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Cineasti invisibili (4) - Zbigniew Rybczynski
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  • Da oggi, noi utenti myHusky e EightAndHalf, con la collaborazione di lorebalda, pubblicheremo dei resoconti biografici e filmografici di alcuni "cineasti invisibili" poco "di moda" che si distaccano dai gusti predominanti e vanno a nutrire un cinema di nicchia che meriterebbe ben altra estensione. Un approccio semplice a grandi registi poco conosciuti: altro che salotti, il cinema è di tutti.

 

 

  • «Rybczynski ha lo stesso approccio con la rappreentazione che avevano gli artisti rinascimentali, il medesimo lucido entusiasmo che allora (all'alba di una nuova riproduzione prospettica del mondo) come oggi (al tramonto di una vecchia percezione della realtà), ci obbliga a ripensare l'ontologia della visione» (Bruno di Marino)

 

  • L'assurdità del reale, e la sua (ir)recuperabile complessità. Mentre si affermavano in Polonia Kieslowski, Zulawski, Skolimowski, il giovane Zbigniew Rybczynski si faceva strada nel mondo del cinema attraverso una serie di cortometraggi sperimentali. Artista eclettico, descrive così la sua carriera: «Ho cominciato come pittore. Quindi, alla fine degli anni Sessanta, ho deciso che la pittura era morta - volevo movimento, non immobilità. Quindi sono passato ai film». Il cinema, infatti, può rappresentare il reale come lo vediamo noi, o meglio, può rappresentare ciò che esiste «nelle nostre menti, nei nostri sogni, nella nostra coscienza, nella nostra fantasia».
    A partire da queste premesse, neanche troppo originali, Rybczynski riuscì ad andare molto oltre, non tanto riprendendo la realtà «che noi siamo sicuri che esista», ma dando a quella realtà un'autonomia tale da trasformarsi irrazionalmente sotto i nostri occhi.

 

  • (Mein Fenster, 1979)

 

  • Zbigniew Rybczynski nasce a Lodz nel gennaio del 1949, ma cresce a Varsavia. Nel 1972 si diploma come operatore all'Accademia di Cinematografia di Lodz. Lavora ben presto negli studi della Se.Ma.For., mentre comincia a collaborare con altri registi quali Andrzej Baranski (con cui realizza, fra gli altri, l'interessantissimo Krete Sciezki) e Grzegorz Krolikiewicz (The Dancing Hawk). Rybczynski in quel periodo aderisce a gruppi d'avanguardia, movimenti attivisti, ed è costretto a chiedere asilo politico in Austria dopo il colpo di stato di Jaruzelski. Dopo la vittoria dell'Oscar come miglior corto d'animazione per Tango, si trasferisce negli USA dove realizza i suoi primi video in HD. Nel 1994 si è trasferito in Germania, per poi ritornare negli USA nel 2001, pur continuando a visitare frequentemente l'Europa e la Polonia, sua terra d'origine.

 

  • Si potrebbe dire che la lunga durata non giovi a Rybczynski, e infatti convincono molto di più i primi cortometraggi (da Kwadrat Tango) rispetto agli ultimi mediometraggi (Steps, The Fourth Dimension, The Orchestra), se non fosse che, a detta di Rybczynski, proprio le sue ultime opere lo avrebbero soddisfatto maggiormente, grazie al passaggio al digitale e a molti altri strumenti che meglio, in alta definizione, hanno potuto ritrarre le armoniche angosce e le discordanti gioie dell'immaginario di questo grande videoamatore.
  • Nei vari corto/mediometraggi, possiamo assistere al trasformarsi del reale: le sue opere non sono tanto uno sguardo ultimo sulla percezione, bensì rappresentano la testimonianza attonita dell'assurdo, di quelle incomprensibili sovrastrutture storiche e sociali che nell'immagine, complessa e sperimentale, si materializzano improvvisamente. L'esperienza, la conoscenza empirica e la sensibilità umane vengono allora sconvolte da immagini in costante movimento, difficilmente percepibili nelle loro trasformazioni, inafferrabili anche dopo numerose visioni.
    Lo spettatore, in questo senso, ne esce (felicemente) annientato: dopo il sogno di Zupa, ad esempio, la realtà quotidiana non ha più nulla di umano, e acquista caratteri metafisici; in Kwadrat, l'uomo è dominato da una geometria metafisica soggetta a un numero infinito di trasformazioni.

     

  • (Quattro immagini da Kwadrat, 1972)

     

     

 

  • Sorprende il modo in cui Rybczynski, mettendoci di fronte una quantità esorbitante di stimoli, riesca a rappresentare le forze del caos e del caso – la complessità dell'esistente, la fallibilità dell'uomo, lo straordinario viaggio nell'insignificanza, nella ridondanza, nella ripetizione.
    La cosa però che più colpisce è l'incredibile ironia che Rybczynski sa inserire in tutte le sue opere, grazie a un commento musicale sempre originale, volutamente ripetitivo e allegramente ossessivo. In Weg Zum Nachbarn spingere l'uomo sul filo del burrone, sul ciglio dell'esistenza, è quasi divertente.

 

  • (Weg Zum Nachbarn, 1976)

 

  • Già da Kwadrat si possono percepire le ossessioni del regista: il delirio del movimento, il tema del fallimento individuale e collettivo, la circolarità come percorso insensato ma inebriante, l'irrazionale come elemento fondante della vita. In Kwadrat potremmo dire che  si assite, in appena quattro minuti, all'inizio e alla fine dell'umanità, e il colore svolge un ruolo fondamentale, nella divisione e nella concretizzazione delle varie realtà dell'essere umano.
  • In seguito, tra i vari cortometraggi, Rybczynski ha realizzato Zupa, con Tango il suo capolavoro, probabilmente la storia d'amore più chiassosa e allucinata della storia del cinema, breve ma imponente, un calvario esistenziale di appena dieci minuti, in cui la realtà e la sua rappresentazione appaiono dimensioni filosofiche inseparabili: vedi l'immagine del protagonista che nel sogno, mentre si osserva affogare in un mare che sta dietro una porta, strappa il mare come se avesse strappato un telo su cui il mare stesso è proiettato.

 

  • (Zupa, 1974)

 

  • Come dimenticarsi poi di Oj! Nie moge sie zatrzymac!, cortometraggio epilettico e quasi lynchiano in cui è più evidente la schizofrenia estetica del regista: gli occhi della regia sono gli occhi di una creatura vorace che sbrana tutte le figure umane che incontra mentre attraversa di corsa un paesino e una periferia polacche.
  • Basta guardare un paio di suoi corti per capire che Rybczynski è un autore che si esprime meglio in un minutaggio ridotto, poiché questo soddisfa nel migliore dei modi possibili la natura impulsiva ed estemporanea delle sue trovate, senza per questo escludere una grande cura formale che egli applica in tutte le sue operazioni. Dice il regista:

 

  • «Il mio sogno è di arrivare a un meccanismo che permetterà una lavorazione spontanea, creativa, tanto da poter fare ad esempio un film con effetti speciali della durata di cinquanta minuti in un giorno. No, siamo realistici, diciamo un mese».

 

  • (Nowa Ksiazka, 1975)

 

  • Un altro capolavoro del regista è Nowa Ksiazka, in cui Rybczynski ha l'idea di frammentare l'immagine in nove quadrati, nove diversi PdV (nove telecamere fisse e immobili sui marciapiedi, su un tram...), portando così l'estetica dello split screen, già elaborato da Warhol, a una delle sue massime espressioni. «Nel suo costruirsi come ipertesto, Nowa Ksiazka più che al cinema rimanda ancora una volta, anticipatamente, alle meravigliose possibilità dell'arte elettronica: l'apertura di finestre all'interno dell'inquadratura, scaturisce dalla necessità di superare la nozione di montaggio in favore di una coesistenza dei diversi punti di vista; risultato: una struttura così difficile da poter essere ricostruita dallo spettatore, costretto a rivedere più volte di seguito il film prima di poter cogliere il quadro completo delle combinazioni» (Bruno di Marino).

 

  • Se in  Mein Fenster Rybczynski offre una "finestra" un po' bizzarra sulla quotidianità, Weg Zum Nachbarn mostra un uomo che si addormenta vicino a un cartello che indica appunto la direzione per raggiungere il vicino ("nachbarn"), e non riesce a svegliarsi nemmeno quando la gravità comincia a variare e tutto quanto scivola da una parte all'altra come anche il suo corpo inerte che si aggrappa inconsciamente al cartello di indicazione per non cadere "nel cielo". Un cortometraggio ironico e assolutamente indimenticabile, Weg Zum Nachbarn, una delle poche opere in bianco e nero del regista.
  • E mentre il quotidiano e l'immagine scivolano nell'assurdo (rispettivamente in Swieto e in Media), in Tango, grazie a un lavoro accurato e assai complesso, Rybczynski ci mostra una serie di personaggi (alcuni già visti in Nowa Ksiaszka) che compiono in loop le stesse azioni, aumentando di numero pur nell'angusto spazio di una stanza. Ci è voluto molto tempo, per Rybczynski, al fine di riuscire a far comparire in scena i vari personaggi in modo tale da non creare sovraimpressioni, rispettando assurde leggi fisiche per cui nessun personaggio si dovesse sovrapporre all'altro. E' il caos, e tutti gli abitanti della stanza-mondo, colti in una fase della loro vita (dal concepimento fino alla vita e la morte), attraverso tecniche debitrici dell'estetica dei videoclip (cfr. Imagine di John Lennon), sono automi che percorrono la stanza con movimenti meccanici, disinteressati al senso di ciò che stanno facendo.
  • Il risultato è sorprendente, sconvolgente e divertente allo stesso tempo, un ritratto disincantato di un'umanità che si trascina inutilmente sui binari del risaputo, magari attenta allo spazio ma incurante di come i labiranti esistenziali di ciascuno (labirinti quasi bunueliani) si incontrino all'infinito. Ogni essere umano, con la sua esistenza sulla Terra, limita e confonde l'esistenza dell'altro, creando una matassa di destini inestricabile e annullabile solo con la morte.

 

  • (Tango, 1980)

 

  • Con Steps Rybczynski affina l'utilizzo del digitale. In un atto d'amore nostalgico nei confronti di una delle scene più famose e spettacolari della storia del cinema, quella della scalinata di Odessa nella Corazzata Potemkin, Rybczynski racconta la morte dell'immagine, poiché essa è viva soltanto nel momento in cui viene percepita. In Steps, alcuni "esponenti della società americana" visitano le scalinate del film di Sergej M. Eisenstein inoltrandosi in una sorta di sogno cinematografico, cominciando a camminare sulle stesse scale e ad osservare i vari personaggi del capolavoro russo, come intenzionati a comprenderne le azioni, incuranti della sofferenza insita in quel che accade. Così la scena della scalinata perde senso, diventa un museo in cui l'arte viene contemplata senza partecipazione, con lo stesso atteggiamento con cui si guarda un programma in tv. Non è un caso che l'estetica di Steps debba così tanto al mondo della televisione (vedi l'ultima immagine): quella del regista è una scelta politica. Egli rappresenta, non senza una certa dose di (disperata) ironia, la morte dell'immagine cinematografica. La televisione, infatti, annulla la “salutare menzogna” dell'arte.

 

  • (Steps, 1987)

 

  • L'estetica da videoclip raggiunge il suo apice in The Fourth Dimension, in cui le figure emblematiche di un uomo e una donna, Adamo ed Eva, nate da un gigantesco monolite che fa indubbiamente pensare a 2001: Odissea nello spazio, passano attraverso il processo di civilizzazione mischiandosi e attorcigliandosi come un serpente diabolico intorno alla realtà, capaci di ritrovare la purezza originaria della vita soltanto nel rapporto sessuale. In The Fourth Dimension, il sesso diventa liberazione dell'immagine, e la morte l'unica forma di salvezza eterna: l'ultima sequenza vede in primo piano di nuovo il monolite – la lapide dell'umanità.

 

  • (Due immagini da The Fourth Dimension, 1988

     

 

  • Infine, in The Orchestra, una delle sue ultime opere, la melodia della musica diventa immagine, e l'umanità vede la propria fine avvicinarsi. Indimenticabile la sequenza del museo: l'immaginazione, sembra dirci Rybczynski, può trovare una possibile salvezza nella musica, la cui armonia può far credere ordinato l'intero creato.

 

  • (The Orchestra, 1990)

 

  • «Frantumata (Nowa ksiaszka) o compressa (Tango), segmentata (Media, Imagine) o "incrostata" (Steps), specularizzata (The Discreet Charm of Diplomacy) o velocizzata (Oj! Nie moge sie zatrzyma!), scolpita (The Fourth Dimension) o narrativizzata (Kafka) che sia, per Rybczynski la messa in scena non può essere che simultanea, cioè strettamente correlata ad un'idea di spazio senza cesure. Lo stesso contrasto cinema/video è solo un pretesto per suggerire come tutta la sua opera non è altro che un immenso "non-luogo", un ipertesto in cui lo scorrimento verticale della pellicola - metafora di un procedere lineare del tempo - può essere rimesso in discussione». (Bruno di Marino)

 

 

  • Articoli di riferimento
  • Le avventure di un Méliès post-moderno e pre-digitale di Bruno di Martino edito da RaroVideo
  • Arte, tecnologia, realtà di Zbig Rybczynski edito da RaroVideo
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