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Ore diciotto in punto: Un miracolo siciliano - Intervista esclusiva a Giuseppe Gigliorosso e Anna Fici
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Esce giovedì 12 giugno Ore diciotto in punto, l’opera prima di Giuseppe Gigliorosso, presentata con successo al Festival di Taormina 2013 e finalmente pronta per le sale italiane. Distribuito in una trentina di copie in tutto il territorio nazionale, Ore diciotto in punto racconta la storia di tre solitudini – quelle di un angelo e di due innamorati per caso - destinate, grazie alla forza di volontà e alla motivazione, a rivedere i principi cardini delle loro esistenze e delle leggi universali. Prendendo spunto da un episodio di cronaca realmente accaduto, Ore diciotto in punto può essere definito un vero miracolo produttivo, compiuto e portato a termine da regista, cast e troupe, che hanno tentato la carta dell’autoproduzione pur di non arrendersi di fronte alle piaghe del sistema produttivo cinematografico italiano, sempre più sordo alle esigenze dei debuttanti.

77 “coproducers” hanno infatti fatto sì che Ore diciotto in punto non rimasse solo una sceneggiatura e si trasformasse in un lungometraggio, destinato a essere letto a più livelli e a essere apprezzato da chi riesce ad andare oltre i limiti e le apparenze che le esigenze produttive hanno inevitabilmente imposto.  

Per capire e comprendere quale sia stata la trafila della produzione del film, seguito da FilmTv.it già in tempi non sospetti, ne abbiamo parlato con il regista Giuseppe Gigliorosso e con la co-sceneggiatrice (nonchè fotografa di backstage) Anna Fici

 

Partiamo dalla formula produttiva di Ore diciotto in punto, anomala nel panorama italiano.

GG: La nostra è una formula produttiva molto particolare: tutto il cast e la troupe sono produttori del film. Non abbiamo avuto un produttore in senso classico: ogni attore, tecnico o partecipante a vario titolo, ha una percentuale sui futuri incassi dell’opera. Tutti sono produttori, che vedranno qualche ritorno dall’investimento nel caso in cui ci saranno degli utili. In Italia, diversi sono ricorsi all’espediente dei “The Coproducers” ma rispetto a loro c’è qualcosa che ci distingue: mentre tutti hanno avuto un budget iniziale di vario titolo, noi abbiamo iniziato senza un euro in cassa. È chiaro che, nonostante la buona volontà di chi vi era coinvolto, c’erano delle problematiche fondamentali da affrontare: attori e tecnici, ad esempio, mangiano e di conseguenza occorreva ingegnarsi. Inizialmente noi stessi, abbiamo provveduto ai cestini facendo in casa nostra pasta al forno o panini. Fortunatamente, poi è arrivato un primo sponsor (Pizza Uno, una pizzeria di Palermo), che si è offerto di fornirci da mangiare durante i 7 mesi di riprese. Dopo, sono arrivati una ditta che ci ha prestato un furgone, un paio di amici che ci hanno fornito dei locali e via di seguito.

AF: Le riprese sono state molto lunghe per una questione anche oggettiva: nessuno di noi (e siamo in 77 ad aver partecipato alla realizzazione) si poteva permettere di lasciare il proprio lavoro per fare il film. Dato che non c’era un periodo definito e compiuto entro cui realizzare le riprese, ognuno di noi continuava i suoi impegni quotidiani, aspettandoci vicendevolmente o facendo sì che in molti avessimo dei ruoli intercambiabili. 

Giuseppe Gigliorosso

Ore diciotto in punto (2013): Giuseppe Gigliorosso

Non avete provato a realizzare Ore diciotto in punto con una formula produttiva più “normale”?

GG: Certo. Abbiamo tentato di chiedere finanziamenti ma nessuno ci è venuto in soccorso. Abbiamo chiesto a molti di sostenere il progetto ma non abbiamo avuto risposte positive. Ore diciotto in punto nasce tanto tempo fa e, in un primo momento, i diritti erano stati anche acquistati da Francesco Tornatore, il fratello di Giuseppe, che con la sua Charlot Film avrebbe voluto realizzare il film ma una serie di impedimenti finanziari glielo vietarono. Da allora sono passati altri due anni di attesa e di ricerca di case di produzione, prima di arrivare alla scelta di fare da noi.

AF: Forte dell’esperienza che Pippo aveva già alle spalle con vari cortometraggi all’attivo e premiati in diversi festival, abbiamo provato con la sceneggiatura di Ore diciotto in punto a cercare un produttore. Pippo non desiderava solo vendere i diritti della storia ma voleva l’opportunità di fare il suo primo film. Francesco Tornatore con la sua Charlot Film ha acquistato i diritti con una clausola, che dicono piuttosto frequente: se il film non viene realizzato entro due anni, i diritti tornano indietro all’autore. Poiché i primi sintomi della crisi economica cominciavano a pesare, Tornatore non se la sentiva di affidare la regia a un “esordiente”. Passati i due anni, la storia è ritornata nelle nostre mani ma, anziché rimanere fermi, decidiamo di darci da fare e di riunire le nostre forze, costituendo prima la Eikona Film, un’associazione di promozionale sociale destinata poi a diventare produttore esecutivo del film, e decidendo dopo di produrre il film da noi. Nel cercare modelli produttivi a cui ispirarci, troviamo la formula dei “The Coproducers”, che consiste in pratica in questo: nello stimare quale potesse essere il budget di un film (quello che avremmo dovuto avere se avessimo fatto il film con tutti i crismi), tutti i soggetti coinvolti (cast e troupe) mettono a disposizione qualcosa - chi materiali tecnici, chi la propria professionalità, chi le proprie conoscenze, chi il suo tempo – e il tutto viene calcolato in percentuale rispetto al budget come se ognuno dovesse essere pagato secondo le tariffe sindacali medie. Quindi, ciascuno di noi ha firmato un contratto di partecipazione agli utili, semmai ce ne saranno. Gli unici aiuti che abbiamo avuto sono stati quelli degli sponsor privati e di due comuni della provincia palermitana: uno ci ha fornito solo ospitalità e l’altro un piccolissimo contributo economico.

E il Comune di Palermo non vi ha mai sostenuto? Il film rende anche omaggio alla città, facendo promozione territoriale e presentando sul grande schermo molti dei suoi luoghi simbolici, dal Teatro Massimo all’Orto Botanico.

GG: No, abbiamo provato a bussare anche alla loro porta ma non ci hanno sostenuto: nessun aiuto concreto e nessun servizio messo a disposizione. A film ultimato, però, avrebbero voluto concederci il patrocinio gratuito, che ovviamente non abbiamo accettato.

Di porte chiuse ne abbiamo trovate parecchie ma non ci siamo mai arresi: abbiamo sempre creduto nel progetto e ci crediamo tuttora. Ogni giorno lavoriamo sul film e lo seguiamo: è stata un’esperienza performante per tutti. Troupe e cast sono stati eccezionali, hanno lavorato tantissimo e non hanno mai avuto voglia di mollare. Forse perché vedevano il nostro entusiasmo e la nostra determinazione: anche quando ad esempio uno di noi non poteva essere sul set, tutto andava avanti con qualcuno pronto a sostituire l’assente. Ore diciotto in punto è un miracolo, una sfida vinta che adesso ci sta ripagando di ogni sforzo.

Tappa fondamentale del percorso di Ore diciotto in punto è stata sicuramente la sua partecipazione al Festival di Taormina del 2013, dove pubblico e critica lo hanno ben accolto. Come mai non avete proseguito la via dei festival e delle rassegne?

GG: Il motivo è molto concreto: i festival e le iscrizioni ai festival costano e richiedono denaro, soldi che ovviamente non avevamo in cassa. A qualche grande festival ci siamo arrivati ma l’esperienza di Taormina ci ha sicuramente appagati. L’accoglienza del pubblico ci ha commossi ed emozionati e, da allora, abbiamo deciso di puntare sulla distribuzione. E una delegazione è partita alla ricerca di un distributore, bussando alle porte di tutti coloro che potevano aiutarci a portare il film in sala. Con alla mano un elenco di tutti i distributori, si è riscontrata sempre la stessa situazione: curiosamente, quelli che dovevano decidere erano costantemente in riunione. Con una telecamera, si è ripreso il tutto: molto probabilmente se ne farà un mini-documentario dal titolo In riunione. Fortunatamente, è arrivato il contatto con Mariposa Cinematografica, una distribuzione indipendente che ha scelto di portarci nel circuito delle loro sale in collaborazione con The Coproducers, che continuano a essere i proprietari effettivi del film.

AF: Per sostenere i costi delle varie ed eventuali partecipazioni ai Festival e per tentare di far conoscere il più possibile Ore diciotto in punto, abbiamo provato varie forme di produzione e ci siamo inventati i “18 cm” di pellicola, che consistevano in 18 centimetri di vera pellicola venduti come “biglietto di prevendita”. Ma il non avere soldi in cassa è stato il più grande limite del dopo-Taormina.

Anna Fici

Ore diciotto in punto (2013): Anna Fici

Dopo diversi cortometraggi premiati in varie rassegne, Pippo, esordisci nel lungo. Da dove nascono la passione per il cinema e l’idea di Ore diciotto in punto?

GG: Esprimermi per immagini e fare le riprese è per me innato. Con il lungometraggio ho scoperto anche il piacere del montaggio e della postproduzione. Fare un film è un pianeta a parte. Scorsese scrive che fare un film è una pazzia e che te ne accorgi solo quando ci sei dentro, quando ormai è troppo tardi e non puoi più farci niente. Questa pazzia per me è naturale, legato sicuramente alle immagini che si producono nella mia mente: anche la sceneggiatura è figlia di immagini che la mia mente produce e collega, fino a quando poi non sento il bisogno di farla uscire fuori e di fermarla su carta.

Ore diciotto in punto è stato concepito quasi come un sogno: ci sono due eventi cardine che ne hanno determinato la storia. Il primo è legato a un fatto di cui sono stato testimone: un pomeriggio d’estate, esco da casa per recarmi al lavoro alla Rai di Palermo [Gigliorosso è giornalista e operatore video, ndr] e, mentre scendo le scale, avverto delle grida, senza prestare particolare attenzione alla cosa. Uscendo dal portone, mi ritrovo di fronte al motivo che aveva generato quelle urla: pochi secondi prima, la signora che abitava al terzo piano si era suicidata lanciandosi dal balcone. In un primo momento, pensavo che fosse solo inciampata mentre camminava ma subito dopo, vedendo arrivare il marito, realizzo quello che era veramente successo. Conoscevo la signora sin da bambino e sono rimasto sconvolto dal gesto, continuando a pensarci anche con il passare del tempo.

Molto tempo dopo, mi viene in mente la figura di un telefono che squilla e qualcuno che risponde, dando vita a una conversazione tra due sconosciuti. Avevo questi due punti fermi, questi due tasselli, su cui volevo costruire qualcosa ma non sapevo come collegarli e dar loro continuità. Il quadro però, come sostiene anche David Lynch, si è pian piano composto da solo, vagando tra il razionale e l’irrazionale e facendomi venire in mente il tutto: come un bambino che fantastica, ho iniziato a vedere l’ufficio del tempo, il grande prato - vero (sebbene potevo crearlo posticcio in postproduzione) e cercato con molta fatica fino a quando non l’ho trovato nei pressi di Valledolmo - che nel film ha un ruolo molto importante e tutto il resto. Ovviamente, ogni cosa doveva essere organica e avere una sua logicità. Essenziali ai fini della sceneggiatura sono stati anche i contributi di Valentina Gebbia e di Anna Fici, che mi hanno aiutato a rendere il tutto più credibile e i dialoghi più veritieri. Il messaggio del film è poi molto chiaro: se vuoi qualcosa nella vita, se sei veramente motivato, allora riuscirai a realizzarla. Basta avere solo il coraggio di mettersi in gioco, di provare e di tentare, anche quando tutto sembra voler portare in altra direzione.

AF: Del resto, il tema fondamentale di Ore diciotto in punto è la motivazione, la ragione per cui un individuo deve riprendersi in mano il proprio destino. Il film può essere considerato come una bella favola, la cui motivazione è l’amore, ma è anche un’opera che può essere vista e letta da tutti: da un bambino, che lo percepisce da un certo livello in cui vede solo la favola, o da un adulto, che vi può ritrovare ben altre cose e darsi spiegazioni più profonde. Ci si può leggere, ad esempio, la capacità di apprezzare quello che si ha (anche le cose semplici), la capacità di riconoscere i valori veri rispetto a tutto ciò che siamo indotti a desiderare dal sistema o la capacità di andare oltre le apparenze, percependo cose che spesso si hanno davanti e non si apprezzano.

Curiosamente il messaggio rispecchia anche la determinazione che avete avuto voi nel portare a termine il film stesso. La sceneggiatura, venuta prima, ha finito con l’anticipare profeticamente quella che è stata la realizzazione. La motivazione vi ha spinto fino al portarlo in sala.

GG: Diverse volte durante la lavorazione qualcuno ha avuto la tentazione di mollare di fronte alle difficoltà. Ma noi siamo sempre stati convinti che Ore diciotto in punto si dovesse fare. E ci siamo riusciti grazie all’impegno di tutti, a partire ad esempio da quello di Anna, che ha messo a disposizione delle riprese la sua camera Canon 5D Mark II.

AF: Non abbiamo mai avuto voglia di mollare: andando avanti, sarebbe stato un peccato lasciar perdere tutto quello che avevamo fatto.

Anna, sappiamo che il tuo ruolo nella produzione di Ore diciotto in punto è andato oltre il semplice prestito della Canon 5D.

AF: Pippo mi ha proposto di collaborare con un lui per il progetto del suo primo lungometraggio un paio di anni fa. Venendo a casa mia, mi ha raccontato la storia del film, non ancora del tutto strutturata ma già ben delineata, ispirata da un fatto di cronaca realmente accaduto e incentrata sulla dimensione del libero arbitrio. Con una prima sceneggiatura già pronta, mi ha chiesto di darle una lettura e di dirgli prima di tutto cosa ne pensassi: un conto è infatti scrivere una sceneggiatura e un conto visualizzarla poi come film. Mi ha chiesto altresì di correggerne delle parti e di rendere i dialoghi più plausibili. Lo ha chiesto a me perché nel tempo tra noi si è creato un forte legame, che nasce sul finire degli anni Ottanta, quando lui con la passione per la fotografia ed io aiuto regia di Michele Perriera ci incontriamo grazie al mio ex compagno Gianni Colombo, attore ed allora impiegato delle Poste proprio come Pippo. Pippo ci chiese se poteva venire a fare delle foto in teatro (la nostra fotografa ufficiale era allora Letizia Battaglia): già da quelle prime foto si notava come avesse un occhio eccezionale, in grado di notare dettagli, espressioni o cose, che ci erano sempre sfuggite. Da lì nacque quel legame che, nel corso del tempo, ci ha portato a fare tante cose insieme prima di arrivare a Ore diciotto in punto: come ad esempio un mediometraggio realizzato tra Palermo e Bologna, che – seppur rimosso dal punto di vista della riuscita – ci ha fatto da palestra per quello che sarebbe arrivato dopo.

Tra l’altro, l’uso della Canon 5D Mark II è stato abbastanza precursore dei tempi del digitale.

AF: Quando abbiamo deciso di girare con la Canon 5D Mark 2 si era appena capito come la fotocamera potesse restituire immagini di qualità. Era abbastanza innovativo girare con la Canon 5D e avevamo appena appreso che anche l’ultimo episodio della sesta serie di Dr. House era stato girato con la stessa camera. Si trattava di qualcosa del tutto nuovo: abbiamo studiato i movimenti della macchina, come realizzare le riprese o metterla su una steadicam.

Come avete scelto gli attori?

GG: Gli attori li ho scelti personalmente io, puntando anche su due nomi che non avevano mai recitato davanti a una macchina da presa. Ho voluto fortemente Salvo Piparo, così come ho voluto Roberta Murgia, che durante le riprese mi ha fatto penare particolarmente per via dei suoi impegni da allora studentessa di giurisprudenza. Con entrambi lavoravo con del materiale cinematografico quasi grezzo da modellare: è stata una grande soddisfazione vedere il risultato ottenuto. Così come, da regista, è stato meraviglioso lavorare con attori affermati come Paride Benassai, Ernesto Maria Ponte, Valentina Gebbia o Stefania Blandeburgo.

AF: La maggior parte degli attori vengono dal teatro e, in alcuni casi, qualcuno non aveva nemmeno esperienze teatrali in senso stretto alle spalle, come Salvo Piparo, che proviene dal mondo del cunto, una dimensione particolare del teatro in cui si recita in dialetto. Roberta Murgia, invece, non aveva mai recitato in vita sua e non desidera fare l’attrice ma il magistrato. Era quasi per tutti un’esperienza sui generis, del tutto nuova.

Ore diciotto in punto: Roberta Murgia e Salvo Piparo.

 

 

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Ore diciotto in punto - Foto di scena: Giancarlo Marcocchi

Ore diciotto in punto - Foto backstage: Anna Fici.

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