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Di che genere di cinema parliamo quando parliamo di cinema di genere?
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Vi sarete ormai abituati al fatto che sulla newsletter settimanale (di cui questo post è la versione "commentabile") si parla un po’ di tutto, di internet e di tecnologie, di vita sul sito (sì, è vivo!), di storie e di eventi. Per una volta non stupitevi se proviamo a parlare di cinema. Partendo da un dato: i David di Donatello, che storicamente sono un premio deriso e ignorato, quest’anno sono andati forte. Un po’ perché da soli si sono impegnati a tirare su la testa - a partire dagli sforzi fatti per rendere meno polverosa la cerimonia - un po’ perché hanno vinto due film che hanno incontrato molti favori del pubblico cinefilo (con un po’ di amarezza per il mancato riconoscimento a Non essere cattivo, il favorito di molti).

I due film più premiati  - Lo chiamavano Jeeg Robot e Il racconto dei racconti - pur se diversissimi hanno una cosa in comune, anzi due. La prima è che sono stati salutati come due felici episodi di ritorno del cinema italiano al “genere”. La seconda - che qui citiamo en passant - è che entrambi sono debitori in forma diversa a delle serie tv: per Jeeg la filiazione è più che altro un’ispirazione, un tributo al manga e alla serie originaria. Per Il film di Garrone invece la cosa è più diretta: Game of Thrones, su ammissione dello stesso regista, è stato un motore invisibile, anche se poi l’autore romano ha saputo “localizzare” la sua fonte e trovare altri ispirazioni, nostre e antiche

Questa cosa della necessità della rinascita del cinema di genere è un lungo tormentone che ci accompagna da tempo. Negli ultimi decenni il cinema italiano non ha saputo competere - si dice, semplificando qui e di molto - perché non ha più saputo far cinema di genere.

Ora questa definizione - cinema di genere - è una cosa molto nostra. Per gli americani ad esempio, che magari hanno pure inventato i generi, non esiste il “cinema di genere”. Esistono le commedie e i film d’azione, i film di supereroi e i thriller. Tanto quelli “buoni”(e costosi), quanto quelli a basso costo, di serie B. Tutto il cinema, per loro, è cinema di genere: a lato forse potremmo mettere ciò che va sotto l’’etichetta di “drama” (che come dice la parola ha nelle sue origini un debito più forte verso il teatro). Per noi invece il cinema di genere è ciò che in un preciso momento storico e produttivo si è realizzato qui, a casa nostra: cinema di serie B e C (che ha saputo anche esprimere grandi vette, pensiamo a Leone e allo spaghetti-western o ad Argento, Bava, Fulci...), imitazione del cinema americano realizzata con minor mezzi ma spesso con molta fantasia. E via quindi con i poliziotteschi e i sandaloni, con gli horror e i mondo movie, con i decamerotici e naturalmente i western. In quello spazio scomodo perché a low budget e compreso tra il cinema degli Autori e la commedia all’italiana, il cinema di genere tra gli anni ’60 e i ’70 seppe scavarsi una nicchia, ancor oggi celebrata proprio perché la scimmiottatura andò oltre il suo scopo (anche puramente economico: massimizzare la resa al botteghino con film costati poco) e perché l’operazione sincretistica produsse nuove identità e mise in gioco nuove creatività.

Ma allora la domanda - e questa volta è una domanda sincera, non retorica - è questa: davvero si pensa che sarà oggi una riedizione del cinema di genere a traghettare il cinema italiano verso nuovi lidi? Non è questa ancora una volta una operazione nostalgia, la speranza di poter rifare ciò che si fece già? E se quel cinema di allora, con la sua vistosa artigianalità, seppe sbloccare creatività tipicamente italiane, quali creatività si potrebbero rimettere in gioco ora? Si può ancora competere - senza soldi - giocando sullo stesso terreno su cui giocano opere dai budget leggendari e dall’uso ormai smodato della CGI?

I premi ai film di Mainetti e Garrone sembrerebbero dire di sì: una strada è possibile. Tuttavia non sono quelli i film che il pubblico più ha premiato: semmai a farlo sono stati la critica e l’entusiasmo cinefilo che - si sa - non dà da mangiare. In più il film di Garrone è costato parecchio (12 milioni) e non ha coperto i costi. A Mainetti è andata meglio: Jeeg è costato 1.7 milioni, per ora ha incassato circa 4 milioni (ma non farà molto di più). Possiamo anche essere entusiasti dei loro film o apprezzare i loro sforzi, ma i conti ancora non tornano. Che fare? Non è che questa storia del cinema di genere è comunque una coperta corta?

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