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Cinque pezzi difficili
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Facciamo un gioco, dice, con uno sguardo da invasata che mette già un po' paura. E le regole le decido io perché il gioco è mio aggiunge aprendo la mano e mettendo sul tavolo cinque piccole pietre colorate. Ok, diciamo, spiegacele queste regole. "È semplice, adesso io dico una parola e poi sfido qualcuno di voi a darne una rappresentazione con queste cinque pietre, su questo tavolo."
"Sfido Luca e la prima parola è: assenza." Ah già, Luca sono io, mi dico con l'ultimo barlume di presenza. E infatti mi sembra che non esista parola migliore con la quale iniziare a giocare.
Prendo le cinque pietre in mano, le soppeso, le osservo e scivolo come per magia in un meraviglioso altrove, liberato da me e costretto a seguire le regole inventate, dettate, cambiate, anche per puro capriccio, dall'amica invasata che evidentemente aveva perfettamente fatto suo il doppio (o triplo) significato del verbo to play, accostando alla dimensione del gioco anche quella di una specie di interpretazione in cui recitare un ruolo prevaricatore ad oltranza.

Mentre cercavo di visualizzare una rappresentazione di assenza da affidare alle cinque pietre ho sentito quello stesso vuoto, destabilizzante e ugualmente meraviglioso, che arriva e ti toglie il fiato quando devi mimare un titolo di un film alla tua squadra e in testa hai solo mosche che ronzano. La mente visualizza le parole che compongono il titolo e queste parole pulsano nello spazio angusto del tuo cervello, sai che dovresti fare qualcosa eppure l'unica cosa papabile è un'atavica forma di paralisi amebica, tipo che nel brodo primordiale le cose dovevano muoversi con quella velocità, solo di poco maggiore di zero. Un ricordo netto di lunghissime serate passate a giocare, a scrivere la lista dei film da proporre agli avversari cercando proprio di essere il più bastardi possibile, scavando nella memoria per trovare titoli con il maggiore numero di concetti astratti per rendere la vita difficile agli avversari. Ricordo la soddisfazione con cui si sussurrava all'orecchio del mimo incaricato il titolo scelto, come si aspettava quell'espressione con le sopracciglia inarcate che significava "Oddio e adesso come diavolo faccio." Ed anche quello stesso momento di paralisi visto nell'avversario che ti metteva quasi tenerezza e un fisico desiderio di abbracciarlo che però significava anche che c'erano buone possibilità di far esaurire il tempo senza che i suoi compagni riuscissero ad indovinare il titolo.

Ed infine, la scintilla. Lo sguardo del mimo improvvisamente si accendeva sulla traccia di una via, un'immagine debole e poi sempre più chiara di come cercare di far capire il titolo ai compagni. I suoi primi movimenti timidi e tu che hai sussurrato il titolo nel suo orecchio che pensi, dove sta andando, cosa sta facendo, perché prende questa strada. E poi i compagni iniziano a sparare cose, parole, titoli di film a raffica, titoli completamente inventati, o almeno ancora non realizzati, parole senza il minimo senso, lettere a casaccio.
Ed infine il colpo di genio, l'illuminazione, perché spesso nel gioco accadono delle cose al limite del miracoloso e una di queste è quando uno della squadra cade in uno stato di semitrance che gli mancano solo gli occhi rovesciati e ad un certo punto si alza ed urla il titolo come se non ci fosse un domani, come se quella fosse l'unica cosa che davvero importa nell'intera fottuta vita. E il titolo è giusto e tu resti lì di sasso che ancora ti chiedi come diavolo ha fatto ad indovinare, ti chiedi se ha improvvisamente avuto accesso al terzo occhio del Tuatara con il quale decodificare i gesti apparentemente assurdi del suo compagno.

Il campo del gioco è pieno di sorprese, epifanie che lo illuminano a giorno, improvvise sintonie che spalancano amicizie, un territorio che diventa teatro di esperimenti con una libertà che nella vita vera tendiamo a reprimere. Intanto le pietre stavano ancora nella mia mano e lì sono rimaste. Ho chiuso la mano a pugno, ho guardato la creatrice invasata come per dire che quella era la mia rappresentazione dell'assenza. Mi è stato detto che le pietre dovevano stare sul tavolo. Allora ho messo la mano sul tavolo, ho fatte scivolare le pietre sul legno lentamente, mantenendole assenti alla vista di tutti.
Giustamente ho perso. Ma mi sono divertito.

* Il Tuatara è una bizzarra ed antica creatura tipo lucertola che vive in Australia e che è misteriosamente dotata di un terzo occhio di cui ha perso l'uso qualche eone fa.

** Se vi va potete condividere la vostra esperienza di gioco o anche aiutarmi a creare una lista di titoli impossibili da mimare. Io comincio naturalmente con Dolce assenza, indimenticabile pellicola di Claudio Sestieri con Jo Champa e Fabienne Base.

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