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L'ultimo dei Romantici: 30 anni di Dylan Dog
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1  L’inquadratura si alza e vediamo per la prima volta il viso di Dylan, di profilo, che guarda in giù sorridendo verso il viso di Sybil che guarda in su. Dylan ha effettivamente abbracciato Sybil.
Dylan: Presa!
Sybil (spaventata): Chi… chi siete?
 Stesso piano di inquadratura ma ruotato: insomma, vediamo Dylan di fronte.
Dylan:  Mi chiamo Dog. 
Dylan Dog.

 

Con queste frasi, tratte dalla sceneggiatura de L’alba dei morti viventi, Tiziano Sclavi iniziava a raccontare per la prima volta le gesta dell’Indagatore dell’incubo, che sarebbe uscito in edicola il 26 settembre del 1986. Trent’anni fa.

Con queste frasi le sorti del fumetto popolare italiano sarebbero cambiate irreversibilmente. Dylan Dog partì per fare quello che nessuno (nemmeno lo stesso Sclavi) si sarebbe mai immaginato: oltre a superare le vendite di Tex, vera punta di diamante della Sergio Bonelli Editore, esso riuscì anche a diventare un fenomeno di culto, vero punto di congiunzione tra fumetto d’autore e fumetto popolare, in grado di avvicinare al fumetto quelli che uno non l’avevano mai aperto prima. Senza contare il fascino esercitato su tantissimi intellettuali del nostro paese, che spesso ne hanno tessuto le lodi sulle pagine di numerosi quotidiani (come Corrado Augias, Stefano Bartezzaghi, Umberto Eco, Giulio Gorello): caso più unico che raro per una serie a fumetti.

Grazie alla genialità di Sclavi e all’estro creativo di un team di disegnatori (come Angelo Stano, Corrado Roi, Giampiero Casertano) eccezionali nel rendere su carta un personaggio unico della storia della Nona Arte, Dylan Dog si è subito imposto come uno dei fumetti cardine della modernità, caratterizzato da un connubio perfetto di ironia, poesia e surrealismo che, ancora dopo trent’anni, non smette di affascinare vecchie e nuove generazioni. Merito anche e soprattutto di un genere di riferimento, l’horror, che tanto attira il pubblico e di un citazionismo mai invasivo, ma assolutamente pervasivo.

 

scena

Dylan Dog - 30 anni di incubi (2016): scena

 

Spesso Dylan Dog ci chiede di rispondere ad una semplice domanda: riusciamo davvero ad avere paura attraverso un disegno? Infatti, a differenza del cinema, il fumetto è un medium freddo che necessita della partecipazione e della disponibilità del lettore a lasciarsi travolgere ed impressionare. Solo così il gioco può avere luogo, solo così la magia può avvenire: sta a noi la scelta. Eppure ecco un’altra domanda, che questa volta è Sclavi a porci: riusciamo a non avere paura? “Fantasmi, licantropi o vampiri… Il fatto che io creda o meno all’autenticità di questi fenomeni è del tutto irrilevante. Ciò che conta è che non mi rifiuto di crederci a priori, come fa la maggior parte della gente ‘seria’ ” dice Dylan Dog, esprimendo il suo punto di vista e quindi indirettamente anche quello del suo creatore: Sclavi sa che i fantasmi esistono. Ma non c’è bisogno di andare lontano a cercarli, perché essi rappresentano le nostre paure più profonde. Sono già dentro di noi.

 

 

Ed ecco che, albo dopo albo, mese dopo mese, il lettore conosce sempre più a fondo il personaggio ed è lì che si scopre quello che potrebbe far davvero paura: Dylan Dog non riesce a difenderci dal Male, non può a salvarci dai suoi e dai nostri fantasmi. Egli è l’Indagatore dell’incubo, colui che alla fine di ogni episodio uscirà sconfitto o che al massimo avrà capito il senso di quello che gli è accaduto. In attesa di essere messo di nuovo in difficoltà nel numero successivo. Dylan, pur rappresentando l’archetipo del classico eroe, è in realtà un perdente cronico, quasi mai risolutore dell’orrore ma argine contro l’oscurità dilagante, che il più delle volte lo contamina. L’inquilino di Craven Road non fornisce quasi mai risposte al lettore, bensì gli pone infinite domande, costringendolo a fare i conti con le sue inquietudini più profonde con lo scopo di superarle.

Il mondo creato da Sclavi per la sua creatura non affonda le proprie radici sulla razionalità, che fino a quel periodo era stata la costante nel mondo dei fumetti. Ce lo insegna lo stesso codice deontologico del personaggio, che impone a Dylan uno scetticismo di partenza, qualunque sia il caso che gli viene proposto. Per questo il nostro (anti)eroe si trova quasi sempre a subire passivamente le vicende, senza poter dare una vera e propria spiegazione a quanto gli accade, accettando semplicemente l’impossibilità di raggiungere determinati vertici di comprensione della realtà. Realtà che finisce per assumere dei contorni fumosi e ambigui: essa è caotica ed incomprensibile per l’uomo.

Le battaglie che Dylan compie non possono, dunque, concludersi se non con una sconfitta (parziale o totale). Scrive Luigi Siviero nel saggio Indagare l’incubo, dedicato proprio al personaggio, che mentre gran parte degli eroi su carta è figlia del positivismo, Dylan è figlio della sua crisi: “Per questo motivo è imperfetto e fallisce. Per questo motivo le sue indagini possono essere condizionate dalla casualità. Per questo motivo non agisce all’interno di una realtà comprensibile e spiegabile oggettivamente, ma in un mondo in cui il confine fra sogno, realtà e finzione è caduto” dice Siviero.

 

 

Sembrerebbe non esserci alcuna via di scampo nell’universo di Dylan, così basato su un pessimismo ed un nichilismo quasi estremi. Ecco che allora nel discorso si inserisce la figura di Groucho, l’eterno ed enigmatico amico-assistente, sosia ed omonimo del Groucho Marx del celeberrimo gruppo comico: egli costituisce l’elemento estraneo, l’ancora di salvezza ad una razionalità che sembra bandita da questo mondo di carta. Con le sue battute e freddure, partorite dal genio di Sclavi, Groucho è fondamentale per spezzare il clima di tensione e di angoscia suscitato dalle storie narrate. Egli rappresenta la razionalità e la comicità le quali irrompono a stemperare quella casualità che domina le nostre vite. Se la realtà non si può controllare, meglio riderci sopra.

Grazie a tutti questi aspetti, Dylan Dog è stato capace di intercettare le inquietudini e i dubbi palesatisi sul finire del secolo scorso e che sono diventati piaghe della modernità: la solitudine e la depressione. Sclavi ha saputo anticipare con lungimiranza queste lacerazioni interiori, creando attraverso il suo personaggio un vero e proprio manifesto romantico degli anni ’90, che nel corso di questi tre decenni è diventato a volte troppo pop, altre troppo frivolo e ripetitivo, ma che è sempre riuscito a sconvolgere le vite di chiunque sia entrato in contatto con esso. Per questo, ancora dopo trent’anni, Dylan Dog rimane l’ultimo eroe romantico.

Massmediologi, filosofi, giornalisti e psicologi si sono susseguiti nel tentare di dare una spiegazione al fenomeno scatenato dal fumetto, senza mai trovare una risposta definitiva. Meglio allora rivolgersi a Tiziano Sclavi, che all’eterna domanda: “Tu chi sei? Dylan Dog o Groucho?”, ha sempre replicato: “Nessuno dei due, io sono i mostri”. Risposta che, a ben guardare, scatena un silenzioso interrogativo, che è anche quello che ogni mese ci costringe ad andare in edicola: “E voi, cari lettori? Voi chi siete?”.

 

30 ANNI IN 10 STORIE

Per celebrare ancora di più questo evento, ho deciso di cimentarmi nel gioco assai sterile e superfluo poiché estremamente soggettivo, di fare l’elenco delle mie dieci storie preferite, che in questi anni non ho mai smesso di rileggere. Storie che mi hanno accompagnato e che mi accompagneranno, che sono state capaci di cambiare la mia visione del mondo e delle cose, oltre che di aiutarmi in alcuni momenti difficili. Eccole in ordine di uscita.

 

Mi chiamo Dog. Dylan Dog.

Il primo, storico ed introvabile numero. Probabilmente non la storia migliore a livello di sceneggiatura ma perfetta per presentare i personaggi fondamentali e la poetica sclaviana, citazionistica e fuori dagli schemi anche nell’organizzazione della gabbia di vignette e nel gusto per le inquadrature cinematografiche, disegnate dal maestro assoluto Angelo Stano.

 

“Io sono colei che tutto spiega e che nessuno può spiegare. Io sono l’immagine allo specchio, sono il mistero che è al di là della vita. Sono il sonno senza sogni, sono il pensiero che vola via, la grande consolatrice… io sono la Morte!”

L’albo numero 10 contiene il primo faccia a faccia tra Dylan e la Morte. Accompagnato dalle poesie scritte da Sclavi e dai fantastici disegni di Giampiero Casertano, è la prova dell’assoluto talento letterario di Tiziano Sclavi, che imbastisce una storia crudele ma dotata di un fascino e di una poeticità difficilmente replicata.

 

“Niente! Non c’è proprio mai niente alla tv! Solo cose di violenza e sesso! E poi dicono che la televisione è lo specchio del mondo! Bel mondo, che abbiamo!”

La prima vera storia fortemente critica verso la società appare nel numero 15. Con il pretesto di una serie di suicidi e un’ironia nerissima, Sclavi mette in ridicolo lo strapotere della televisione sui cittadini, talmente forte da condizionarne la vita di tutti i giorni. Con un piglio che definire profetico è dire poco.

 

“Sono sempre stato una nullità. Da bambino, mia madre mi scambiava per mio fratello, anche se ero figlio unico. Quindi non ero neanche unico. D'altronde mia madre crede ancora oggi che sia mio fratello, il figlio unico. A scuola, la maestra mi segnava sempre assente, anche quando ero presente. Nei giorni in cui ero davvero assente non se ne accorgeva e mi segnava assente lo stesso. Tutti gli altri ragazzi avevano degli hobby, il mio hobby è sempre stato respirare. Quando mi guardavo allo specchio, neanch'io mi riconoscevo, e se parlavo tra me e me mi davo del voi.”

Capolavoro assoluto della narrativa a fumetti. L’albo numero 19 è probabilmente il più bello mai uscito da casa Bonelli e il migliore della serie di Dylan Dog. La sceneggiatura di Sclavi è perfetta in tutto: ironica, romantica, poetica, crudele, commovente e sensibile. Ricolma di battute e scene memorabili, la storia è perfettamente illustrata dal grande Casertano e non smette ancora di affascinare i nuovi lettori. Colpi di scena a non finire e personaggi indimenticabili (l’uomo invisibile e Bree Daniels su tutti) hanno permesso alla storia di trascendere i limiti della serie per ergersi a classico moderno del fumetto italiano, ma non solo.

 

“…’ccipicchia, che fame!”

Nessun albo prima di questo, il numero 25, aveva mai dato uno sguardo sul passato di Dylan. Sclavi coglie l’occasione per arricchire il background del suo personaggio e lo fa imbastendo una storia che intrappola il lettore con i suoi continui deliri e le riflessioni meta-fumettistiche. Un esperimento narrativo che si rivela vincente grazie ai continui stimoli lanciati dagli autori e che fanno occupare al numero in questione un posto speciale nel cuore di ogni appassionato di Dylan Dog.

 

“Forse…  forse morire è così… come trovarsi in una casa vuota, dopo che tutti se ne sono andati… si, forse morire è così… ma com’è vivere?”

Il numero 43 della serie regolare è l’ennesimo capolavoro sclaviano. Una storia difficile e articolata, che gioca con la realtà alternativa e gli universi paralleli, raggiungendo una complessità che ha dell’incredibile. Sclavi sbriglia la propria fantasia ed inventiva per partorire un vero e proprio delirio visivo e narrativo, che ridefinisce ancora una volta il personaggio e che spinge la testata laddove nessun fumetto nostrano si era mai spinto. Assolutamente imperdibile.

 

“-Avremmo fatto una bella coppia, eh?”

“-Si, ma sono cose di cui ci si accorge sempre dopo.”

La storia più romantica e delicata di tutta la serie. Non ci sono mostri, non ci sono orrori da combattere e Groucho non fa battute. C’è solo spazio per l’amore ed il rimpianto di un passato che non tornerà mai più. La coppia Marcheselli-Sclavi sceneggia l’albo 74 che è considerato una delle storie d’amore più belle mai raccontate su carta. Il risultato è quanto di più ispirato ci si potesse aspettare. Nonostante l’abbia letta molte volte, piango ancora come se fosse la prima.

 

“Groucho, ce l’ho fatta! Ho finito il galeone!”

Per festeggiare il numero 100 Sclavi progetta una sorpresa che spiazza i suoi lettori. infatti nel centesimo appuntamento con la testata è narrata quella che sarebbe l’ideale fine della serie in cui le vicende dell’indagatore volgono al termine. Viene fatta luce sul suo oscuro passato e ogni legame con i personaggi ricorrenti della serie è spiegato. Come tutte le grandi conclusioni anche questa non ha mancato di far discutere gli appassionati che si sono trovati divisi: alcuni l’hanno amato, mentre altri odiato. Inutile dire che appartengo alla prima categoria.

 

Sono la morsa che ti stringe le ossa, la febbre che ti fa rabbrividire, il dolore che ti mette in ginocchio. Sono quella materia oscura che ti cresce dentro, sono il tuo corpo che impazzisce, sono il delirio, la disperazione e la pazzia. E alla fine, quando tutto sarà consumato, io sarò la tua fine.”

Oltre ad essere la seconda storia di Roberto Recchioni sulla testata regolare, il numero 280 ha anche un altro grande pregio: quello di aver risollevato le sorti della testata, che negli anni precedenti era caduta in una crisi profonda. Attraverso la fusione della propria esperienza personale di malattia con le vicende di Dylan, Recchioni ci ha ricordato che l’Indagatore dell’incubo può dire ancora molto se ci sono autori in grado di esprimere il suo potenziale. E la geniale sceneggiatura da lui scritta sta qui a dimostrarlo.

 

“…Perché per i fantasmi, i fantasmi siamo noi.”

Ancora una volta la coppia Sclavi-Casertano. Ancora una volta un capolavoro. Lo speciale numero 5 è sicuramente il più ispirato tra gli albi fuori serie di Dylan Dog: disperato ed angosciante come pochi. Sclavi gioca con i cliché tipici del genere horror per ribaltarli completamente con esiti del tutto inaspettati per il lettore. Il tutto è supportato dal disegno evocativo di Casertano, qui alla sua prova migliore di tutta la serie.

 

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