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Né gufi né fessi
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Si è parlato tantissimo nei giorni scorsi: abbiamo tutti un po’ la lingua secca. Abbiamo parlato di Cannes, dei film italiani, poi ancora di Cannes e dei premi, quelli dati e quelli mancati. In più sta arrivando l'estate e il cinema come al solito va in letargo: non vien più da dire tanto.
In un post di settimana scorsa però sono state dette cose interessanti: vi consiglio di leggerlo se ve lo siete persi. È quello che dice che non possiamo lamentarci. Siamo d’accordo: non lamentiamoci.
E pertanto parliamo poco: mi interessa però segnalarvi un articolo apparso qualche giorno fa sul Fatto quotidiano, che dice cose importanti. Un articolo che ci sposta dai consueti punti di vista ma considera anche e soprattutto il futuro. Un futuro che dipende da scelte, politica e soldi: è vero, noi siamo spettatori, tutto passa sulle nostre teste. Ma alzarle e guardare serve, anche a noi, per capire perché le cose vanno come vanno. E chiedersi per esempio perché c’è chi, come Garrone, è stato costretto ad andare e cercare soldi all’estero (visto che in Italia le banche gli hanno detto no), mostrando, oltre al coraggio di chi prova a percorrere strade nuove, anche l’intraprendenza di chi non si arrende alla miopia locale. Ora che Garrone sarà distribuito in 40 Paesi, gli auguro davvero di fare tanti soldi, di moltiplicare quei dodici milioni spesi più e più volte, per far ricchi quelli di Cofiloisirs, francesi, che se lo meritano.
Non è deprimente perciò che i film italiani non abbiano vinto. È deprimente vedere come - in un Paese i cui vertici dicono a voce alta che bisogna puntare su di noi e sulle nostre specificità uniche, culturali e turistiche - il cinema, con tutta la potenza che ancora ha e potrebbe avere, sia maltrattato e avvilito al punto di migrare. Non cinema qualsiasi: il-nostro-migliore-cinema-oggi. Io non voglio essere ascritto al clan dei gufi, ma nemmeno al clan di quelli presi in giro.
L’altra sera (biglietto da 5 euro, ingresso alle 19) sono stato a quella baracconata che è l’Expo. E al di là del fatto che mi sembrava di essere dentro a Reality, e alla fine - dopo aver vagato per stand folcloristici - mi sono trovato davanti all’Albero della vita (no, non quello di Malick, ma quella specie di carciofo che tutti sapete e che dal vivo è un patetico lampadario capovolto). È costato 8,3 milioni di euro: “sarà la nostra tour Eiffel”, dicono. Uno spettacolo di suoni e luci. Già suoni e luci. Appunto.

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