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I bambini li guardano: Pioggia
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I bambini li guardano è una rubrica settimanale di Cinerepublic in cui gli autori raccontano, in forma di cronaca dal salotto di casa, la visione di un film per grandi ad altri genitori audaci desiderosi di allargare gli orizzonti cinematografici dei propri figli.

 

Pioggia (1929)
di Joris Ivens
Genere: Documentario


Pg (Pier Giorgio) 10 anni, mio figlio; Luca 9, Marco 5, fratelli e  cuginetti di Pg.

Anni fa, un’estate turbolenta.
Marco, Luca e Pg giocano in giardino.
Spari, tonfi, urla, devo finire un lavoro, penso al silenzio, un miraggio.

Cielo, nuvole sempre più nere stringono un aereo in volo, il vento si alza, la biancheria stesa svolazza, c’è battaglia tra nuvole nere e spazi di luce, uno stormo di uccelli in fuga, le prime gocce nel canale, piccoli cerchi concentrici, si allargano, più veloci.

Un temporale estivo, rientrano a brandelli, righe d’acqua sul pavimento. Che fare?

Bambini, un’idea, un film sulla pioggia e la merendina che vi piace…ok?

Mi guardano, leggo negli occhi lampi di ostilità rassegnata, era pronta la play station spaccatimpani, ma la trattativa è a mio favore, la merenda con la Nutella è imperdibile e allora via sul divano, parte Regen di Joris Ivens.

D’accordo, dura poco, 14 minuti, il tempo di preparare i panini, ma chissà… a volte le sorprese…

L’inizio, intanto, è traumatico:

- A ma’, che roba è? è muto!!!

- Ma no Pg, non senti che bella musica?

- Non è a colori!!! uffaaa!!! -  stavolta è un coro all’unisono.

- Guardate fuori, bambini, non è in bianco e nero? Piove… Non pensavo di essere tanto paziente, che mi succede?

- Mmmmm…grugniscono

Però sembrano colpiti, cade il silenzio per qualche minuto.

- Mammina, guarda, una bici che corre a rovescio nella pozzanghera!
-
Bello, sì, che forte! – bene, comincia a funzionare…
- Ehi
- fa Luca, ha un vocione baritonale - che macchine! Sembrano quelle della collezione di mio papà.
- Ma dai, veramente? -
 fingo stupore e continuo a spalmare strati di Nutella sul pane.
- Sì, sìiiii……anche il tram, guardate che forza…
- urla Marco per farsi sentire, è il più piccolo e l’hanno messo in mezzo che quasi lo schiacciano.
- Ahahaha, quello adesso si bagna tutto
-  ridono sgangheratamente.
- Zia, ma questi  hanno solo ombrelli neri? Uau, guarda quanti! Una piazza piena!
- Eh sì -
faccio io distribuendo panini - allora non c’era  lo spreco che c’è oggi, bastava coprirsi…
- Allora? Quando? -
Luca mi guarda perplesso, è lo storico del gruppo.

Ehilà! stavolta ci siamo: - Quasi cent’anni fa, diciamo ottanta.

Si girano di colpo verso di me, sei occhi sgranati, non badano nemmeno più ai panini che hanno sotto il naso, questa incursione nel passato con un mezzo, il cinema, che credono nato con loro come tutto il resto del mondo, li ha spiazzati.
Bene.

- Bambini, finite di vedere, manca poco, poi vi racconto com’è andata quella volta che hanno inventato il cinematografo.

- Il cinematografo? ahahaha…il cinema! – ridono divertiti, i presuntuosetti.

- OK OK, poi vi spiego anche perché ho detto cinematografo (e così si  beccano anche un po’ di greco, se la sono voluta)

Ora guardano in silenzio, le gocce che saltano al ritmo della musica di Lou Lichtveld li hanno ipnotizzati. Il silenzio dei bambini che pensano è un’esperienza unica al mondo, merita qualche sacrificio.

Lame di luce nel cielo, la pioggia rallenta, smette, l’acqua nelle pozzanghere ora è ferma.

Luca si alza, la chitarra giocattolo è buttata in un angolo, la prende, tenta un accordo, sembrano gocce di pioggia.

Marco è sdraiato a terra a pancia in giù, lo guarda felice, urla (pure in olandese riesce a urlare!) …Regen Regen Regen…

E Pg…?

Torna dopo un po’, ha un foglio in mano: 

Così la pioggia ci giocava intorno

e noi bambini ci siamo riparati.

Quando scende la pioggia la lasciamo giocare.

Perchè star  fuori?

C'è un magnifico disordine dentro.

 
Sono tornati in giardino, guardano dentro le pozzanghere con strano interesse, sento Pg che fa a Luca:

- Per il compleanno mi faccio regalare una videocamera e andiamo in giro a fare un film, che dici? A te ti faccio fare la musica…

- Pg, non si dice a te ti… urlo da dentro, ma sono già oltre lo steccato, studiano la location.

Marco corre trafelato:

- Aspettate, ehi, aspettatemiiiiii! lo voglio fare pure io il cimenail cimane…
- Il cinematografo, uffa, sbrigati dai, che rottura sempre ‘sto piccoletto appresso...

 
Piccoli  filmmakers crescono...

*Si qualifichi!
 Due parole sull'autore della settimana: yume

 

Perché il cinema.
Perché un giorno, tanti anni fa, una bambina di sei anni dava la mano al papà che la portava a vedere La strada, c’era un cine parrocchiale vicino casa e il prete aveva gusti raffinati.
E’ il ricordo più caro e lontano che ho.

La musica di Gelsomina la cantavo sempre a Pg, la sera, per farlo addormentare, era la sua preferita.

Al cinema, da ragazzina, con Sara e Franco, si andava di sabato, alle due e mezza, la mamma tornava alle due dal lavoro, non c’era la settimana corta per portare i tesorucci in montagna a sciare, allora. Ci si divertiva con poco, molto poco, un cinema in parrocchia in ore pazzesche, quasi non la facevamo pranzare, era lo spettacolo per bambini e volevamo i posti migliori.

Non ricordo niente di quello che vedevamo, so solo che non aspettavo altro e mi piaceva tanto quando le luci si spegnevano, partivo come una navicella nello spazio. Era come sognare, cerco sempre di ricordare i sogni, il mattino, e sono tutti a colori, i miei corti personali.

Ancora adesso mi piace vedere i film al cinema, non a casa.

 

Ma la vera stagione del cinema era d’estate, al mare, zia Gilda (un nome, un programma) aveva il monopolio dei cinema del paese, compresa l’arena. Eravamo una banda di cugini, la sera si andava in blocco, non ce ne fregava niente di quello che davano, era gratis, era lì il bello, e per di più all’arena era pieno di lucciole che mettevamo nei bicchieri per fare le lampade. Sì, si ok, dopo un po’ c’era sempre qualcuno che diceva di liberarle.

E poi il tempo è passato, tutto è cambiato ma il cinema è rimasto.

 

Me lo sono portato anche a scuola, ma questa è un’altra storia, non ci sono bambini dentro, forse la racconterò un’altra volta.

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