro lucidissimo Pasolini) ce la fa. Mangia, si riempie la pancia e deve, dico deve, liberarsi. Per una migliore ripartenza, perché le cose cambino senza mai cambiare (Gattopardo, nevvero?). Dunque, io non ho mai usato peti nei miei film ma ho cercato di registrarne con lucidità tutti gli antefatti ed i presupposti.

N.P. Maestro, mi commuove.

L.B. Mi parli di quel suo attore, Christian De Sica…

N.P. Le piace?

L.B. Credo abbia l’impagabile faccia di un Nazareno paraculo. Sul suo volto scorgo le coordinate della fame atavica temperata e spazzata via dall’arte di arrangiarsi, il fermo orgoglio di chi si è fatto da solo, con mezzi i più svariati ed interpretabili, ed ora te lo fa pesare. Un Alberto Sordi (grandissimo, quello: un angelo sterminatore di falso candore) cresciuto al desco del boom economico. Un italiano che porta ovunque il suo lato affabulatorio e volgare. Credo avrebbe potuto tenere testa anche a Francisco Franco.

N.P. Christian è bravo. Si cala nei copioni come un palombaro alla perenne ricerca del senso nascosto in una parolaccia, in un liberatorio pernacchio. Il suo cruccio è il non vedersi mai scritturato per un ruolo drammatico.

L.B. Io ne avrei fatto una specie di caudillo arlecchinesco, un El bruto senza cattiveria. Se nota bene, nel Don Rafael di Miranda può scorgere alcune caratteristiche dell’italiano medio che il suo attore incarna: falsità recitata e accomodante, la bugia quale passe-partout sociale, l’inganno reso su un piatto dai mille colori e perciò ben mimetizzato. E poi, la passione per la femmina…

N.P. Le donne, maestro! Mi accusano di esporle come bestie al pascolo.

L.B. Ma la donna (forse più giusto sarebbe dire l’essere umano) ama i palcoscenici, si balocca nelle recite. Si chiama seduzione: come potremmo farne a meno? Lei espone tette e culi: l’universo femminino come quarti di bue in macelleria. Ma ricorda il mio Quell’oscuro oggetto del desiderio?

NP. Alla perfezione. Ebbene?

L.B. Ebbene, io ho fatto di peggio. Ho fatto interpretare lo stesso personaggio (ambiguo, mefistofelico, e per questo ancora più terribilmente seduttivo) a due attrici diverse. Ho raddoppiato le tette, i culi, il desiderio maschile, ho biforcato l’anelito sessuale, ne ho fatto pericolosissime lingue di fuoco.  Mi sono venduto alla vulgata popolare che vuole la donna un terribile essere duplice, pronta a sfruttare le ali di cera dell’annaspante desio del maschio, una specie di Minotauro non decrittabile, foriero di morte, messaggero di infelicità perenne. Sono stato sessista? Mi pento e mi dolgo, avrei voluto avere l’aureo ed immobile romanticismo di Bresson, almeno la piena consapevolezza fascinosa ed affascinata di un vostro, che so, Lattuada. Mi aiuti, Neri (piange).

N.P. Su, maestro. Stasera la invito ad una mia retrospettiva. Non vedrà Carole Bouquet né Angela Molina. Ma un paio di americanotte cresciute a pane e vitamine non mancheranno. Le piacerà, vedrà.

L.B. Grazie, amico mio. Prima, però, urge spuntino. Pata Negra o pane e salame? Scelga lei.

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati